Diario prospettico: Urali visti dal basso

Diario prospettico: Urali visti dal basso

Abbiamo fatto giusto un paio di domande a Urali cioè Ivan Tonelli. Si è parlato del suo ultimo disco “Persona”. Ecco cosa ne è venuto fuori.

Tutti sanno che gli Urali sono una catena montuosa più o meno dalle parti della Russia. Per te invece, cosa è Urali?
Urali non è molto cambiato rispetto a quando l’ho “inventato”, quattro anni fa. Dentro ci metto sempre tutto quello che sono e quello che succede nella mia vita. Questo è il motivo per il quale penso che Urali, come progetto, non cesserà mai di esistere.

Sin dal primo disco, la tua musica alterna parti estremamente fuzzose e scure ad arpeggi melodici di chitarra classica. Dove nasce questo modo di suonare e quali credi siano i tuoi grandi riferimenti?
La musica che ascolto è sempre stata decisamente chitarra-centrica ma ho sempre spaziato tra suoni più estremi o sperimentali e cose più melodiche. Mi è sempre sembrato naturale mischiare queste due componenti, non c’è premeditazione. Per quanto riguarda i riferimenti sono decisamente troppi. Un’intera discografia di un artista che ami tantissimo potrebbe ispirarti un’idea di forma canzone ma mai palesarsi in altre somiglianze o discendenze più dirette. Vorrei avvicinarmi a Phil Elverum, anche fisicamente per abbracciarlo.

Ora inizia la parte in cui mi faccio dei gran viaggi sui testi e parliamo del contenuto del tuo secondo album “Persona”. Mi sembra che tutto il disco sia una raccolta di prospettive. Ora mi spiego. E’ come se i nomi propri che titolano le canzoni, facciano luce sulle diverse sfaccettature di una medesima persona. Ai titoli delle canzoni si accompagna sempre una sorta di sottotitolo tra parentesi, come ad identificare la persona con ciò che lo caratterizza. Com’è pensato questo disco?
Ogni canzone di Persona è pensata come un “questa persona vista attraverso i miei occhi” quindi il discorso delle prospettive è giusto. Non c’è work of fiction in quel disco, è quasi un diario. Sicuramente era un modo di scrivere liriche e musica nel quale credevo molto in quel momento, ora non sono più interessato a raccontare così smaccatamente la mia vita. Diciamo che sto provando filtri diversi.

C’è un altro aspetto del disco che mi incuriosisce. Ossia il suo lato psicanalitico. Ogni canzone-persona di questo album racconta i suoi problemi, i suoi difetti e qualche volta anche il tragico tentativo di risolvere questa dimensione. E tutti questi sforzi sono dannatamente vani perché sempre legati ad immagini fantasiose. Ad esempio Frances: “We can a find a place to stay even if it’s in my head”. Oppure Catherine: “I would like to be the sky or a satellite and revolve around you eternally to finally see you wholly and draw you as you really are”. Smentisci o argomenta…
Ogni brano ha una propria storia ma I versi che hai citato sintetizzano bene lo spirito di tutto l’album. Quello che mi interessava era annullare la distanza tra me che racconto una storia o una sensazione, l’ascoltatore che si trova nella testa di qualcun altro e la persona che viene analizzata e dipinta. L’esito positivo di questo processo non era necessario. Anche il fallimento andava raccontato ed è per questo se qua e là si trova dell’incompiutezza o della disillusione.

Ora parte la filologia. Ho notato come ritorni diverse volte il termine “room”. Oltre ad indicare stanze fisiche e luoghi, mi sembra che alluda a spazi interiori in cui ciascuno tenta di dare soluzioni a ciò che non è stato in grado di risolvere in determinati momenti della sua vita. A sostegno della mia tesi, riporto quello che secondo me rappresenta perfettamente questo aspetto del disco e mi riferisco a LZ: “I’ve studied dynamic balance to be an architect of castles in the air”.
Devo ammettere di non aver fatto caso a quante volte ho scritto room nei testi ma quello che dici è interessante. A posteriori l’idea di “persona come una stanza” si presta bene a quello di cui parlavamo prima. Ti dirò di più: ora sono molto, molto più meticoloso nello scrivere i brani. Se ai tempi di Persona o del disco precedente mi lasciavo prendere dalla prima idea che mi veniva in mente (ed era giusto così visto che di diario si parlava), ora il processo è decisamente più lungo e analitico.

In cosa credi che “Persona” differisca dal tuo primo disco omonimo? O meglio, è cambiato qualcosa nella stesura delle canzoni, nel modo di scrivere i brani?
Dopo quattro anni, cinque se penso a quando l’ho scritto e registrato, il primo album mi sembra poco più che una demo ma penso avesse dentro diverse idee carine. Era tutto molto urlato anche se non sembra, scritto molto velocemente e con molte prolissità ed errori ma testimonia bene com’ero all’epoca. Ci sono dentro tutti gli elementi che volevo mettere in musica da sempre ma solo in forma embrionale. Di certo è l’ultimo disco “giovane” della mia vita; avevo 24 anni ed ero molto più irrequieto di adesso ma anche più voluttuoso e curioso del futuro, visto che uscivo da un paio d’anni brutti.

Ho visto che stai preparando il prossimo disco. Ti chiedo un piccolo spoilerino.
Il nuovo album sarà molto diverso dai dischi precedenti e stiamo registrando tanti strumenti: batterie, percussioni, pianoforti e altro. Ci suoneranno Dimitri Reali, il batterista dei Ponzio Pilates e Andrea De Franco che ha realizzato il videoclip di Catherine ed è un fumettista e illustratore ormai affermato. Sarà una raccolta di racconti brevi che fanno parte di un’unica storia. Non saprei dare dei riferimenti musicali perché gli spunti maggiori mi sono arrivati da materiale visivo o letterario, un po’ Lovecraft, un po’ Akira, un po’ DeLillo. In questi anni ho riflettuto molto sulle disparità di genere, sul rapporto col proprio corpo e tante altre cose. Spero vi piacerà ma si dovrà aspettare ancora un bel po’ perché il lavoro non si concilia con il rock e le tempistiche si sono dilatate molto.

Dimmi un disco di cui non potresti fare a meno.
Ti dico l’ultimo che ho ascoltato: “Call Me Over” di Always Never.

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