Alver Metalli (nelle foto), giornalista e scrittore, è nato a Riccione nel 1952 e nonostante il suo mestiere di comunicare e raccontare l'abbia portat
Alver Metalli (nelle foto), giornalista e scrittore, è nato a Riccione nel 1952 e nonostante il suo mestiere di comunicare e raccontare l’abbia portato a emigrare prima a Roma poi in America Latina (per i suoi reportage per il settimanale Il Sabato e poi per la Rai), dove vive a Buenos Aires, è rimasto un ‘romagnolo’ a tutti gli effetti, tornando di tanto in tanto a Riccione dove vivono ancora il padre e la sorella. Anzi questo mestiere nacque in lui dalla passione per la comunicazione fin dalla fine degli anni 70 dove a Rimini dirigeva ‘Radio Riviera’, una delle prime radio libere che non solo trasmetteva musica, ma anche programmi d’intrattenimento e giornalistici che ne facevano una radio tra le più seguite ancor prima che nascesse l’Auditel. Poi a Roma dove dal settimanale Il Sabato passò al mensile 30 Giorni e così iniziò la sua pendolarità intercontinentale, perché ogni mese viveva quindici giorni a Roma, per chiudere 30 Giorni in lingua italiana e gli altri quindici a Buenos Aires a chiudere l’edizione della rivista in lingua spagnola. Venne quindi la corrispondenza per la Rai dal Messico e dall’Uruguay.
Negli ultimi tempi ha conosciuto bene il cardinal Jorge Bergoglio e i suoi collaboratori, che vivono nel quartiere più povero della megalopoli argentina. Lo scorso anno Alver Metalli portò al Meeting di Rimini padre Pepe (Josè Maria Di Paola) che raccontò del suo impegno nelle Villas Miserias dove il cardinale Bergoglio lo aveva inviato a servire i più poveri. Più che altro, raccontò lui stesso, ad ‘arricchirsi’ dei loro insegnamenti che sono molto di più di quello che si può fare per loro per dargli una vita degna. Tra i suoi libri, oltre ad alcuni romanzi (Il giorno del giudizio, scritto con Lucio Brunelli), anche alcuni saggi (Cronache centroamericane del 1988 e L’America Latina del XXI secolo del 2007), nonché Il Papa e il filosofo del 2013 (che presentò al Meeting dello scorso anno), dove lo scrittore descrive il dialogo e l’amicizia intellettuale tra Josè Maria Bergoglio e Alberto Methol Ferré. Non si può non citare da ultimo il sito web realizzato da Alver Metalli ‘Terre d’America‘, autorevole fonte d’informazione sulla società e la Chiesa nel continente del Papa.
di Serafino Drudi
Il Papa a settembre andrà a Cuba. Si può dire che quel che è stato Giovanni Paolo II per l’abbattimento del muro di Berlino, sia stato Francesco per la ripresa dei rapporti tra Cuba e Usa. Cosa ci si può attendere ancora dal prossimo viaggio del Papa nell’isola caraibica?
L’analogia con Giovanni Paolo II può servire per indicare la profondità del cambiamento che sta avvenendo tra Stati Uniti e Cuba; in questo senso, del resto, la usano gli stessi vescovi dell’isola, come il segretario della Conferenza episcopale di Cuba, Juan de Dios Hernandez, che si è per l’appunto riferito a quel che sta avvenendo dal dicembre scorso, con l’annuncio in simultanea dell’inizio del riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti, come “a qualcosa di analogo alla caduta del muro di Berlino”. Ma non ci sono state spallate papali a fare cadere il muro dei Caraibi. E’ un muro che è caduto per una maturazione dall’interno, una evoluzione che è avvenuta tanto nella coscienza degli americani del nord come dei cubani. In questo senso non ci sono cadute rovinose, salti nel buio, ma una dilatazione di spazi di sviluppo e di espressione, un inizio di processi nuovi come ama dire il Papa.
Scusa la ‘ruvidità’ di questo giudizio, ma in Italia e altrove in Europa si nota una differenza di toni (quand’anche di contenuti) tra il Papa attuale e Giovanni Paolo II, ancor di più rispetto al papa emerito Benedetto. Francesco, in alcune circostanze, sembra parlare più da capo sindacale e politico che non da guida della chiesa universale. Cosa ne pensi?
