Il declino della Riviera è scritto anche sul mare: dalle piattaforme ai gonfiabili

Il declino della Riviera è scritto anche sul mare: dalle piattaforme ai gonfiabili

Arriva un altro luna park. Dopo la ruota è la volta dei gonfiabili in mare. Aree galleggianti enormi, che la Soprintendenza autorizza ma vorrebbe nas

Arriva un altro luna park. Dopo la ruota è la volta dei gonfiabili in mare. Aree galleggianti enormi, che la Soprintendenza autorizza ma vorrebbe nascondere il più possibile. E’ questo il futuro dell’offerta turistica a Rimini? E come si concilia con la vision che il piano strategico ha previsto per lo specchio acqueo antistante la spiaggia di Rimini? Pubblichiamo la dura e motivata “bocciatura” sul progetto espressa dalla commissione per la qualità architettonica e il paesaggio del Comune di Rimini (presieduta dalla prof.ssa Savini, docente dell’Alma Mater) che mette in fila tutti i limiti dell’operazione… plastica in mare.

Cosa c’azzecca quello che è stato chiamato il “parco acquatico” o l’Acquafan in mare, con la vision che il piano strategico ha pensato per Rimini? Come si concilia con il progetto del parco del mare (ancora in bella mostra davanti a Palazzo Garampi) o con la filosofia che sottende i progetti di recupero del teatro Galli, della Rocca Malatestiana e della antistante piazza?
La notizia di questi giorni è che tanti gonfiabili prenderanno vita in mare, a poca distanza dalla riva, oscurando l’orizzonte. Proposti da alcuni bagnini, in accordo con l’amministrazione comunale e, non si sa bene in base a quale criterio “paesaggistico”, accettati anche dalla Soprintendenza alle Belle arti e al paesaggio ma solo in via temporanea, per l’estate 2016, in attesa di valutare l’esperimento a stagione conclusa, ma intanto… via libera.
Strombazzato come la novità dell’estate, la grande attrazione assomiglia ad un altro luna park (dopo la ruota) nella marina di Rimini. Che agli albori progettava architetture eleganti ed esclusive sull’acqua (piattaforme, stabilimenti e giostre) ed oggi si accontenta dei gonfiabili. Che la Soprintendenza consiglia che siano almeno di colorazioni tenuti in modo da mimetizzarsi il più possibile con l’ambiente circostante, segno che questi giochi galleggianti hanno il problema di essere nascosti. Così come la scelta di autorizzarne due su tre (sorgeranno all’altezza dei bagni 63-65 e 142-145), per limitare l’impatto visivo, distanziandoli il più possibile, la dice lunga su quel che si va ad insediare.
I gonfiabili in mare aprono vari interrogativi, fra i tanti: perché concedere una fetta di mare (bella grossa) a qualcuno, e con quali criteri (anche tenendo conto che l’ingresso ai giochi galleggianti, stando alle dichiarazioni dei bagnini, sarà a pagamento)? Non si pone nessun problema in termini di “diritti” confliggenti fra i fruitori del mare?
L’unica a pronunciarsi contro è stata la commissione per la qualità architettonica e il paesaggio. Nessuno fino ad oggi ne conosceva le motivazioni, che per la prima volta diventano pubbliche grazie alla lettera che pubblichiamo (sotto alla gallery fotografica). La commissione l’ha scritta al sindaco Gnassi, agli assessori Biagini e Pulini, e al Soprintendente arch. Cozzolino. Merita di essere letta perché non dice un no “burocratico” ma fortemente motivato (i dati tecnici in essa contenuti si riferiscono ovviamente al progetto esaminato dalla commissione, che nel frattempo pare sia stato un pochino ridimensionato a seguito del parere della Soprintendenza). E va sottolineato che il presidente della commissione non è proprio una sprovveduta in materia. Si chiama Maura Savini, dal 2001 insegna al Dipartimento di architettura dell’Alma Mater, è professore associato di Progettazione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura Aldo Rossi dell’Università di Bologna, ma ha insegnato anche al Master di Architettura del territorio agricolo del Politecnico di Milano e dal 2006 dirige la Summer School–International Workshop of Architecture and Urban Design. E fra i tanti progetti di cui si è occupata ci sono quelli della Città delle Colonie di Cesenatico e dell’area della stazione, della ex-fiera e della nuova sede dell’Università a Rimini.

