Il prof. Valloni: “San Leo, monumento della natura senza eguali, va considerato emergenza nazionale”

Il prof. Valloni: “San Leo, monumento della natura senza eguali, va considerato emergenza nazionale”

Solo per cieca burocrazia San Leo potrebbe essere considerato un problema della comunità emiliano-romagnola. Siamo in presenza di un insopportabile sfregio ad un monumento della natura che non ha eguali. Il crollo del 27 febbraio è un evento geologico che resterà nella storia. Lo dice il prof. Renzo Valloni, geologo riminese, che insegna al Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Ambiente e del territorio dell'Università di Parma. Sostiene che il territorio non può essere governato a colpi di interventi della Protezione Civile e a Rimini 2.0 parla anche delle cause all'origine del fenomeno franoso e degli interventi "ciclopici" necessari per mettere in sicurezza San Leo. Il crollo di circa 300.000 mc di roccia ferisce profondamente un bene storico-naturalistico di valore inestimabile. E bisogna scongiurare la progressiva attenuazione dell’interesse pubblico perché San Leo non merita minore attenzione di Pompei.

Il prof. Renzo Valloni

Il prof. Renzo Valloni

Fra pochi giorni saranno trascorsi due mesi dal crollo devastante di San Leo che ha creato sconcerto e forse qualcosa di più: una ferita che per ora sembra insanabile e che lascia aperti molti interrogativi. Quali le cause e come intervenire per evitare che altri crolli possano seguire nel breve o nel lungo periodo? Le istituzioni stanno facendo tutto il possibile? Lo abbiamo chiesto ad un esperto che da molti anni è impegnato sui temi della salvaguardia del territorio della Valmarecchia e in particolare del fiume che la attraversa. E’ il prof. Renzo Valloni, geologo riminese, docente all’Università di Parma presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Ambiente e del territorio.

Allora prof. Valloni, da dove cominciamo?
Nonostante la delicatezza della materia accetto volentieri di parlare del crollo del 27 febbraio scorso. E’ un evento geologico che resterà nella storia. Il crollo di circa 300.000 mc di roccia che ferisce profondamente un bene storico-naturalistico di valore inestimabile. Quel che temo è la progressiva attenuazione dell’interesse pubblico. Parliamone dunque.

san-leo-franaQuali sono state le cause che hanno provocata la frana di San Leo?
Per correttezza dobbiamo precisare che le mie considerazioni si basano solo su analisi visive. Frequento molto San Leo ma le mie osservazioni tecniche locali si limitano agli aspetti geologici particolarmente appariscenti. A questo proposito mi ha molto colpito l’ampiezza e la planarità della parete di crollo e soprattutto la forte colorazione bruna della superficie su cui è avvenuto il distacco.

E questo cosa sta a significare?
Significa che la rupe era interessata da una superficie di frattura abbastanza aperta da far penetrare l’acqua meteorica che lisciviando il suolo attraversato e scorrendo all’interno della frattura depositava ossidi e minerali argillosi sulle sue pareti. Di qui la colorazione. E’ interessante rilevare che la parete di distacco, affacciata a nord-est, passa verso oriente ad una parete circa ortogonale ad essa in cui sono presenti le tracce di due altre superfici di frattura parallele a quella del distacco del 27 Febbraio.

E quindi anche su questi tagli potrebbero verificarsi dei crolli?
Si, magari in un tempo che ora si può presumere lontano, ma l’orientamento di queste fratture è coerente con la superficie di crollo. Si tratta di fratture profonde e lateralmente continue la cui tendenza sarà di estendersi progressivamente dalla cima fino alla base della rupe, vale a dire fino all’appoggio di questo blocco di calcare sui terreni argillosi sottostanti. In sostanza si tratta di un contesto estremamente predisposto a questi tipi di cedimenti, che tecnicamente si chiamano di “Espansione Laterale”, indicativo di una situazione in evoluzione critica.

san-leo-frana-rupeLe fratture di cui parla quando si possono essere formate?
Il corpo calcareo che costituisce la rupe di San Leo si è formato intorno a 10 milioni di anni fa in ambiente marino. Questo corpo, assieme al suo substrato costituito da terreni notoriamente predisposti al franamento chiamati Argille Varicolori, è stato tettonicamente sollevato e trasportato verso oriente fino alla sua attuale posizione.
Queste azioni tettoniche applicate su tempi geologici destrutturano le rocce producendo fratture assai evidenti con movimento relativo dei due blocchi, dette faglie, e altre superfici di discontinuità, magari appena pronunciate. Un po’ tutte queste rupi di cui è ricca la Valmarecchia, se pur meravigliose dal punto di vista morfologico, sono molto predisposte ai crolli a causa della loro origine e per il loro appoggio su terreni argillosi che fanno sa “saponetta”.

