Che c’entra Galantino con Cl? Ovvero le mutazioni genetiche del Meeting

Che c’entra Galantino con Cl? Ovvero le mutazioni genetiche del Meeting

Ho ascoltato stamattina il vescovo di Cassano allo Jonio parlare di “persona e senso del limite”, quello che il prelato non ha dimostrato nelle ultime

Ho ascoltato stamattina il vescovo di Cassano allo Jonio parlare di “persona e senso del limite”, quello che il prelato non ha dimostrato nelle ultime settimane, trascorse ad aizzare una politica già troppo di suo caciarona e polemica. Il timbro di voce di Cristiano Malgioglio, l’eloquio del parroco acculturato alle scuole serali, il contenuto della lectio ruffiano quanto basta per strappare applausi alla platea, non ho potuto non domandarmi: perché Cl ora stravede per quest’uomo?
galantino-perilloL’accoglienza riservata a mons. Nunzio Galantino (nella foto con Davide Perillo, che ha servito molti “slurp” e definito sua eminenza “teologo fine” ma allo stesso tempo con “l’odore delle pecore”, un San Tommaso con scarponi ai piedi, insomma) dal Meeting esprime l’ultima mutazione genetica dell’evento nato nel 1980, finestra e spugna dei cambiamenti che hanno accompagnato il movimento di Comunione e liberazione negli ultimi 35 anni.
Prima una notizia: stamattina ho visto mons. Lambiasi, vescovo di Rimini, felice. Sorridente come non mai. E’ salito al tavolo del relatore pochi minuti prima dell’inizio per stringere la mano al segretario generale dei vescovi e parlottare con lui. Finalmente contento. Ieri sera in piazza Tre Martiri per il rosario del Comitato Nazarat, Lambiasi era seduto a fianco di un principe della chiesa di ben altra levatura di quella di Galantino, il card. Tauran, ma era serio e un po’ immusonito. Lambiasi è più in sintonia col suo superiore Cei e gode per la sua immeritata fama.

Ci sono state tre grandi stagioni del Meeting di Rimini. La prima “ispirata” da Sante Bagnoli, fondatore e mente della casa editrice Jaca Book, testa e cultura impareggiabili. Accadeva quando Bagnoli esprimeva la “cultura” di Cl. Contenuti alti da festival cattolico di massa: “L’Europa dei popoli e delle culture”, “Le risorse dell’uomo”, “America Americhe” i primi titoli. Erano anche gli anni segnati dal Movimento popolare e dalla leadership di Roberto Formigoni, del movimento impegnato a rimodellare da dentro la Dc e le sue battaglie, una stagione di impegno e creatività da fare impallidire la storia delle “opere” forgiata dalla CdO. Ormai preistoria.

La seconda è legata al settimanale Il Sabato e a don Giacomo Tantardini, il sacerdote che per una lunga fase di Cl visse in simbiosi con Giussani, un’altra mente sopraffina (mica per niente uscita dal seminario di Venegono) oltre che un trascinatore e grandissimo educatore (peraltro conoscitore di Peguy e Sant’Agostino come pochi altri) e a lui si deve anche la fortuna del mensile 30 Giorni. E’ morto nel 2012 ma già da diversi anni prima era stato “accantonato” dai piani alti del movimento anche per le vicende romane legate a Marco Bucarelli, Vittorio Sbardella e La Cascina.
Tantardini e Il Sabato fecero del Meeting uno strumento per terremotare la politica e la chiesa in Italia, riuscendoci quasi sempre e con eccezionali risultati nel dibattito pubblico, grazie anche ad una incredibile vitalità e freschezza di presenza del popolo ciellino. Scoppiarono in quei Meeting – quando a dettare la linea in Cl e quindi anche al Meeting era Giancarlo Cesana, per una fase pure presidente di Mp – le “bombe” del Sabato contro Ciriaco De Mita (accusato di essere in casa Dc il catalizzatore degli interessi laici), l’Azione cattolica e Civiltà Cattolica, giusto per ricordarne qualcuna e il feeling coi socialisti. Le amicizie del Meeting e di Cl andavano da Andreotti a Craxi. Meeting infuocati. (E immancabilmente Il Ponte diretto dal battagliero don Piergiorgio Terenzi al termine di ogni edizione sparava alza zero sulla kermesse ciellina). Nell’88 dovette intervenire il card. Achille Silvestrini per spegnere l’incendio appiccato dal Sabato. “C’è gloria per tutti”, disse, salvo poi, a Meeting concluso, prenderne le distanze per non finire a sua volta sulla graticola. Quel che stupisce è che certi intellettuali ciellini come Massimo Borghesi (domani sala B1 interviene su “incontrare don Giussani oggi”) fossero i teorici durante la conduzione Tantardini come lo sono di quella di Carron.
Caratteristica di quel periodo complicato ma dirompente e ricco di frutti è stata la capacità di Cl (e quindi del Meeting) di coltivare ed esprimere uno sguardo critico sulla realtà italiana (ma anche internazionale). Giussani amava ripetere nelle equipe del Clu (Cl universitari) che il metodo nuovo per affrontare la realtà è contraddistinto da tre fattori: un’identità consapevole, dalla quale nasce un giudizio sulla realtà capace di provocare una reazione e il giudizio crea e opera. In un testo che raccoglie le equipe del Clu, dal titolo Dall’utopia alla presenza (1975-78), tutto questo è spiegato col fascino e la persuasività che solo Giussani sapeva far diventare parola e che documentava in maniera contagiosa nell’amicizia serrata con gli universitari di Cl.