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Gent.mo sig. Sindaco,
inviamo questa nota con lo scopo di comunicarle, nell’unico modo che ci è consentito (il presidente della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio non è mai riuscita, in questi anni, a incontrarla pur avendolo domandato più volte), le ragioni di un diniego ad interventi che sembrano aver sollevato una particolare attenzione nell’ambito della comunità riminese.
Le opere di cui si tratta riguardano la realizzazione di due tipi di un cosiddetto “parco acquatico” nelle acque prospicienti alcuni stabilimenti balneari della costa di Rimini; si tratta di “strutture” gonfiabili ancorate al fondale, di dimensioni variabili, la cui forma più ampia si estende per una larghezza di 160 m (parallela alla linea di costa) per quanto riguarda la parte gonfiabile vera e propria, di 130 m per la profondità dell’impianto recintato e di 48.000 mq per la superficie complessiva. La sua collocazione, in posizione variabile, è prevista all’incirca a m 30 dalla battigia, e si estende, comprendendo anche l’area di sicurezza, fino a 300 m in direzione ortogonale alla linea di costa.
Trattandosi di una struttura gonfiabile, ne è previsto lo sganciamento e lo sgonfiamento in caso di maltempo e, dunque, l’intero ammasso di materiale plastico, sgonfio o semi-sgonfio, dovrà essere lasciato sulla subbia fino al momento in cui le condizioni atmosferiche permettano di gonfiarlo nuovamente. Tutto ciò per l’intera durata della stagione balneare.
Le ragioni che hanno indotto la commissione ad esprimere un diniego riguardano prima di tutto il fatto che la realizzazione delle “strutture” proposte – che potrebbero in futuro moltiplicarsi per emulazione da parte degli altri stabilimenti – determina una condizione “segregata” di un vasto tratto di mare, che dovrà necessariamente essere recintato e per questo sottratto all’uso collettivo e libero di chiunque non intenda accedere al “parco”; e riguardano anche il fatto che le dimensioni dei diversi segmenti raggiungono per numerosissime parti altezze rilevanti (fino a 4.30 m sul livello dell’acqua), così che gli elementi galleggianti incomberanno su chi volesse continuare a nuotare nei pressi per un’altezza ben superiore a quella di un edificio ad un piano.
Si deve poi osservare che i numerosi piani territoriali paesistici e gli strumenti urbanistici che si sono succeduti negli anni tentando di regolare l’assetto degli insediamenti costieri hanno sempre confermato l’indicazione ad orientare le compagini edificate in direzione ortogonale alla linea di costa, in modo da ottenere varchi e spazi liberi verso il mare; si tentava cioè di stabilire un rapporto il più possibile costante e stabile tra la città e il mare, tale per cui quest’ultimo non fosse inteso come altro rispetto alla città consolidata, ma compreso nella sua costruzione poiché visibile e raggiungibile. Appare subito evidente che la lunga fronte della struttura gonfiata e gli alti blocchi che la compongono non permetteranno più né la vista del mare fino all’orizzonte, né tantomeno l’affermarsi di un rapporto reciproco tra la città, la marina, e l’elemento naturale a cui quella si rivolge, cioè appunto il mare.
