Il fiume Marecchia: la crisi delle falde idriche e l’erosione delle spiagge

Il fiume Marecchia: la crisi delle falde idriche e l’erosione delle spiagge

Il nostro fiume ha sempre avuto due caratteristiche fondamentali: il deposito sedimentario allo sbocco del suo corso e il trasporto di materiale solido alla foce per il ripascimento delle spiagge. Ma qualcosa è cambiato.

Originano entrambi sul monte Alpe della Luna, dell’Appennino tosco-romagnolo a 1454 metri d’altezza. Il Tevere, dopo aver attraversato la Toscana, l’Umbria e il Lazio, diventa il fiume della Capitale e sfocia nel Tirreno in località Lido di Faro nei pressi di Ostia.
Il Marecchia, dopo aver percorso una parte del Montefeltro e lambito le località di Badia Tedalda, Novafeltria, Verucchio, bagna la città di Rimini e si immette nel mare Adriatico.
Il nostro fiume ha (o aveva) due caratteristiche fondamentali: il deposito sedimentario (conoide) situato allo sbocco del suo corso e che origina le falde idriche; il trasporto di materiale solido alla foce per il ripascimento delle spiagge.

LE FALDE IDRICHE. A ponente di Rimini la conoide forniva con i singoli pozzi artesiani e senza la necessità dell’acquedotto della città, l’acqua potabile a tutte le abitazioni di Rivabella, Viserba, Viserbella e Torre Pedrera. Viserba, negli anni Trenta del novecento, allora meta turistica dei cecoslovacchi, era chiamata “La Regina delle acque. L’ideale delle spiagge”. La prima località ad accusare la crisi idrica fu Torre Pedrera dopo la costruzione sul suo territorio dell’acquedotto, per fornire l’acqua alla città di Ravenna, che prosciugò le prime falde. Col tempo il bene idrico del sottosuolo di ponente esaurì la sua preziosa potenzialità. Nel 1953 l’Amministrazione comunale diede l’incarico ai Prof. Buli e Supino – dell’Università di Bologna – di studiare le funzioni del fiume Marecchia in relazione all’alimentazione delle falde idriche del sottosuolo riminese. Lo studio constatò che il Marecchia “resta il più importante se non l’unico mezzo di alimentazione delle falde idriche dalle quali sarebbe estremamente grave prelevarsi acqua in maniera indiscriminata per uso industriale e agricolo”, come in parte per quest’ultimo è avvenuto. Da allora sono trascorsi 66 anni. Probabilmente avremo imparato a mangiare più verdura ma, certamente, abbiamo depauperato una importante risorsa del nostro sottosuolo. Così la popolazione di ponente dovette accettare per le proprie necessità l’acquedotto e si passò dalla Regina dell’acqua dei pozzi artesiani a quella del bacino di Ridracoli.

L’EROSIONE DELLE SPIAGGE. Si parte da lontano. Nel 1960 l’Amministrazione comunale preoccupata dal fatto che il litorale di ponente fosse da tempo soggetto ad un costante fenomeno erosivo, incaricò il Prof. Supino – ordinario di idraulica presso l’Università di Bologna – di effettuare uno studio sulle “variazioni del litorale riminese” e determinarne le cause. Messi in evidenza i fenomeni del passato (1869-1900 mentre la spiaggia di Rimini si allungava più di 3 metri all’anno, la spiaggia di Viserba diminuiva di m.1,25 all’anno), la relazione prese in considerazione tre fatti:
a) il prolungamento del porto di Rimini; b) i lavori compiuti lungo l’asta del Marecchia; c) l’asportazione del materiale dai fiumi.
Lo studio mise in evidenza:
a1) Il prolungamento di 800 metri del molo, avvenuto tra il 1921 e 1927, ha in passato influito sull’erosione del litorale di ponente per il mancato apporto di sabbia dovuto alle correnti di scirocco.
Constatato che nonostante la deviazione del Marecchia nello scaricatore che avrebbe dovuto favorire l’apporto di sabbia alla foce non si sia verificato, sta a dimostrare che il prolungamento del porto non è oggi la causa principale.
b1-c1) La costruzione a tutto il 1936 di 87 repellenti lungo il Marecchia avrebbero causato, secondo il Prof. Buli, il mancato apporto di materiale alla foce di 6 milioni di mc. Nella relazione si fa notare che a distanza di oltre 20 anni i repellenti si sarebbero dovuti riempire. Ciò non è avvenuto. La causa quindi va individuata nell’asportazione di materiale che il Prof. Supino valutò in oltre 300.000 mc. all’anno. Tale prelievo, fu osservato, va prevalentemente addebitato al fatto che con il cambio della tecnica delle costruzioni da quella in “mattoni” a quella in “cemento armato” quest’ultima, oltre ad avere avuto un sensibile incremento, ha impiegato abbondantemente sabbia e ghiaia il cui prelievo è stato effettuato nei corsi d’acqua con ritmo sempre maggiore. Viserba fu la cavia del fenomeno erosivo, che minacciò di danneggiare anche le abitazioni, e delle conseguenti opere di difesa. Si passò dalle larghe dighe in calcestruzzo a quelle più stilizzate con pali e paratie di cemento perpendicolari alla battigia, alle scogliere frangiflutto parallele alla spiaggia. Col tempo l’erosione si è spostata sempre più a ponente e il fenomeno erosivo ha colpito anche le località di Cattolica e Misano. A nord di Rimini, senza soluzione di continuità, si è dovuto costruire per difendere il litorale un muro di pietre frangiflutto che da Rivabella si estende oltre Bellaria.
Come è accaduto per le risorse idriche, anche per l’apporto di materiale solido che i fiumi portano alla foce ci siamo mangiati la dote.

Oggi, sotto la sorveglianza dell’Autorità di Bacino Marecchia-Conca, il prelievo dei materiali dai fiumi sembra essere cessato. In alcuni studi che risalgono all’anno 2000 (Arpa, Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente) e 2004 (Autorità Interregionale di Bacino Marecchia-Conca) viene quantificato l’apporto presunto di materiale utile per il ripascimento delle spiagge. L’Arpa per il periodo 1970-2010 valutò per il Marecchia un apporto presunto di materiale da un minimo di 70.000 mc./anno (1970) a un massimo di 131.000 mc./anno (2010). Poco meno della metà di quello valutato dal Prof. Supino nel 1960.

Fotografia: una immagine del Marecchia (Fotoreporter/Regione Emilia Romagna)

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