E’ in libreria una bella “Storia della chiesa riminese”, che però scivola sugli anni postconciliari

E’ in libreria una bella “Storia della chiesa riminese”, che però scivola sugli anni postconciliari

Dalle origini ai giorni nostri. Ma gli anni più recenti risentono della difficoltà di una ricostruzione libera e completa. Il post-concilio viene annacquato e reso monco delle turbolenze che hanno segnato le vicende ecclesiali a Rimini. Totale silenzio sugli addii "forzati" di mons. Biancheri e mons. Locatelli. Ma nell'insieme l'opera è ricca di contributi interessanti. Mistero sui costi del monumentale progetto editoriale (quattro volumi, 2400 pagine), pagato soprattutto da Fondazione Cassa di Risparmio e Carim.

L’opera è monumentale. Se lo siano anche i costi non siamo in grado di dirvelo perché, pur avendoli chiesti all’ufficio stampa della diocesi, all’Istituto Superiore di scienze religiose “A. Marvelli”, alla Fondazione Cassa di Risparmio e alla Carim (è di questi ultimi due il sostegno economico principale all’opera) nessuno ci ha fornito la cifra.
Dalle origini della vita cristiana riminese al tempo presente: è questo l’ambizioso contenuto della Storia della chiesa riminese, un progetto editoriale diocesano che ha occupato cinque anni per arrivare a conclusione, promosso e coordinato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” e dalla Biblioteca Diocesana “E. Biancheri”, ai quali ha fatto capo anche il coordinamento redazionale e operativo e che hanno contribuito in modo minore al sostegno economico dell’operazione, insieme alle entrate da donazioni spontanee (tramite sottoscrizione alla “Tabula gratulatoria”).
I quattro volumi si possono leggere in una duplice veste editoriale: 1400 eleganti copie a stampa (Editore Piergiorgio Pazzini) e in formato e-book (Guaraldi).
Il primo volume “Dalle origini all’Anno Mille”, il secondo “Dalla lotta per le investiture ai primi anni del Cinquecento”, il terzo “Dal Concilio di Trento al 1796”, il quarto “Dal 1797 ai nostri giorni”. Ognuno con un curatore diverso, rispettivamente Raffaele Savigni, Augusto Vasina, Samuele Giombi e Emanuele Giunchi, Piergiorgio Grassi per quanto riguarda l’ultimo.
Il lavoro è serio (molto belle anche le immagini che corredano i testi) e raccoglie in quattro imponenti tomi di circa 600 pagine ciascuno, per oltre 80 saggi, qualcosa che non esisteva: mancava infatti una storia della chiesa di Rimini e la lacuna è stata colmata.
Per il comitato scientifico non si è andati al di là della solita cerchia (Aldo Amati, Natalino Valentini, Rosita Copioli, Oreste Delucca, Gabriele Gozzi, Piergiorgio Grassi, don Andrea Turchini, Federica Giovannini e Pier Giorgio Pasini) mentre si sarebbe potuto ampliare anche ad altri. Idem per gli autori che hanno affrontato determinati aspetti della storia recente, scelti in un giro abbastanza ristretto.

Ci occupiamo in particolare del quarto volume, quello forse più atteso, perché la storia di cui tratta è ancora fresca nella memoria di tanti. Molta era quindi la curiosità di capire come sarebbe stata trattata la stagione che va dal post-concilio ai giorni nostri. Al termine della lettura si ha l’impressione che si tratti di una storia ancora troppo attuale, in parte anche di una ferita non del tutto emarginata, per poter essere analizzata senza censure.
E’ stato affidato il periodo cruciale – “il secondo dopoguerra, il Concilio Vaticano II, l’età della secolarizzazione” – ad Ernesto Preziosi, ben noto nel panorama cattolico nazionale (è stato fra l’altro vicepresidente dell’Ac, docente a Urbino, con un ruolo di primo piano nell’Istituto Toniolo, dal 2013 deputato Pd) e non nuovo nemmeno a Rimini, si pensi solo al suo contributo su Marvelli.
Il saggio di Preziosi è utile per il quadro d’insieme e per alcuni aspetti particolari, ad esempio l’analisi sistematica dei documenti contenuti nel Bollettino della diocesi di Rimini. Ma è monco perché censura le grandi turbolenze che hanno segnato la chiesa riminese in quella complessa e problematica stagione e senza le quali non si comprendono aspetti decisivi: gli addii anticipati di mons. Biancheri e mons. Locatelli sembrano figli del caso, normali avvicendamenti. Così come la rivoluzionaria fase conciliarista viene totalmente annacquata, senza metterne in luce il proprium locale, legato anche alla fine anticipata delle due esperienze episcopali ricordate. E’ storia anche questa, fra l’altro raccontata dai diretti protagonisti: lo fece don Piergiorgio Terenzi in una intervista a Rimini 2.0. Sarebbe stato sufficiente leggersi le annate del Ponte per mettere un po’ a fuoco tutto questo.

