Dio ci scampi dal @Pontifex cinguettante

Dio ci scampi dal @Pontifex cinguettante

C’è più salvezza in una qualsiasi delle pagine di Seneca che nei 1.384 cinguettii papali messi insieme

Veline stinte, l’abbecedario dello scoutismo, un decalogo di vaghi pensieri di cattivo gusto, lo zuccherificio per i puri di cuore e ottusi di testa. Frasi che potrebbe dire un candidato premier qualsiasi, Pietro Grasso, ad esempio, oppure il Presidente Mattarella. Ecco perché al pontefice che twitta preferisco quello che ruggisce.

Esattamente 500 anni fa le corti europee, da Bruxelles a Basilea, da Londra a Parigi, furono solleticate da un pamphlet provocatorio, il Giulio. Oggetto del testo, redatto in forma comico-teatrale, “come Giulio II Pontefice Massimo vada a bussare, appena morto, alla porta del paradiso e come il portiere, san Pietro, non lo lasci entrare”.
Nel testo, Giulio II è ritratto come scaltro, sanguinario, sodomita, assatanato dal potere. Per questo, san Pietro risponde alle sue preci con un calcio nei coglioni. Autore del testo, che fece esplodere i fuochi d’artificio del pettegolezzo, un ignoto dietro la cui maschera si nasconde Erasmo da Rotterdam (il testo, a cura di Silvana Seidel Menchi, per i fini di capa, è edito da Einaudi). All’alfiere del libero arbitrio, all’autore del livido Elogio della follia, le sadiche moine di Giulio II non garbavano, lo facevano ammattire. Certo, Giulio II era un ‘Papa guerriero’, era feroce e ‘terribile’, come lo dipingono i contemporanei; ma lui s’è fatto dipingere da Raffaello e pagava lo stipendio a Bramante e a Michelangelo, era dotato di un senso estetico davvero divino. Beh, dico io, meglio Giulio II, uno che ruggisce, di Papa Francesco, uno che cinguetta.

Notizia del giorno. I celestiali cinguettii papali compiono cinque anni: il pontefice twitta da un lustro, ed è felice di farlo, “le reti sociali siano luoghi ricchi di umanità!”, battezza, dal pulpito telematico. Cinque anni del Papa su twitter, la Sion dei social, mi obbligano alla domanda fatale: ma davvero è un bene che il Papa sia ‘social’? Quanto il Lancillotto di Dio deve essere di questo mondo, servo delle voglie di questa terra corrotta? Lo stratega della comunicazione papale, Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, teorico della Cyber Teologia – qualcosa che sta tra Matrix e Sant’Agostino – che in una vita precedente si occupava dell’opera di Pier Vittorio Tondelli e dei film di Krzysztof Kiéslowski, ritiene che sia giusto divulgare il Verbo nella rete, dacché il buon cristiano può bonificare ogni cosa, è un taumaturgo che tramuta la merda digitale in fioretti. Di base, ha ragione Spadaro. I discepoli di Cristo esplodono nel mondo perché non c’è lato di mondo che non possa accogliere la lieta novella. E se si muore, amen, si muore martiri. Il problema, però, non sta nel metodo, ma nel modo, mondano.

Nella comunicazione di papa Francesco mancano due criteri fondamentali. Intanto, l’invisibilità. Poi, il suo fratello gemello, il silenzio. Gesù, che rompe con la comunicazione ‘del mondo’ – fatta nella sinagoga o nella piazza: egli preferisce i bordi dei fiumi, i borghi, le barche, gli spazi periferici, obliati – è presente proprio quando non c’è, è più vivo da morto che in carne e ossa. E spesso sente il bisogno di frequentare il deserto (“Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto”, Lc 4,42), di recidere la comunicazione con gli uomini, con il mondo, anche con chi gli vuole bene. Papa Francesco, via social, non vince il mondo ma ne è dominato e vinto, i suoi cinguettii equivalgono a quelli di qualsiasi altro. Chi diventa uno dei quasi cinque milioni di follower di Papa Francesco non vince in regalo un Vangelo: il sistema social gli suggerisce di diventare un seguace di Jovanotti, perché per i criteri del mondo Papa Francesco e Jovanotti sono la stessa cosa, due personaggi ‘in vista’, due vip. D’altronde, che tipo di messaggi cinguetta il papa via social? Veline stinte, l’abbecedario dello scoutismo, un decalogo di vaghi pensieri di cattivo gusto, lo zuccherificio per i puri di cuore e ottusi di testa, roba tipo “Chiediamo la grazia di rendere la nostra fede sempre più operosa per mezzo della carità”, “Bisogna che l’azione politica sia posta veramente al servizio della persona umana, del bene comune e del rispetto del creato”, “La corruzione va combattuta con forza”, frasi che potrebbe dire un candidato premier qualsiasi, Pietro Grasso, ad esempio, oppure il Presidente Mattarella, almeno Salvini è più brioso. Frasi di buon senso e di buon gusto, che ci convertono immediatamente a qualsiasi altra fede: c’è più salvezza in una qualsiasi delle pagine di Seneca che nei 1.384 cinguettii papali messi insieme.

Un tempo il papa propalava anatemi, ora propaga sentenze di agghiacciante banalità, magari ci dà anche i consigli per i regali delle feste. Viene da pensare che il papa, con rispetto parlando, abbia studiato poco i Vangeli. Gesù aveva una straordinaria capacità di sintesi, denunciata, se non vi vanno i ‘canonici’, ad esempio, nel Vangelo gnostico di Tommaso: “Chi cerca, non smetta di cercare finché non avrà trovato. Quando avrà trovato, si turberà”; “Beato il leone che sarà mangiato da un uomo, perché il leone diventerà uomo”; “Beato l’uomo che ha sofferto: ha trovato la vita”. Esempi geniali di tweet scritti un paio di millenni fa. A un papa che cinguetta, preferisco il papa che ruggisce.

Pangea.news

COMMENTI

DISQUS: 0