"Una provocazione che proveniva dalla massima autorità del Cristianesimo". Così l'imam Jamaluddin Ballabio, invitato dalla Chiesa riminese per intavolare il dialogo fra cattolici e musulmani, ha bollato il discorso che Benedetto XVI pronunciò a Ratisbona. Un giudizio sprezzante al quale la Diocesi sembra tenere in modo particolare visto che l'ha pubblicato sul proprio sito e lo considera molto utile da far conoscere a "giovani, educatori, volontari Caritas, catechisti, insegnanti di religione".
La parolina magica è dialogo. Che ormai giustifica tutto. La Diocesi di Rimini lo scorso novembre ha dato vita alla prima giornata di dialogo cattolico-islamico. Il tema era “ogni uomo è mio fratello”. Presente anche la massima autorità della Chiesa locale, il vescovo, che portò il suo saluto. Sul settimanale diocesano “Il Ponte” uscì un articolo dal titolo “Conoscersi nella concretezza della vita”. Le relazioni di parte cattolica e islamica furono di don Pierpaolo Conti e dell’imam Jamaluddin Ballabio. “Il Ponte” non riportò nulla di virgolettato delle parole pronunciate dal rappresentante della comunità musulmana. Ma in seguito sul sito della Diocesi sono stati pubblicati gli interventi. Compreso quello clamoroso dell’imam, che campeggia fra lettere pastorali del vescovo e materiali a disposizione di parrocchie.
L’imam in questione va molto di moda perché rappresenta una confraternita sufi, pone l’accento sulla spiritualità, sulla mistica musulmana, e quindi è la figura perfetta dal punto di vista dell’islam dialogante. Non a caso tiene parecchie conferenze in Italia, nelle parrocchie, ad eventi del Grande Oriente d’Italia, in convegni di altra natura.
Bene, cosa ha detto l’imam in quella occasione? “Dopo “l’incauta” affermazione di Papa Ratzinger a Ratisbona che, citando il Paleologo, disse: “… Mostrami quello che Mohammed ha portato di nuovo, e lì troverai cose solo malvagie e inumane …” si era di fronte ad una provocazione che proveniva dalla massima autorità del Cristianesimo, rivolta alla massima autorità dell’Islam, il Profeta (la pace e la benedizione di Dio siano su di lui). Chissà quante migliaia di affermazioni del genere sono state profferite nei secoli, ma adesso il mondo è globalizzato e davvero il battito di un’ala di farfalla può causare un tornado da un’altra parte del mondo”. Il papa emerito è un provocatore. Invece è la sintesi fatta dall’imam della lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona (su Fede, ragione e università) che suona come una provocazione. Quello che il mondo islamico non ha digerito di quella lezione, è stata la chiara affermazione della profonda differenza fra Dio e Allah. Fra la fede che ha evangelizzato l’Europa e il monoteismo islamico (“La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima”). Anche Benedetto XVI intavolò un dialogo, ma senza nascondere le contraddizioni dell’islam. Venne massacrato, accusato di aggressione all’Islam, minacciato di morte, non mancarono cristiani inermi decapitati per ritorsione.
Prosegue Jamaluddin Ballabio: “Dio volle che provvidenzialmente questo incidente portasse le massime autorità religiose del mondo islamico, forzosamente separate dalla caduta dell’impero Ottomano in poi e costrette ad essere rese subalterne ad entità nazionalistiche che sono solo un retaggio nefasto del colonialismo delle potenze occidentali, a riunirsi e produrre una risposta comune che prese il titolo di A common word between us”. Cos’è A Common Word Between Us and You? E’ l’abbastanza famosa lettera appello dei 138 musulmani “dotti” (poi i firmatari salirono a oltre 400), da molti ritenuto il documento per eccellenza del dialogo interreligioso, da altri il diavolo in sagrestia. La lettera fu indirizzata anche a Benedetto XVI e ad altri leader cristiani (tagliando però fuori le autorità religiose ebraiche) e arrivò poche settimane dopo la lezione di Ratisbona. E’ un documento che, nella sostanza, sorvola sul tema della libertà religiosa, della libertà dalla religione (che i musulmani non possono abbandonare senza andare incontro a conseguenze anche estreme), della libertà di pensiero, dei diritti umani, del riconoscimento della reciprocità fra cristianesimo e islam. Ma soprattutto quel documento sottolineò solo il Corano “buono”.
E la stessa cosa ha fatto l’imam Ballabio Jamaludin invitato dalla Diocesi, ricordando che “Gesù Cristo e la Vergine Maria si incontrano in circa 100 versetti del Corano, dei quali 26 menzionano Gesù Cristo, 11 il Messia, 36 la Vergine Maria, 12 il Vangelo (il Nuovo Testamento) e 14 i cristiani (nazareni)”. Ma come ha scritto il gesuita e islamologo egiziano Samir Khalil Samir “tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l’opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta. Non è nemmeno l’ultimo dei profeti perché invece il “sigillo dei profeti” è Maometto (Corano 33:40). La rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l’Islam”. E “il Corano cita Gesù perché pretende di completare la rivelazione di Cristo per esaltare Maometto. Del resto, vedendo quanto Gesù e Maria fanno nel Corano, ci si accorge che essi non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo il Corano. Maria è certamente la figura più bella tra tutte quelle presentate nel Corano: è la Madre Vergine, che nessun uomo ha mai toccato. Ma non può essere la Theotokos; anzi, è una buona musulmana”.
Per la Diocesi questo tipo di dialogo è un valore a tal punto da considerarlo “una proposta che riteniamo abbia un particolare significato per i giovani, educatori, volontari Caritas, catechisti, insegnanti di religione ossia tutti coloro che per diverse ragioni hanno relazioni con persone mussulmane”.
Dialogo o confusione, se non sottomissione? E’ davvero difficile conciliare “maestri” e iniziative come quella proposta dalla Diocesi, col magistero della Chiesa. La Congregazione per la dottrina della fede nel 2000, proprio a firma di Joseph Ratzinger, pubblicò la dichiarazione Dominus Iesus: “Con la venuta di Gesù Cristo salvatore, Dio ha voluto che la Chiesa da Lui fondata fosse lo strumento per la salvezza di tutta l’umanità (cf. At 17,30-31) [90]. Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista «improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l’altra”». La Chiesa di Roma non si è certo entusiasmata per il documento che tanto piace all’imam, A Common Word Between Us and You. E Benedetto XVI disse con chiarezza che il mondo musulmano deve misurarsi con la sfida di “accogliere le vere conquiste dell’illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione”. Sarà per questo che il mondo islamico, anche quello dialogante, lo considera un “provocatore”. Ma che a condividerlo sia la Chiesa è davvero sconcertante.
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