La terza stagione del Meeting parte più o meno con la nuova impostazione che Cl comincia ad assumere dopo la morte di don Giussani, nel 2005. Nel 2008 il Meeting diventa Fondazione e taglia fuori tutta una serie di figure che a Rimini erano state all’origine della manifestazione. Una scelta che addolorò non poco anche don Giancarlo Ugolini, che non condivise quella virata. La Fondazione Meeting da quel momento viene “controllata” ed egemonizzata da tre entità milanesi: l’associazione centri culturali, la CdO e la Fondazione per la Sussidiarietà presieduta da Giorgio Vittadini.

L’odierno volto di Cl, per tanti irriconoscibile, si stampa anche sulla kermesse riminese. Carron prende le distanze da vari esponenti della vecchia guardia del movimento, si smarca pubblicamente dai ciellini che sbagliano (cosa che Giussani mai aveva fatto), Formigoni e Lupi vengono messi in soffitta come vecchi arnesi ormai solo ingombranti, inizia l’inseguimento al politicamente corretto veicolato attraverso gli interventi su Repubblica e sul versante ecclesiale mette in atto la repentina conversione alla chiesa dei poveri di Papa Francesco, nulla di più estraneo alla sensibilità che ha informato tutta la storia di Cl fino all’insediamento di Carron.
Col gran rifiuto a partecipare alla seconda edizione del Family day (perché bocciata da Galantino) e l’abbraccio col segretario generale della Cei si è forse definitivamente compiuta la mutazione genetica di Cl (non senza profondi malumori e dissidi interni) e il Meeting è da sempre la vetrina che espone l’accento più coerente del movimento. Tutto da buttare? Assolutamente no. Fra una “marchetta” e l’altra c’è spazio anche per incontri con testimoni che lasciano il segno e per mostre che solo al Meeting si possono vedere. E, prima di tutto, per quel miracolo di gratuità e compagnia lieta che al Meeting si toccano e si respirano. Non è poco. Ma se la parte più consistente e significativa della storia del Meeting è segnata da personalità di gigantesca statura (Giulio Andreotti, Giovanni Testori, Emmanuel Levinas, Andrej Tarkovskij, Camillo Ruini, Hans Urs Von Balthasar, il Dalai Lama, Eugène Ionesco, Madre Teresa di Calcutta, Jean Guitton, Giovanni Paolo II) e dal sacro fuoco di un confronto all’insegna della verità e del politicamente scorretto, il presente incensa i Galantino e i Matteo Renzi. Perché il Meeting è espressione dell’agenda che Cl e la Compagnia delle Opere dettano per la settimana di Rimini, con la preoccupazione di intessere buone e utili relazioni con le istituzioni, la chiesa italiana e la politica di governo.

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