Nulla dei dissidi che misero in grande difficoltà mons. Biancheri e che pesarono in maniera determinante nella sua decisione di lasciare, ovvero il caso don Campana. La clamorosa denuncia che mons. Locatelli pubblica nel 2000 (a cura di Pia Rosa dell’Acqua e Paolo Volpato), nel libro edito da Piemme col titolo Giovanni Locatelli. Il fascino dell’oltre, spiega anche le ragioni del suo abbandono: “Fui molto ostacolato, specie agli inizi! Ci doveva essere qualche ragione per tutto questo remare contro! Allora chiesi; ma questo è prova di debolezza e di paura; lo dovetti imparare. Ebbene mi facevano colpa per il fatto che non interpellavo, che decidevo da me. Si tratta di una delle rarissime cose che riuscii ad ottenere come spiegazione. Intanto non è vero! Chiedevo consigli e pareri, solo che il Consiglio, quello visibile e quello meno visibile, era deciso a frenare ogni cosa”. E’ il tema della “chiesa parallela” – che si è nutrita in una idea del Concilio Vaticano II come rottura con la tradizione – che governò la diocesi di Rimini per qualche decennio e che volle “pilotare” anche i vescovi. Il cambio di passo lo si avrà con l’arrivo di mons. De Nicolò, non perché il vescovo nominato nel 1989 al timone della diocesi di Rimini (e fino al 95 anche della diocesi di San Marino-Montefeltro, che poi diventerà autonoma) abbia deciso di mettere in riga i “conciliaristi” ma perché chiamò al suo fianco, nel ruolo di vicario generale, colui che del gruppo era stato la mente, mons. Aldo Amati.
Nella Storia della chiesa riminese il post-concilio ne esce fortemente amputato, senza rendere ragione di quella vena originale che ha preso forma attorno alla Rivista diocesana e al Ponte sotto la direzione Terenzi, e che costituisce un caso anche a livello nazionale, notato da un vaticanista attento come Sandro Magister, che sull’Espresso definì il settimanale diocesano come “voce moderna di un cattolicesimo di minoranza”.
Anche la decisione di inserire il vescovo in carica, mons. Francesco Lambiasi, nella Storia della chiesa riminese, apre qualche interrogativo di opportunità.

I capitoli più “nuovi” e di interesse sono quelli sulla pietà popolare e le madonne miracolose, “Tradizioni religiose e religiosità popolare” (Andrea Cicerchia); il Seminario, suddiviso fra 800 (Andrea Cicerchia) e 900 (Paolo Donati) che permette fra l’altro di capire gli antecedenti di una realtà oggi particolarmente in crisi. Assai istruttivo il “regolamento di vita per il seminarista in vacanza”: “Si alzi la mattina alle 6 o 6.30 e non più tardi (…). Durante le vacanze non deponga mai l’abito clericale; almeno ciò non faccia allorché si presenta in pubblico (…), fugga come peste la lettura dei libri cattivi (…)”; le iniziative assistenziali e benefiche (Biagio della Pasqua e Cinzia Sartini); la cultura letteraria (Ennio Grassi), che mette bene in risalto la figura di Maria Massani; il saggio di Piergiorgio Grassi “Dalla questione romana al fascismo”.

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