Concessioni balneari: la legge di proroga è contro il diritto UE

Concessioni balneari: la legge di proroga è contro il diritto UE

"L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mer

“L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che proroga automaticamente la data di scadenza delle autorizzazioni relative allo sfruttamento del demanio pubblico marittimo e lacuale”. L’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia, Maciej Szpunar, ha ritenuto fondati i dubbi espressi dai TAR e ha oggi concluso che la direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato UE, impedisce alla normativa nazionale di prorogare in modo automatico la data di scadenza delle concessioni per lo sfruttamento economico del demanio pubblico marittimo e lacustre. E quindi la proroga al 2020 si incammina verso la bocciatura annunciata.
L’Avvocato generale ha chiarito (qui si può leggere il testo integrale delle sue conclusioni) che le concessioni demaniali non costituiscono «servizi» ai sensi delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici ma «servizi» ai sensi della citata direttiva, secondo la quale, quando – come avviene nel caso degli arenili – il numero di autorizzazioni disponibili sia necessariamente limitato in ragione della rarità o comunque della limitatezza delle risorse naturali, tali autorizzazioni debbono essere concesse secondo una procedura di selezione imparziale e trasparente, per una durata limitata, e non possono essere oggetto di una proroga automatica.
Come si è arrivati alla Corte Europea. Con vari decreti-legge emessi dal 2009 al 2012 e convertiti in legge, lo Stato italiano ha previsto la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative dapprima fino al 31 dicembre 2012 e poi fino al 31 dicembre 2020.
Alcuni gestori di attività delle aree demaniali marittime in Sardegna, in previsione della stagione balneare 2012, hanno presentato richiesta di un formale provvedimento di proroga; ma, stante il silenzio delle Amministrazioni competenti, hanno avviato le attività, ritenendo di essere legittimati dalla legge in tal senso.
Quando, poi, le amministrazioni, non riconoscendo la proroga automatica delle concessioni esistenti, hanno pubblicato gli avvisi per l’assegnazione di nuove concessioni anche su aree già oggetto di concessione, i predetti gestori sono ricorsi al TAR Sardegna, impugnando le delibere con le quali erano state implicitamente revocate le loro concessioni.
In altra vicenda, la Promoimpresa srl ha introdotto una domanda di rinnovo della concessione – in scadenza il 31 dicembre 2010 – per lo sfruttamento di una zona demaniale della sponda del lago di Garda. La domanda è stata rigettata dal Consorzio dei Comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro. La società Promoimpresa ha allora impugnato il rifiuto di rinnovo della concessione davanti al TAR Lombardia.
Sia il TAR Sardegna sia il TAR Lombardia hanno sollevato una questione pregiudiziale alla Corte UE avente ad oggetto la legge italiana che prevede la proroga automatica e generalizzata della durata delle concessioni sino al 31 dicembre 2020.
Secondo il TAR Lombardia, tale legge, benché adottata per le concessioni demaniali marittime, deve applicarsi egualmente alle concessioni demaniali lacustri, in quanto essa mira (o dovrebbe mirare) a proteggere gli investimenti dei concessionari in termini di ammortamento dei costi di gestione, in applicazione diretta del principio di proporzionalità, che impone di conciliare l’esigenza di concorrenza con quella di mantenimento dell’equilibrio finanziario del concessionario.
Entrambi i TAR rimettenti, tuttavia, dubitano che la legislazione nazionale, per la sua idoneità a sottrarre dal mercato beni produttivi al di fuori di ogni procedimento concorsuale, sia compatibile con i principii di libertà di stabilimento, di protezione della concorrenza e di eguaglianza di trattamento tra operatori economici, così come con i principii di proporzionalità e di ragionevolezza.
La generalizzazione del termine di durata della concessione, infatti, risulta essere contraria al principio di proporzionalità. Così come l’automatismo della proroga rispetto ai principi di libertà di stabilimento e protezione della concorrenza, poiché sottrae al mercato, per un periodo lungo, delle concessioni di beni molto importanti sul piano economico. Tale meccanismo, poi, così come congegnato, incidere in modo eccessivamente penalizzante, e quindi sproporzionato, sui diritti degli operatori del settore, che non hanno la possibilità di ottenere una concessione, malgrado l’assenza di concrete esigenze che giustifichino il protrarsi delle proroghe. Con la conseguenza di creare una discriminazione tra gli operatori economici. Oggi la decisione, più che attesa, dell’avvocato generale Maciej Szpunar. Ora si attende la Corte di Giustizia che dovrebbe esprimersi prima dell’estate.

Otto anni di pronunciamenti (da Agcm alla Commissione Europea) e di non decisioni della politica

Fu l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ad entrare nel merito del problema nel 2008, con una segnalazione del 20 ottobre.
Il codice della navigazione prevedeva che in presenza di più domande per il rilascio di una concessione demaniale marittima, la preferenza venga riconosciuta a chi è già titolare della concessione, per il cosiddetto diritto di insistenza. Un decreto legge del 1993 (n. 400) stabilisce poi che le concessioni demaniali marittime abbiano una durata di sei anni e siano automaticamente rinnovate ad ogni scadenza per ulteriori sei anni. In base alla sola richiesta del concessionario. In questo contesto si inserì l’Agcm con precise indicazioni a tutela della concorrenza. Già il Consiglio di Stato aveva detto chiaramente che il diritto di insistenza poteva essere compatibile con i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza, solo rivestendo carattere “residuale” ma in un quadro di completa equivalenza tra diverse offerte.
L’Autorità sottolineò che il rinnovo automatico da una parte non stimola il concessionario a corrispondere un canone più alto per la concessione e ad offrire migliori servizi agli utenti, e dall’altro favorisce comportamenti collusivi fra i soggetti titolari delle concessioni.
Poi fu la volta della Commissione europea, che il 29 gennaio 2009 inviò all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/4908) con riferimento alle norme nazionali e regionali e contestandone la compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con il principio della libertà di stabilimento. Ravvisò una discriminazione per le imprese provenienti da altri Stati membri, ostacolati dalla preferenza accordata al concessionario uscente.
All’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano rispose col D.L. n. 194/2009 (convertito nella legge n. 25/2010), sostanzialmente eliminando la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni. Ma anche stabilendo che le concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009, e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, fossero prorogate fino a questa data.
Sono seguite ulteriori contestazioni della Commissione all’Italia e una nuova lettera di messa in mora (5 maggio 2010), e nuovi atti del governo italiano, compreso il decreto sul riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime, che hanno fatto chiudere la procedura di infrazione nel 2012.
Sullo stesso argomento si è espressa anche la Corte Costituzionale, che con sentenza del 2010 ha fra l’altro dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 8/2009, che prevedeva la possibilità, per i titolari di concessioni demaniali, di chiedere la proroga della concessione, fino ad un massimo di 20 anni dalla data del rilascio, subordinatamente alla presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene. Secondo la Corte ciò determinava “un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.”.
Il D.L. n. 179/2012 ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.
La politica non ha deciso, preferendo tutelare i “corti” interessi che il settore dei balneari reclamava. Adesso, però, i nodi arrivano al pettine e il tempo perso peserà nella difficile ricerca di una soluzione per uscire dal vicolo cieco.

 

La direttiva 2006/123

L’articolo 12 della direttiva 2006/123, intitolato «Selezione tra diversi candidati», è quello che detta legge e così dispone:
«1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario».

 

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