Da lunedì abbiamo la possibilità di diventare un paese normale

Da lunedì abbiamo la possibilità di diventare un paese normale

Cosa ci giochiamo con il voto di domenica il cui esito, sulla base di analisi e sondaggi, appare deciso. Possiamo archiviare la caotica seconda Repubblica ed entrare in una terza fase basata sulle regole del gioco e la sana alternanza tra coalizioni. Oppure mandare tutto a scatafascio. Se la prossima maggioranza e la prossima opposizione avranno un atteggiamento responsabile qualche speranza c’è.

Lo scorso fine settimana, noi italiani, abbiamo assistito, in gran parte ammirati, al grandioso e commosso tributo del Regno Unito e dei paesi del Commonwealth alla regina Elisabetta, servitrice per 70 anni del suo popolo. In quelle cerimonie, in quei gesti, in quelle parole veniva riassunta la storia straordinaria di una piccola isola, capace di creare un impero e di difendersi contro sanguinosi tiranni e dittatori come Napoleone e Hitler. Abbiamo visto mobilitarsi un popolo normale, senza caratteristiche eccezionali, eppur capace di imprese straordinarie. Un popolo ricco di tradizioni, di storia, di ferrea pratica democratica e di educazione severa che addestra alla pratica di quella democrazia; una ricchezza che si è manifestata in questo tributo colmo di affetto e riconoscenza verso uno dei simboli di questa civilizzazione.
Per molti della mia generazione, che hanno passato le estati adolescenziali nel Regno Unito e che sono cresciuti ascoltando le canzoni dei Sex Pistols e andando in tutta Europa ai concerti dei Clash o dei Jam, la Regina rappresentava “altro”, ma in fondo c’era rispetto per quella monarchia parlamentare e costituzionale, massima espressione della democrazia occidentale, dove i ribelli e i detentori del potere hanno gli stessi diritti. E gran parte di quella generazione ha sempre sognato che tutto il mondo fosse come quella terra, dove amici e nemici convivono, scontrandosi civilmente e nel rispetto di regole comuni.

Domenica noi italiani andiamo al voto e potrebbero sembrare le solite elezioni politiche, che promettono tanto e si risolvono in poco. In alcuni, forse con eccesso d’ottimismo, c’è invece la sensazione che queste elezioni rappresentino la possibilità di una svolta.
Quando crollarono l’Urss e il muro di Berlino, in Occidente venne meno il “fattore K”, il saggio dicktat politico non esplicitato, che in pratica impediva ai partiti comunisti di andare al governo nel clima della Guerra Fredda. L’Italia ebbe, pochi anni dopo, il suo primo premier postcomunista: Massimo D’Alema. “Baffino” disse che il suo sogno era che l’Italia diventasse “un paese normale”. In realtà la seconda Repubblica era nata grazie ad un’enorme forzatura giudiziaria (alcuni arrivano a chiamarlo un colpo di stato), ma la forza di quell’espressione (“un paese normale”) è rimasta ed è diventata quasi proverbiale.
Ecco, domenica si chiude la caotica seconda Repubblica e da lunedì saremmo in una nuova fase, che potrebbe essere quella della “normalità”.
Ma cosa significa questa “normalità”? Che, come in ogni democrazia, possono alternarsi al governo conservatori e progressisti, che portano avanti le loro proposte politiche per cinque anni e poi si rimettono al giudizio degli elettori che promuovono o bocciano queste politiche. Quindi normalità significa un governo stabile, riconosciuto come legittimo da tutti, nel rispetto di regole del gioco comuni, che possa sviluppare le sue proposte sulla base delle quali sarà giudicato.

