Dialogo fitto – e inutile – con Paolo Fabbri. Prima di sventrare i contenitori bisognerebbe pensare ai contenuti. Un paio di esempi: la Mole Antonelliana e la balena di Pinocchio.
Il Giove accademico è un personaggio del “Nome della Rosa”
Quando non sai dove sbattere la testa perché il tuo cervello è piccolo come un fiammifero, quando devi chiedere qualcosa a qualcuno, meglio chiedere a lui. Al di là di tutto quello che è stato – brutalmente: insieme a Umberto Eco è lo studioso che ha importato in Italia l’arte semiotica – ormai Paolo Fabbri è una specie di bocca della verità culturale, un Vecchio della Montagna, il Giove accademico. Non lo dico io, che sono un partigiano del genio. “Principale semiologo italiano” e “maestro di parecchie generazioni di studiosi in Italia e all’estero” lo definisce, didascalicamente, l’editore Mimesis di Milano, che ha appena mandato in libreria un tomo-moloch, L’efficacia semiotica, che raccoglie 300 pagine di interviste – o meglio, di risposte e repliche – come a dire che della materia grigia di Fabbri non si butta via niente. Il problema, semmai, è che non sai mai in che lato di mondo lo becchi. L’ultima volta era a San Paolo, Brasile, a parlare di O Nome da Rosa de Umberto Eco. Già, tra le tante cose Paolo Fabbri, con il manto di “Paolo da Rimini”, è anche un personaggio del Nome della rosa – ma questa è un’altra storia. “Parigi”, fa lui. Che ci fai lì? Lasciamo perdere. Partecipa a un congresso internazionale dell’Association Française de Sémiotique, dedicato ad Algirdas Julien Greimas, importante semiologo nato 100 anni fa. Il congresso è patrocinato dall’Unesco, “la cosa più divertente accadrà al Beaubourg, però. Darò una lettura semiologica de Il Ritornante di Giorgio De Chirico, davanti al pubblico, come una guida un po’ particolare”. Ma perché non importiamo Fabbri a Rimini e gli diamo le chiavi del Museo civico?
Siamo al grado 0 del pensiero
Il tema è: il Museo Fellini al Castello Malatestiano. A noi pare una figura retorica indegna, un obbrobrio dei simboli e dei segni e pure dei sogni. “Intanto, a proposito di segni, bisogna ricordare che nei Clowns c’è un grande tendone che copre il Castello, sul fondo”. Insomma, è quasi una profezia: il circo vince la fortezza. “Certo. Il Museo Fellini andrebbe costruito in un grande tendone da circo. Ma dobbiamo pur riconoscere una cosa…”. Che cosa? “Che è già un passo avanti”. Si spieghi. “Chi non ricorda la visita di Sharon Stone al Museo Fellini, quando si trovava nella casa di famiglia? Che imbarazzo. La diva che a momenti sbatte la testa contro il soffitto, angusto, e che sbotta, ‘ma questo è il museo di Federico Fellini?’”. Quindi, val bene un Castello… “Dipende. Da due cose. Intanto, da cosa è costituito il Museo Fellini? Stabiliti i contenuti, poi valutiamo i contenitori. Ma a Rimini pare che funzioni al contrario. E poi: come intendono allestire gli spazi del Castello?”. Questo è l’enigma di Mago Merlino. “Un esempio importante è quello della Mole Antonelliana. Nel monumento torinese, come si sa, è stato creato il Museo Nazionale del Cinema. L’allestimento, però, è stato curato, con una strategia scenografica spettacolare da François Confino. Intendo dire: chi allestirà il Museo Fellini? Se penso a Paolo Rosa, un creativo straordinario, immagino una sfilata di attori, li tocchi, e digitalmente si voltano verso di me. Se l’allestimento si riduce a una serie di fotografie e a vedere cosa ci sta e cosa ci entra tra i materiali felliniani, beh, allora siamo al grado 0 del pensiero”.
Non sarebbe necessario un comitato scientifico internazionale? Figuriamoci…
Paolo Fabbri è stato l’ultimo direttore dell’Associazione Fondazione Fellini, ora dirottata direttamente nel ventre onnivoro del Comune. Per Wikipedia, il Diderot dei nostri tempi digitali, lo è ancora (si legge: “infine, dal 2011 è direttore della Fondazione Federico Fellini di Rimini”). Lui, una idea sul Museo Fellini ce l’ha. “Guardi, a Parigi per fare la cineteca hanno chiamato Frank Gehry”. Beh, grazie al cavolo, ma qui siamo a Rimini, latitudine Italia, i soldi per la cultura non ci sono mai. “Ha ragione. Inutile investire su una ‘archistar’, come si dice, meglio avere una buona idea. E io ce l’ho”. Ci dica. “Una balena. La balena di Pinocchio. Una immensa balena dentro la quale ci sono tutti i personaggi di Fellini. S’immagina che bellezza…”. Quella balena, “imbalsamata, spaventosa”, che appare, in stadio di studio, nella prima sceneggiatura del Casanova felliniano, studiata proprio da Fabbri (in Pinocchio e la Balena femmina: una variante riminese). Ora stuzzico lo stomaco dell’accademico: ma, mi scusi, non sarebbe stato meglio costituire uno straccio di comitato scientifico intorno alla costruzione del Museo Fellini? Fabbri ghigna. “Secondo lei? A Rimini esiste un Assessore ‘alle arti’, ma a quali arti? Quelle liberali? In queste ‘arti’ è contemplata anche la cinematografia? Non si sa. Occorrerebbe alzare il tiro culturale, allacciare delle relazioni, di certo non pubblicare quello ‘scartafaccio’, mi perdoni il termine, che è L’Olimpo… E comunque, questa nostra chiacchierata è del tutto inutile”. Perché? “Perché il Sindaco ha ottenuto dei fondi dal Ministero affinché il Museo Fellini sia nel Castello Malatestiano. Il discorso è chiuso. Non possiamo più dialogare e fare delle scelte, dobbiamo solo subire delle decisioni già prese”. Sulle nostre spalle, che palle.
Fotografia: il celebre disegno di Giuliano Gèleng sul manifesto cinematografico di Amarcord
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