Ma l’aspetto che riteniamo maggiormente rilevante nasce da una considerazione di natura più generale e riguarda il senso che la comunità – e dunque in primis l’amministrazione – intende attribuire all’architettura nella costruzione dei luoghi: se i progetti in corso di realizzazione per la Rocca Malatestiana e per il riassetto del teatro Galli mirano a consolidarne il ruolo monumentale nella struttura urbana e territoriale, confermandone il carattere primario e identitario (nel senso di ciò che rimane identico, cioè che permane nella città), è evidente che ciò avviene grazie al fatto che si tratta di architetture in grado di confrontarsi con le compagini residenziali e con gli elementi naturali costituendone riferimento stabile; esse cioè appartengono a quel disegno integrato di fatti che la storia costruttiva di questa regione ha espresso, per via di un processo costruttivo lungo nel tempo che ha potuto procedere per fatti individuati e interrelati, e a partire dal sistema dei vuoti.
Proprio il sistema degli spazi liberi mostra il proprio ruolo strutturante l’architettura: per il complesso della Rocca tale ruolo è inequivocabile nell’impianto delle sue corti lastricate e a prato, nell’antico fossato, così come lo era anche nell’edificio che il teatro Galli ha poi soppiantato, in grado di collegare attraverso i suoi spazi passanti gli invasi delle diverse piazze.
E senza dubbio si deve proprio a questo carattere strutturante il senso espresso dall’edificio delle pescherie, un’architettura logica e per questo bellissima, e il modo in cui essa si dispone nella struttura urbana.
La tavola del catasto gregoriano del 1811 consente la “riconoscenza” (Valerio 1983) del carattere di sistema che i vuoti rivestono: se si osserva l’impianto urbano della città tra piazza Cavour e via Circonvallazione Occidentale (la via che corre in corrispondenza delle antiche mura) appare chiarissimo il disegno delle piazze e dei vuoti aperti l’uno sull’altro, in grado di definire l’architettura della città in questo punto, con la presenza (ancora) del grande edificio della cattedrale di S. Colomba di cui la mappa riporta la pianta.
Ma crediamo di riconoscere anche, nell’insistenza con cui lei richiama e persegue la necessità di collegare le fasce di verde e i parchi e i giardini pubblici (ancora i vuoti), così come di disporre di percorsi (ad es. la pista ciclabile) continui e collegati, l’adesione a questo stesso punto di vista, ad un ragionamento che fa della città per l’appunto una struttura urbana ricca e complessa, articolata mediante fatti urbani, grandi architetture semplici ed ingegnose ad un tempo, come il Tempio Malatestiano mostra nella esemplare bellezza della sua chiarezza costruttiva.
Martin Hidegger ci consente di comprendere l’essenza di questa attività umana e le condizioni in cui oggi si svolge:

