Dopo l'annuncio dell'amministrazione Ceccarelli, che si è aggiudicata per 360 mila euro un pezzo importante annoverato fra l'archeologia industriale della provincia di Rimini, ripercorriamo la storia di questa struttura (che ha dato lavoro fino a 60 persone) che ha fornito la materia prima per l'edificazione di colonie e alberghi. Ma ora serve un'idea forte.
Meglio tardi che mai. Il Comune di Bellaria Igea Marina ha comprato all’asta (dopo otto tentativi di vendita andati deserti, partiti da un primo prezzo d’asta di 3 milioni e mezzo di euro) per 360 mila euro l’ex fornace di Bordonchio. Un pezzo di archeologia industriale sul quale in passato sono state tentate speculazioni immobiliari e sono volati alti molti sogni, irrealizzati, di recupero. L’amministrazione spiega di voler “consegnare la struttura nelle mani della collettività, a condizioni economiche vantaggiose, cogliendo l’occasione per favorire il recupero e la valorizzazione di un’area strategica del territorio: per la sua natura ‘storica’, per la sua collocazione e la sua versatilità d’uso”.
Difficile chiamarla ancora ex fornace perché l’edificio versa nel più assoluto degrado e parti importanti sono andate distrutte. L’amministrazione comunale si mantiene sul vago a proposito della futura destinazione, limitandosi a dir che “per conformazione e collocazione si presta a diverse opportunità di utilizzo, da quello culturale a quello ambientale o ludico sportivo”, ma già parla di “una prima fase di intervento, volta a una sistemazione generale delle aree verdi”. Entra così nella disponibilità del Comune un patrimonio di fabbricati di oltre 9.500 mq di superficie, 68.000 mq di terreni, tra cui l’ex cava di argilla, divenuta un lago ormai naturalizzato con tanto di fauna ittica (circa 24.000 mq, il primo bacino idrico per estensione sul territorio comunale).
La storia della fornace Verni-Vannoni è importante dal punto di vista architettonico, sociale ed economico, ma nonostante questo nelle varie pubblicazioni di storia locale è sempre stata trascurata. A fondarla furono i fratelli Guglielmo e Piero Vannoni insieme ai cugini Pietro e Luigi Verni, questi ultimi proprietari anche della fornace di San Giovanni in Marignano (ancora attiva).
Nasce nel 1926 quando nelle vicinanze ce n’erano solo tre: la fornace Fabbri di Rimini e la fornace Paganelli a Gambettola e Savignano.
Diede da subito lavoro ad una trentina di operai che estraevano l’argilla nella vicina cava e realizzavano laterizi destinati alla costruzione delle modeste abitazioni locali (“pagavano una parte dei mattoni con denaro liquido e il resto con cambiali”, dirà Giuseppe (Peppino) Vannoni in una rara intervista (Storia di Bellaria, Bordonchio, Igea Marina, Bruno Ghigi editore, 1993). Poi cominciarono a rifornirsi alla fornace di Bordonchio i costruttori delle colonie marine, come “La Pavese”. Quando, dopo la seconda guerra mondiale, si assistette allo sviluppo del turismo, fu anche il decollo di questa fornace, che raddoppiò i dipendenti e sfornò circa 50 mila mattoni al giorno, e poi tavelle, tegole, coppi. Purtroppo l’attuale struttura non dispone più del forno a tunnel di circa 150 metri di cui venne dotata la fornace alla fine degli anni 60, sostituendo quello precedente. Terminò l’attività negli anni 80 e il seguito è storia spesso raccontata dalle cronache. Divenne un deposito, poi negli anni 90 subì un incendio e successivi crolli. Attualmente è senza tetto, il lungo camino pende come la torre di Pisa, impalcature arrugginite testimoniano piani di recupero naufragati, e ferraglie, macchinari e materiali accatastati di ogni genere, contornano l’ex fornace insieme ad una vegetazione modello giungla.
Il Prg pensato nel 1980 classificava l’area della fornace “zona di qualificazione ambientale e per servizi al turismo”, ammettendo vari usi: attività commerciali al dettaglio e complementari, artigianato di servizio, pubblici esercizi, attrezzature culturali, per il verde e altro. Se si considera che il depuratore di Santa Giustina ha di fatto soppiantato quello che sorge davanti alla ex fornace, si può ben capire che tutta quell’area può assumere un ruolo strategico per una città che di nuovo respiro urbanistico ha enorme necessità e che da decenni non vede opere di ampia gittata.
In passato si è fantasticato molto sulla ex Fornace: si è parlato di insediarvi una casa di riposo, un iper (sembrò ad un certo punto che ad essere interessati fossero degli acquirenti cinesi, ad un passo dal concludere l’affare), un hotel di lusso, un ippodromo, addirittura un casinò e un ecomuseo con finalità artistiche e culturali.
La giunta di centrodestra ha portato l’ex fornace in mani pubbliche, ma ora c’è bisogno di un’idea forte per quel “contenitore”. Bellaria ha appena deciso di mettere mano ai lungofiume (lato Bellaria e Igea), ma una visione complessiva non si intravede all’orizzonte. L’isola dei platani langue e ancora non è stata partorita un’idea valida in grado di rivitalizzarla, l’arenile attende un piano, le colonie sono ancora terra di nessuno, compresa quella più centrale (l’ex ferrovieri), che versa in pietoso stato. Come minimo occorrerebbe un concorso di idee di valenza internazionale per tratteggiare la Bellaria Igea Marina del terzo millennio, e l’ex fornace dovrà essere un tassello della città futura.
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