A Rimini si stanno combattendo alcune guerre! Non sono tutte facilmente decifrabili agli occhi di chiunque, ma vi assicuro che sono cruente e senza es
A Rimini si stanno combattendo alcune guerre! Non sono tutte facilmente decifrabili agli occhi di chiunque, ma vi assicuro che sono cruente e senza esclusione di colpi perché il loro esito può condizionare carriere personali, emancipazioni sociali, assunzione di ruoli politici e associazionistici, sistemazioni in posizioni strategiche per controllare dismissioni, ricapitalizzazioni, affari e infrastrutture.
Non sono all’evidenza di tutti, nel senso che non sono combattute con spadoni taglienti o con mitragliatori a pallottole perforanti, ma sono comunque sanguinose, laceranti, invasive nel corpo vivo delle più intraprendenti componenti della società riminese. Sono combattute con le arti della guerra!
In questa sede e per il momento, non ci interessano le guerre sul campo della politica, dei partiti e delle associazioni sindacali. Arriverà presto il giorno dell’attivazione o dello svelamento dell’arma letale che spariglierà le squadre, ridurrà i manipoli e scompaginerà la coesione dei gruppi politicizzati. In poche parole, arriverà l’ora che per molti attori del presente metterà in seria discussione la certezza del proprio futuro.
E’, invece, utile aprire uno spaccato su una guerra che è combattuta da molti anni nelle un tempo ovattate stanze di Palazzo Buonadrata (Fondazione Carim) e della sede legale della Banca conferitaria in piazza Ferrari. In quei luoghi, dietro apparentemente cordiali strette di mani e sotto incombenti e quasi esibiti crocefissi, dunque nella tradizione della migliore storia democristiana di questo Paese, è in corso una lotta all’ultimo sangue e senza esclusione di colpi. Il cui esito non è scontato.
Una lotta, una guerra, fatta anche di molti errori tattici e di posizionamento e di alcuni casi di incompetenza bellica. Cioè di scelte sbagliate nell’individuazione della classe dirigente, di alleanze bancarie mancate o ritardate, di commissariamenti invadenti e di un presuntuoso isolamento costruito su un’autoreferenzialità tipicamente riminese.
Si è visto di nuovo in questi giorni. In pratica, dopo solo poche settimane dalla sottoscrizione di un preciso protocollo di intesa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e l’Associazione delle Fondazioni e Casse di Risparmio S.p.A. (ACRI), l’Ente con sede in palazzo Buonadrata cosa fa?
Esattamente il contrario di quanto dettato da quel protocollo di intesa che prevede precisi vincoli normativi in grado di imporre alle Fondazioni bancarie di ridurre il proprio peso nei corrispondenti istituti di credito, fino a perderne definitivamente il controllo azionario nel giro di pochi anni.
Attraverso l’organizzazione di una lista di appoggio di fatto controllata da parenti e amici dei vertici della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, si elude e aggira il diritto-dovere di garantire un’autonoma e indipendente rappresentanza nel C.d.A. della Banca. Poco importa se questo metodo è camuffato in modo grottesco e incardinato su personaggi in cerca di autore. E poco importa se questo metodo calpesta la volontà collaborativa della migliore imprenditoria di Rimini.
Il nefasto risultato, del tutto sfuggito per superficialità o per incompetenza a tutti gli organi dell’informazione locale, è nei fatti quello di aver tradito lo spirito di quel protocollo di legge che impone anche alla Fondazione di Rimini di perdere il controllo di Banca Carim. E di aver eluso la norma – appena introdotta – con un peloso atteggiamento dei vertici della Fondazione che non passerà inosservato ai controlli e alle verifiche di Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Difatti, in occasione dell’ultima assemblea della Cassa di Risparmio di Rimini, la discesa in campo delle categorie economiche e produttive, ben rappresentate dagli industriali e dagli imprenditori operanti sul territorio, è stata stoppata dall’invasione di campo della stessa Fondazione che di quella Banca mantiene la maggioranza azionaria e, visti i risultati, il controllo totalitario. Non c’è che dire: una strategia che appare almeno discutibile dato che gli addetti ai lavori sanno ormai bene che la straziante ricapitalizzazione di pochi anni fa non è risultata sufficiente e che ne dovrà seguire un’altra ancora più dolorosa per la stessa Fondazione.
Infatti, all’uscita dall’Assemblea della Cassa di Risparmio tenutasi il 28 u.s., un pensionato, probabilmente un piccolo azionista, all’esito delle votazioni che hanno incoronato amministratori della Banca solo i fedelissimi dei vertici di Palazzo Buonadrata, sillabava agli astanti: “Ma come si può essere così inavveduti? Quando sarà il momento della nuova ricapitalizzazione della Carim, la Fondazione con quale coraggio si rivolgerà a quegli industriali e a quegli imprenditori che oggi ha mortificato condizionando il voto degli azionisti?”
In questa breve affermazione c’è la sintesi di una guerra che ha obiettivi non dichiarati o non dichiarabili. Orchestrata da quanti sembrano più interessati alle vicende personali che alle ricadute in termini di solidità bancaria e di vantaggi per il sistema economico locale.
C’è una sintesi quasi inappellabile sul modus operandi dei vertici della Fondazione, la cui unità è tra l’altro minata da contrapposizioni di vecchia data che non facilitano tregue o armistizi tra i contendenti nel supremo interesse della banca e degli azionisti.
Una guerra in Fondazione che è destinata a diventare velenosa e a rivelarsi ancora più sanguinosa nella contesa per la successione all’attuale Presidente in carica, che è in scadenza nella Primavera del 2016. E la cui elezione, qualche anno fa, è stata resa possibile solo grazie alle forzate dimissioni del suo predecessore, pure lui proveniente dal mondo dell’imprenditoria locale!
Così si prolungano le guerre e dal passaggio da un campo di battaglia all’altro, da un colpo basso all’altro, si sorvola sulle strategie per lo sviluppo, sull’individuazione delle migliori alleanze bancarie per uscire da una ormai indifendibile autonomia riminese. Si sottovalutano le ferite profonde inferte alle rappresentanze del mondo produttivo locale, le non rinviabili scadenze di un programma bancario di rafforzamento patrimoniale, di efficienza organizzativa e di solidità del credito.
E così, impantanati nelle trincee delle solite guerre, si perdono occasioni e uomini per ben più importanti battaglie a favore del lavoro, della crescita e dello sviluppo di questa realtà. Perciò si continuano a perdere occasioni per il futuro!
Un vecchio azionista Carim
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