“All’abitare, così sembra, perveniamo solo attraverso il costruire… il costruire è già in se stesso un abitare… l’antica parola altotedesca per bauen, costruire, è buan e significa abitare. Che vuol dire: rimanere, trattenersi… Bauen (costruire), buan, bhu, beo sono infatti la stessa parola che il nostro bin (sono) nelle sue varie forme… Il modo in cui tu sei e io sono, il modo con cui noi uomini siamo sulla terra, è il Buan, l’abitare”.

Ma se l’abitare è il modo con cui i mortali sono sulla terra e costruire è propriamente abitare, allora tale attività esprime la nostra umanità, l’umanità della nostra civiltà e non possiamo sottrarci alla responsabilità di dire in che modo oggi intendiamo porla in essere, di qualunque parte della città e del territorio si tratti.
La marina e il territorio costiero non sono luoghi subordinati, (così come non dovrebbe esserlo la campagna), non costituiscono una sorta di vacuum, un vuoto disponibile a qualunque utilizzazione, un nulla in grado di assorbire all’infinito e senza una seppur vaga idea insediativa, quantità senza limiti di giochi, impianti sportivi, pubblicità, bar, ristoranti, gazebo, chiringuito, vasche per l’idromassaggio, eccetera, da incrementare ad ogni stagione; e i turisti non sono una sorta di massa indistinta e anonima, ma abitanti, ancorché temporanei.
I giochi per bambini sono emblematici di un atteggiamento distratto, spesso anche superficiale, che il più delle volte sembra dimenticare lo scopo per cui sono pensati: se il gioco “… aiuta ad acquistare la capacità di fare esperienza e giocando impariamo ad esprimere la nostra creatività. E la creatività ci aiuta a scoprire chi siamo e a prendere coscienza di noi stessi come individui” (Ministero della Salute, Dossier Giocare aiuta a crescere) allora ci domandiamo quali effetti salutari potranno mai avere quelle casette in plastica dal disegno lezioso che al sole si riducono a spazi surriscaldati e maleodoranti, quei giochi gonfiabili che rappresentano personaggi insensati, di frequente privi di una qualunque idea riconoscibile: quale lunghissimo lavoro educativo dovrà accollarsi la scuola per recuperare l’assenza di creatività indotta dall’assuefazione a tali oggetti? Davvero tali prodotti possono dirsi “giochi” così come li definisce il Ministero della Salute?
I bambini sono uomini e donne in formazione, non certo esseri privi di raziocinio come questi “giochi” sembrano affermare.
E possiamo chiederci, estendendo il ragionamento, se l’idea che in mare si debba giocare soltanto con strutture gonfiabili analoghe, non faccia dei turisti – cioè abitanti (nel senso indicato da Heidegger) temporanei, dunque di uomini e donne che rimangono, si trattengono in questa terra che incontra il mare – uomini incompleti, da distrarre in luoghi che gli stessi committenti hanno proposto di “fare di colore blu, così non si vedono”.
Leon Battista Alberti non avrebbe mai pensato di dissimulare la propria opera con l’espediente che hanno mostrato i progettisti di alcuni dei tralicci per la telefonia mobile proponendoli in forma di palme di plastica, chi ha ideato le pescherie, la Rocca e anche le essenziali case tradizionali lungo il porto canale o in Borgo San Giuliano si è assunto la responsabilità, la fatica e il lavoro necessari a conformare un’architettura civile, semplice e onesta, spesso bellissima; e priva di infingimenti.
La lunga tradizione di costruzione degli stabilimenti balneari sull’acqua tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dei pontili, non soltanto lungo la costa romagnola ma anche in ambito europeo, dai trabucchi, (così come dei padiglioni smontabili) impone un paragone impietoso e richiama al contenuto civile dell’architettura come pratica inscindibile dall’umanità dell’uomo, come pratica che ha sempre costruito la scena fissa della vita dell’uomo.
In sostanza crediamo che non dovrebbe essere accettabile rinunciare alla risoluzione architettonica di un tema urbano – anche sull’arenile, anche sull’acqua – adducendo, ad esempio, la giustificazione economica, poiché sappiamo che ognuna delle architetture citate più sopra è nata a partire da un dato di necessità ed al tempo stesso costituiva anche un’impresa economica redditizia, non diversamente da quando è richiesto oggi.
Senza contare che è, ad esempio, un’architettura ciò che ha risollevato le sorti economiche di Bilbao, e sappiamo bene quanto l’Italia deve, dal punto di vista economico, alla straordinaria esperienza architettonica che ne ha contraddistinto la storia.
Siamo del tutto in accordo con l’idea di un godimento schiettamente popolare del mare, in modi variati, molteplici e innovativi, e tecnologicamente aggiornati, ma chiediamo forme capaci di sintetizzare le questioni funzionali, costruttive, tecnologiche, ecc. ad un livello più alto, come ha sempre fatto l’architettura. E come ha fatto tra gli altri, lo citiamo al solo titolo di esempio (e per quanto riguarda la logica che la risposta applica, non certamente affinché se ne imitino le forme) Berthold Lubetkin nella Penguin Pool al Regent’s Park zoo di Londra nel 1933.
Per tutti gli abitanti stabili e temporanei vorremmo una condizione, anche per un soggiorno al mare, almeno pari a quella dei pinguini.

I componenti la commissione per la qualità architettonica e il paesaggio

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