Dov’è la sorpresa nella diversità tra i papi che hai nominato? Certo che la sensibilità di Papa Francesco è diversa da quella dei suoi due predecessori immediati; è diversa la sua storia, la sua provenienza, sono diverse le sue conoscenze, il suo approccio ai problemi, ma è anche diverso il momento storico e sono diverse le situazioni tra loro. Direi in questo senso – da cattolico – che della diversità si serve lo Spirito per condurre la storia verso un suo compimento.
Quanto alla connotazione peggiorativa che assume la domanda equiparando il Papa a un capo sindacale e politico – che sono comunque due attività nobili – non si fa fatica a collocare questo giudizio sommario come origine in una visione – o in una mentalità – questa sì politica e sindacale in senso angusto, direi in senso fondamentalmente conservatore, cioè una visione che aborrisce gli sviluppi, i cambiamenti, le trasformazioni. Mentre il cristianesimo è una novita permanente. Ho presenti almeno una quindicina di momenti in questi due anni di pontificato in cui Papa Francesco ha usato un termine, “rivoluzione”, che era caduto in disuso; l’ultima volta a Quito, in Ecuador, meno di un mese fa, quando ha ripetuto che “La nostra fede è rivoluzionaria”, cioè tende a cambiare veramente la vita, nella sua concezione e nella sua materialità.
Cosa pensi che di peculiare per la chiesa stia facendo papa Francesco, che impronta le sta dando?
L’impronta di una Chiesa vicina agli uomini, coinvolta con le loro fatiche, i loro drammi, le loro speranze. Mi faceva notare un collega che di Bergoglio Papa hanno scritto che è un Wojtyla di sinistra. Stesso carisma mediatico, grande comunicatore con maggiore coloritura pauperistica. Altri invece, nello sforzo preoccupato di non creare distanze tra papi, spiegavano che i suoi contenuti erano gli stessi di Ratzinger, solo con in più le energie che a Ratzinger sono venute meno. Come sempre c’è del vero in tutti gli sforzi definitori, ma non colgono l’originalità di questo pontificato. Che a mio avviso consiste proprio nell’essere il papa dei lontani. Acutamente Lucio Brunelli, direttore di TV 2000, scriveva su Terre d’America che “Il suo interlocutore non sono le ideologie ostili del Novecento: il marxsimo ateo o il liberalismo relativista. Sono le persone in carne ed ossa che si sentono distanti dalla Chiesa. Non c’è azione o parola di Francesco che non abbia questo orizzonte, questo cuore missionario”. In questo senso è un po’ un san Paolo, l’apostolo delle genti che guardava ai gentili, e sentiva ingiusto porre sulle loro spalle fardelli inutili, come la circoncisione. O come i primi gesuiti, appena formati come compagnia di amici, e subito dispersi, ad annunciare avventurosamente il vangelo oltre le periferie estreme del mondo cristiano: la Cina e il Giappone, Matteo Ricci e l’epopea della reducciones dei Guaranì.
E’ vero, come mi pare abbia detto suo nipote, che questo Pontefice, nel momento in cui capisse che il compito che s’è assunto di rinnovare la chiesa restasse al palo, potrebbe fare lo stesso passo storico del predecessore?
L’ha detto il Papa in più di una occasione che la figura del Papa emerito è diventata una istituzione, quindi una strada percorribile. Il quando – cioè che circostanze si devono verificare – lo stabilirà lui, speriamo il più lontano possibile nel tempo.
Il relativamente recente fenomeno dell’esplosione dell’Isis in Iraq, Siria, e ora anche in Libia coi suoi metodi violenti e disumani coi quali vuole imporre la jihad, ha aumentato enormemente il flusso migratorio verso l’Italia e altri paesi del Mediterraneo. E’ vero che in Sudamerica si registra, anche se per ragioni diverse, un fenomeno analogo? E’ vero che il numero di immigrati europei verso l’America Latina ha superato quello dei latino-americani verso l’Europa?