Abbiamo già un’idea di come finirà domenica, sulla base di analisi, sensazioni e di sondaggi che continuano ad essere fatti e compulsati. Vincerà il centrodestra; il Pd e i suoi alleati saranno ridimensionati; il M5S, dato per finito, resisterà; la proposta centrista di Calenda e Renzi non sfonderà. L’entità di queste tendenze è tutta da scoprire e saranno gli italiani a decidere, ma questo dovrebbe essere lo scenario. L’alleanza del centrodestra avrà una maggioranza solida, ma non dovrebbe raggiungere i due terzi di parlamentari che gli permetterebbero di cambiare la Costituzione in maniera più semplice, anche se questo obiettivo, per il centrodestra, resta alla portata.
Il dato più eclatante è che un italiano su quattro, di quelli che andranno alle urne, molto probabilmente voterà per Fratelli d’Italia guidata da Giorgia Meloni. Entrambe questi fattori rappresentano una fortissima novità.
Fratelli d’Italia viene da una lunga storia che è passata attraverso il Movimento sociale italiano, Alleanza Nazionale e Popolo della Libertà. Una storia che ha ufficialmente archiviato l’eredità fascista ed ha sempre rispettato le regole del gioco. FdI si definisce un partito conservatore, ma per i suoi avversari politici resta un movimento postfascista. Pensare che un italiano su quattro sia un nostalgico del fascismo, a 100 anni esatti dalla marcia su Roma e a quasi ottanta dalla caduta del regime, è un’enormità con nessun appiglio storico, sociale e culturale. Chi conosce la storia del fascismo e sa quali sono state le sua caratteristiche è perfettamente consapevole che l’Italia non corre questo pericolo e che nel complesso Fratelli d’Italia non ha nulla a che vedere con quell’ideologia. La nostra Costituzione, il nostro essere parte di organismi europei e internazionali che hanno posto saggi e importanti paletti, escludono la possibilità di un ritorno a forme espressamente antidemocratiche. Quindi diventerà primo partito un movimento conservatore, in coalizione tra l’altro con due partiti (Forza Italia e Noi Moderati) che sono affiliati e si rifanno alle idee del Partito Popolare Europeo, che è il partito della presidente della Commissione Europea Ursula von der Layen e della presidente del parlamento europeo Roberta Metsola. Di cosa stiamo blaterando in Italia?
Certo, all’interno di Fratelli d’Italia ci sono – per storie familiari, di ideologia o di incomprensione della storia – dei nostalgici del fascismo, ma sarà il nostro contesto democratico, che faticosamente si è sviluppato in questi quasi ottant’anni, a relegarli ai margini. Di certo saranno oggetto di tanti articoli di colore e di polemiche.
Quello che osservatori più attenti mettono in luce è invece il pericolo di una “democratura”, cioè che la coalizione di centrodestra, eletta regolarmente, metta poi in atto politiche che facciano virare l’Italia verso modelli come quelli dell’Ungheria di Orban o la Polonia di Morawiecki, modelli definiti come “democrazie autoritarie”.
Su questo punto la questione diventa più complessa. Il dato di fatto è che su alcuni aspetti, per esempio il controllo dell’informazione e la separazione dei poteri tipica delle democrazie, assistiamo in questi paesi dell’Est a delle derive pericolose che vengono condannate in ogni consesso internazionale. La stessa Ue, che elargisce ingenti risorse economiche a favore di questi nazioni, sta esercitando fortissime pressioni (alcuni le definiscono “ricatti”) verso i rispettivi governi.
La questione si gioca tutta qui. Sicuramente il prossimo governo di centrodestra cercherà di portare avanti delle riforme (presidenzialismo, riforma della giustizia ecc. ecc.) su cui si registreranno fortissime opposizioni. Il problema sarà capire se queste riforme cambieranno le regole del gioco democratico o meno. Sarà una responsabilità del prossimo premier e del prossimo Governo restare all’interno delle regole, così come sarà responsabilità dell’opposizione distinguere se una riforma è legittima, cioè rispetta le regole, o no. Per intenderci: non si dovrebbe gridare “al fascismo, al fascismo” se verrà proposta una riforma presidenziale (tipica di grandi democrazie) o la separazione delle carriere; si potrà farlo, legittimamente e doverosamente, se si proporrà un bavaglio ai mezzi d’informazione o il controllo dell’esecutivo sul potere giudiziario. Diamo comunque per scontato che sentiremo molto spesso gridare “al fascismo, al fascismo” in maniera impropria, sia in Italia che all’estero.

E’ pressoché inutile tornare sul fatto che, molto probabilmente, avremo la prima donna premier in Italia. Basterà dire che rappresenta un enorme passo in avanti per il nostro paese. Una vera e propria Liberazione, necessaria e dovuta.

Dunque da lunedì in poi ci giochiamo una bella fetta del nostro futuro: non ci trasformeremo nello straordinario Regno Unito, ma abbiamo la possibilità di diventare un paese normale. E se riusciremo in questo passaggio avremo altri benefici. Tra questi il necessario e auspicato ripensamento interno alle forze di centrosinistra che dovranno abbandonare la pratica della ricerca del potere, ondivaga e fine a se stessa, per tornare ad esercitare una vera politica e mettere in piedi una proposta credibile per il governo del paese, nell’ottica di una sana alternanza tra due coalizioni.

Ps sul voto locale: il centrodestra ha la possibilità di vincere nel voto uninominale e di eleggere Jacopo Morrone; Andrea Gnassi sarà sicuramente eletto nel proporzionale. Comunque la si pensi, per la Romagna è meglio avere due rappresentati a Roma, di cui uno al governo, che conoscono il territorio e le sue istanze, che uno solo. Two is mei che one. In base ai risultati e ai difficili calcoli che seguiranno al voto, se si infilano alcune complesse combinazioni, ha qualche residua speranza anche Mimma Spinelli di Fratelli d’Italia, il che potrebbe essere di ulteriore aiuto per la nostra terra. Pleonastico aggiungere che si deve andare a Roma come civil servant di una comunità e di un territorio, non per farsi gli affari propri, ma non è male ripeterlo.

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