Il Comune mendica 1 milione di euro in cultura. Ne riceve zero

Il Comune mendica 1 milione di euro in cultura. Ne riceve zero

Incapace di valorizzare i propri tesori, l’Amministrazione vara una raccolta fondi tramite il Ministero. Inutile. Ovvio: gli imprenditori vogliono essere coinvolti, mica finanziare le idee degli altri.

Tutta colpa di Gramsci: ha carcerato la libera impresa culturale
Che fine hanno fatto i degni eredi di Sigismondo?
Fuor di metafora: dove sono i mecenati, i privati che fanno investimenti in cultura? Non ci sono. Come mai? Perché gli imprenditori sono avidi, vogliono tanti soldi&subito. E perché sono diligentemente ignoranti, non hanno tempo da perdere, loro, con gli archibugi della cultura. La risposta, brutale, è vera a metà. Per sconfiggerla basterebbe riandare alla storia di Angelo Rizzoli, cresciuto in orfanotrofio, figlio di un ciabattino analfabeta, povero in canna, che partì come umile tipografo per fondare un impero dell’editoria italiana. E non solo. La storia di Rizzoli, infatti, s’intreccia a quella di Federico Fellini: la Cineriz è la casa di produzione cinematografica fondata dal geniale editore che mandò sul mercato La dolce vita e Otto e mezzo. Tra l’altro, insieme, Fellini e Rizzoli fondarono la Federiz – sintesi di ‘Federico’ mischiato a ‘Rizzoli’ – che però funzionò a singhiozzo.
Ma, ecco, tornando a bomba, è possibile che a Rimini non ci siano imprenditori che ne abbiano piene le scatole del vuoto culturale statalista e investano oltre che in squadre da calcio anche in editoria, in teatri, in gallerie d’arte? A 80 anni dalla morte di Antonio Gramsci, che ha teorizzato la cultura come ancella dell’azione partitica, dobbiamo riconoscere che i Quaderni del carcere hanno carcerato la libera impresa in campo culturale. Un esempio? Pigliate l’Art Bonus…

Arti Bonus, ovvero, come spillare soldi ai privati
Che cos’è l’Art Bonus? Il modo in cui lo Stato mendica soldi ai privati. Poi puoi scaricare l’importo donato – “consente un credito d’imposta pari al 65%” – e ti danno una pacca sulla spalla e vissero felici&contenti. In soldoni, al di là dei soldi lo Stato non vuole altro. Il privato non partecipa al progetto proposto. Lo finanzia. E stop. Il mecenate, al contrario, investe se può essere protagonista dell’avventura culturale finanziata: altrimenti, che senso ha? L’Art Bonus è una artata strategia di marketing che dimostra l’incapacità di Stato nel custodire i tesori della nostra storia. Così, il ‘metodo Gramsci’ e l’applicazione stalinista alla gestione della cultura hanno disintegrato secoli di Rinascimento – che la cultura, in Italia, l’abbiano fatta i privati, i condottieri, le libere menti è un fatto.

Gli imprenditori non sono bancomat
Per altro, l’Art Bonus a Rimini è una mezza bufala. Studiato appositamente per far pubblicità o quasi a SGR – che con 710mila euro ha finanziato la riqualificazione di piazza Malatesta, Ponte di Tiberio e Biblioteca ‘Gambalunga’, con progetti che hanno destato qualche perplessità, come il ‘serpentone’ per climatizzare la Gambalunghiana – che è leader nella distribuzione del gas nel riminese, per il resto è un disastro. Incapace di omaggiare come si deve i primi quattro secoli della Biblioteca civica, il Comune di Rimini ha dato in pasto all’Art Bonus una raccolta fondi di 60mila euro per il “sostegno al patrimonio” della Gambalunghiana e di 50mila euro per il “sostegno all’attività dell’Archivio Federico Fellini”. Il progetto è stato lanciato il 5 aprile scorso. Esito? Nullo. 0 euro. Idem per la richiesta relativa ai “lavori di sistemazione, rifunzionalizzazione e adeguamento della struttura” del Cinema Fulgor: il 6 aprile scorso hanno chiesto 100mila euro, ne hanno incassati 0. Il Comune mendica soldi anche per il restauro del sipario storico del Teatro ‘Galli’ (per altro oggetto di una delibera di Giunta, la n. 66 del 13 marzo scorso, che quantifica la spesa del divin rammendo in mezzo milione di euro). La richiesta è di 320mila euro, inoltrata il 12 aprile 2017. Esito della raccolta fondi: 0 euro. Ma il Comune, culturalmente a pezzi, chiede soldi anche per la tutela della ‘Domus del Chirurgo’ (250mila euro), per incrementare le “collezioni museali” del Museo della Città (120mila euro) e perfino, udite udite, per le “Celebrazioni Sigismondo Pandolfo Malatesta” (100mila euro). Il risultato è sempre e comunque 0 euro. Totale: 1 milione di euro chiesti al vento. I fatti sono due: o il Comune è incapace a reperire fondi, o Rimini non ha più appeal, o gli imprenditori ne hanno le palle quadre di essere usati come meri bancomat. Perché un imprenditore di successo dovrebbe finanziare una idea partorita da un Comune che fino a prova contraria ingrassa con i soldi dei contribuenti? La spudoratezza governativa non ha limiti. Per adescare un finanziatore occorre, quanto meno, che ti metti intorno a un tavolo a pensare insieme. I soldi non sono lo sterco del diavolo in cui ruzzolano i maiali. Hanno un’anima.

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