E’ singolare, ma nel momento in cui in Europa si discute quanto grande può essere lo spiraglio da lasciare aperto agli africani e ai mediorientali in fuga dalla violenza e dalla miseria, proprio gli europei ricominciano ad emigrare a loro volta verso l’America Latina. I dati li ha resi pubblici uno studio recente dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e segnalano il rafforzarsi di una tendenza iniziata con la crisi economica del 2008. Già nel 2012 ad aver lasciato il Vecchio Continente in direzione America Latina e Caraibi sono stati 181 mila europei, rispetto ai 119 mila latinoamericani che hanno compiuto il percorso inverso. E, si badi bene, anche tra chi lascia l’Europa, tanti reclamano opportunità di lavoro e un trattamento degno nei paesi di destinazione come i molti disperati che si riversano sulle sponde dell’Europa.
L’avanzare dell’Isis ha provocato un altro fenomeno tremendo: la persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose e il loro martirio. Un fenomeno che a giudicare dagli accorati appelli delle vittime e anche dello stesso Papa, sembra essere sottaciuto e dimenticato. Quanto si conosce di questa tragedia in Sudamerica?
All’origine dell’America Latina c’è proprio un conflitto religioso, quello tra la cristianità europea e l’Islam. C’è l’assedio musulmano all’Europa, al Regno di Castilla, Spagna e Portogallo. Questo stato di cose spinse i due paesi iberici a lanciarsi alla ricerca delle spezie, che arrivavano in Europa attraverso la mediazione musulmana. L’espansione sul mare permise alle superpotenze marittime dell’epoca di approvvigionarsi direttamente della materia prima e di giungere alle spalle dei regni musulmani. Lì inizia la decadenza dell’Islam. Ma l’America Latina come la conosciamo, formatasi sulla spinta di questo aggiramento dell’Islam, manca di esperienza dell’Islam; il mondo latinoamericano non ha propriamente avuto una realtà di contatti sistematici con il mondo musulmano. Più recentemente si assiste all’immigrazione di arabi e musulmani (siriani soprattutto) che rafforzano i piccoli insediamenti che già esistevano in vari punti del continente, ma ciò non modifica la sostanza del giudizio. L’America Latina, per la sua connessione con l’oceano Pacifico, è molto più sensibile alla presenza dell’elemento umano proveniente dall’Estremo Oriente che ad una presenza del mondo musulmano in quanto tale.
Guardando al mondo islamico dall’America Latina, semmai, lo sconcerto di un latinoamericano che ha nel suo passato il meticciato e l’integrazione dei diversi è quella di vedere l’incapacità del mondo arabo di promuovere una politica di unificazione al proprio interno e di dialogo al proprio esterno. In fondo lo sviluppo del terrorismo dei musulmani è il segno della loro impotenza nel mondo contemporaneo. L’Islam ha forme arcaiche di aggressione e distruzione, dove la più efficace non è bellica, è demografica. L’occidente regredisce, il mondo musulmano ha tassi di natalità elevatissimi. L’Islam è un pericolo per società che non generano figli, e se l’Europa ha azzerato la spinta demografica è per ragioni culturali. Essa stessa è il maggior pericolo per se stessa.
La persecuzione esiste anche in America Latina? Per esempio, mi risulta che in Messico parecchi preti siano stati assassinati dalle bande dei narcotrafficanti…
Esiste eccome! Un perseguitato il Papa l’ha appena fatto beato, monsignor Romero, assassinato nel 1980 da paramilitari di destra e dietro di lui ce n’è una schiera innumerevole. Solo in Salvador stanno raccogliendo materiali per promuovere la beatificazione di almeno 500 altri perseguitati per la fede. Per avvicinarci ai nostri giorni, certo, in Messico i preti sono nel mirino della criminalità narcos, come la miriade di cristiani, associazioni e singoli, che lottano contro la tratta, la schiavitù, lo sfruttamento, le povertà.
Come e cosa si vede dall’altro lato del mondo della situazione del nostro Paese, della chiesa italiana?
Comincia ad essere segnata sempre più in profondità dal richiamo del Papa ad una presenza operosa e misericordiosa tra gli uomini, specialmente i più umili. Una direzione che trovo sia diversa da quanti lamentano una inincidenza, irrilevanza, cedimento, perdita di identità e cose simili.
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