Don Renzo Rossi: a tu per tu col Papa

Don Renzo Rossi: a tu per tu col Papa

Non credevo che nella mia vita avrei potuto assistere alla stagione di rinnovamento che Papa Francesco sta portando nella chiesa, dice l'abate di San Fortunato.

“Non credevo che nella mia vita avrei potuto assistere alla stagione di rinnovamento che Papa Francesco sta portando nella chiesa. L’incontro con lui, pochi giorni fa, è stato davvero significativo ed emozionante”. Chi parla è don Renzo Rossi, abate-parroco di San Fortunato, sul colle di Covignano, e in passato segretario particolare di mons. Giovanni Locatelli, ex vescovo di Rimini.
Il 28 settembre don Renzo ha celebrato una messa a Santa Marta con il Papa, col quale ha poi potuto parlare personalmente.
Allora, don Renzo, com’è stata l’esperienza a tu per tu col Papa?
Bellissima, rigenerante, di quelle che lasciano il segno.
Cosa l’ha colpita di più?
Sono tanti gli aspetti …. Anzitutto Papa Francesco sprigiona una serenità, una fede e una energia di cambiamento che colpiscono e riscaldano il cuore. E sono tornato a casa ancora più convinto che si debba pregare perché il Papa possa continuare a guidare la chiesa ancora a lungo. E’ un uomo di Dio e lo testimonia nei piccoli e nei grandi gesti, va alla radice delle cose, vive della forza che gli viene dal Padre ma credo anche dal sostegno e dalla preghiera del popolo di Dio.
Quindi un papato che sta facendo entrare aria nuova nella chiesa.
Assolutamente si e Dio solo sa quanto ce ne fosse bisogno. E’ come assistere ad un nuovo inizio per la chiesa.
Com’è nata l’opportunità che ha avuto di stare a contatto col Papa?
Banalmente direi che è nata guardando il calendario, ma dietro a tutto c’è la mano di Dio. Il 4 ottobre cadeva per me una data significativa: sono 15 anni trascorsi a San Fortunato, e la prima domenica di ottobre, quindi domani, si tiene la festa della parrocchia. Ho pensato che sarebbe stato bello cercare l’origine del valore di questi due eventi, e non c’è origine più profonda e radicata nella roccia, di andare al cuore della Chiesa, alla cattedra di Pietro. Per questo motivo il mio non è stato un incontro “solitario” col Papa, ma ho portato con me tutta la comunità di Scolca. Materialmente ero lì da solo, ma nel mio cuore c’erano tutti. Siccome poi mi sento molto amato dalla mia gente, a mia volta ho desiderato portare a tutti l’amore del Papa, testimone vivente di Cristo qui ed ora. E sono rimasto molto contento nel vedere che i parrocchiani coi quali ho già avuto modo di raccontare qualcosa di questa esperienza, abbiano avvertito che è come se fossi andato dal Papa con loro.
E cosa racconterà ai suoi parrocchiani domani durante la messa?
Dirò “vi porto la benedizione di Papa Francesco, seguiamo lui e la nostra umanità rifiorirà”.
Però non mi ha detto nel dettaglio come ha ricevuto l’invito del Papa.
Il 28 agosto ho scritto una lettera al segretario del Papa, mons. Alfred Xuereb, spiegando il mio desiderio e le motivazioni. Il 6 settembre ho ricevuto la risposta. Mons. Alfred mi diceva che avrei potuto partecipare alla messa col Santo Padre il 28 settembre (che è anche il giorno dell’anniversario della morte di Papa Luciani), alle 7 del mattino a Santa Marta.
Alle ore 16 del 28 settembre avevo un matrimonio già fissato da tempo, quando ancora non sapevo che sarei dovuto andare in Vaticano…
Non mi dirà che ha fatto “saltare” il matrimonio.
Ovviamente no. Ho chiamato la coppia spiegando cosa era successo e assicurando che sarei tornato per il pomeriggio, ma per essere tutti più sicuri ho anche domandato ad un altro sacerdote la disponibilità a sostituirmi nel caso fosse accaduto qualche imprevisto nel ritorno.
E’ andato tutto liscio?
Si, alle 12.40 ero già in parrocchia e quindi li ho potuti sposare io.
Cos’è successo invece a Santa Marta?
Alle 6.45 sono entrato dal portone del Sant’Uffizio ed all’interno ho trovato altri sacerdoti, in tutto eravamo una quindicina. Ci siamo preparati e siamo stati accompagnati nella cappella dove il Papa celebra ogni mattina la messa. I preti in prima fila e dietro c’era anche qualche laico. Alle 7 è entrato Papa Francesco, senza cerimonieri, si è preparato anche lui ed è iniziata la messa. Molto concentrato, con un volto sereno che non si può fare a meno di notare, come suo solito ha fatto l’omelia “a braccio”. Ha parlato della croce. La croce ci fa paura, ha detto, ma “non c’è redenzione senza l’effusione del sangue, non c’è opera apostolica feconda senza la croce”. Ciò che coinvolge nelle parole del Papa è il continuo interscambio del piano umano con quello spirituale. “La croce fa paura”, ha detto, ed è vero, è umanamente così anche per il prete come per ogni uomo. Ed ha concluso: “Dobbiamo chiedere la grazia di non fuggire dalla croce quando verrà”, e dobbiamo chiederlo a Maria, “sua madre, che era vicinissima a Gesù sulla croce, lei sa come si deve stare vicino alla Croce”.
Finita la messa?
Ci siamo tolti i paramenti e tutti i presenti hanno potuto incontrare il Papa. Io sono stato il terzo, perché eravamo in fila. Ho consegnato al Papa due libri, uno sul museo di Scolca e uno della collana benedettina sull’Abbazia, accompagnati da una lettera e da una offerta. Quando gli ho detto che sono parroco di una antica Abbazia Benedettina Olivetana, mi ha subito risposto: “Che bello!”, e si è illuminato in volto. “E’ intitolata all’Annunziata”, ho aggiunto. E lui: “La Madonna del si”.
Abbiamo parlato un po’ e al termine ho chiesto la benedizione anche per tutti i miei parrocchiani e i miei genitori che vivono me. Con una tenerezza palpabile, mi ha stretto le mani dicendomi: “Saluti tutti e porti la mia benedizione ai parrocchiani e ai suoi genitori”.
Cosa le ha insegnato stare così vicino al Papa?
Ho trovato conferma del fatto che il Papa ha la stessa familiarità con tutti, anche di persona è così come lo vediamo in televisione quando bacia i bambini e accarezza i malati. Nell’intervista a Eugenio Scalfari ha detto: “A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri”. E’ proprio così, lui vive in privato e in pubblico lo stesso desiderio di incontrare e condividere, senza formalismi. Si capisce da come parla e si muove, dalle attenzioni che manifesta verso tutti, da come ti guarda,… sprigiona una enorme ricchezza interiore. Penso che il cammino che ha fatto, l’esperienza vissuta “ai confini del mondo”, l’abbia formato al servizio che sta svolgendo nella chiesa come successore di Pietro. Quando parla della croce, della gioia, della misericordia, è evidente che non sta ripetendo delle parole ma trasmette realtà vissute. E siccome la santità è contagiosa, si notano anche alcuni particolari del suo “stile” che si sta diffondendo anche in curia.
Ad esempio?
E’ una cosa piccola, ma che mi ha colpito. Le guardie svizzere di solito facevano il saluto e basta. Quando sono entrato per la messa a Santa Marta, dove adesso ci sono due guardie svizzere all’ingresso, una di loro mi ha detto: “Buona messa”.

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