Come si pone rimedio ad una situazione del genere?
Sicuramente servono interventi radicali, che definirei ciclopici, e per questo anche molto costosi. Oggi è chiaro a tutti che non ci si può accontentare degli interventi di consolidamento realizzati nel settore della rupe che sostiene il forte. E’ la rupe nel suo insieme che va messa in sicurezza. Ma se alfine ci siamo convinti che Pompei meritasse gli interventi che finalmente sono stati pianificati, con relativi fondi europei, perché non si dovrebbe fare altrettanto per San Leo? Fra l’altro a Orvieto, in Umbria, esiste un caso concreto di interventi di consolidamento di una rupe molto impegnativi ma felicemente realizzati.

Non sembrano pensarla così le istituzioni locali e regionali, per ora si sono attivate ma senza andare al di là della dichiarazione dello stato di crisi regionale.
Se non è già stato chiesto, lo stato di emergenza nazionale sarà chiesto. Solo per cieca burocrazia San Leo potrebbe essere considerato un problema della comunità emiliano-romagnola. Siamo in presenza di un insopportabile sfregio ad un monumento della natura che non ha eguali. Ma la storia ci insegna che solo in pochi casi si sviluppa una adeguata reazione. Temo che il limite stia anzitutto in una politica che traguarda su tempi medio-brevi, che insedia delle commissioni.

A suo parere si sarebbe dovuta monitorare già da tempo la situazione di San Leo per non farsi trovare impreparati a constatare il crollo?
Premesso che non sono al corrente dell’esistenza o meno di un monitoraggio ante 27 febbraio del fronte in questione, va chiarito che i sistemi di monitoraggio si installano dopo aver eseguito delle opere per controllarne l’efficacia. Tuttavia oggi esistono forme di monitoraggio, dette di interferometria satellitare, molto adatte al controllo degli spostamenti di corpi rocciosi tipo San Leo. Si tratta di segnali radar che in successive acquisizioni dello stesso oggetto al suolo possono rilevare variazioni dell’ordine del millimetro.

Sarò più preciso, si erano già manifestati crolli in quel settore della rupe?
Il fronte della rupe in questione è quello di nord-est. A San Leo i turisti possono acquistare la riproduzione di un dipinto della prima metà del 600 che mostra un fronte di scarpata più avanzato e di morfologia diversa da quello che la nostra generazione era abituata a vedere. Si tratta quindi di un fronte che ha subito dei crolli.

Ma questi crolli si sono manifestati di recente?
Ci sono stati crolli nel maggio 2006 che hanno interessato il fronte adiacente a nord. Sono crollati volumi pari a circa 50.000 mc di roccia.

san-leo-rupe-franaQuindi è stato tanto più colpevole non aver monitorato.
Come ho detto il crollo recente ha riguardato la parete adiacente a nord. Le saprò dire in occasione di un prossimo colloquio se questa parete era monitorata.

Torniamo agli interventi possibili, che lei ha già detto essere comunque impegnativi e costosi.
In questi contesti ci si muove in due direzioni. Interventi sui terreni argillosi su cui poggia la rupe, che se si imbibiscono d’acqua franano con estrema facilità, e interventi sul corpo della rupe costituito da dei calcari piuttosto impuri.

E i tipi di opere da mettere in atto?
Il canalone che scorre sotto la parete di crollo, detto Fosso Campone, deve essere bonificato da cima a fondo. Mi riferisco in particolare alla raccolta delle acque che deve essere meticolosa e basata su un preciso disegno di drenaggi. Le acque meteoriche non devono poter imbibire questi terreni. In parallelo in tutta la fascia di appoggio della rupe vanno realizzate opere di sostegno del suo piede. Questa azione è decisamente meno impegnativa del complesso di interventi richiesti per la messa in sicurezza del corpo calcareo soprastante ed ha un rapporto benefici-costi molto alto.
Il corpo calcareo su cui si distende l’abitato di San Leo richiede due serie di opere riguardanti l’impermeabilizzazione dell’ammasso roccioso, vale a dire, impermeabilizzare i cigli delle scarpate, la superficie topografica in generale e le sponde stradali in particolare, realizzare pozzi drenanti e rifare la rete idrica e fognaria e riguardanti il consolidamento delle scarpate di roccia, vale a dire, principalmente interventi di ancoraggio e tirantaggio.

Se gli interventi da attuare sono di questa natura, allora si sarebbe potuto, e forse dovuto, iniziare da tempo a fare qualcosa?
Si è così. Ma occorre prima definire una strategia compiuta che preveda la serie di interventi che abbiamo appena citato con una visione di lungo periodo per porre in sicurezza l’intera rupe. Oggi tutti comprendiamo che non basta preoccuparci del solo sperone più alto che sorregge il Forte.

Ci sono fondi europei ai quali San Leo potrebbe attingere?
Penso che la discesa in campo di una o due compagini ministeriali a sostegno di un piano di interventi, magari comprensivi di soluzioni tecniche innovative, avrebbe tutti i titoli per attingere ai cosiddetti Fondi Strutturali Europei.

san-leo-rupe-franataQuindi bisogna fare appello agli enti pubblici e alle istituzioni statali centrali perché si diano una mossa.
Certamente si, la politica dovrebbe cambiare passo rispetto all’attuale atteggiamento abbastanza rinunciatario che dà ormai per scontato che si intervenga se e solo dopo che si è verificato il danno. Il territorio non può essere governato a colpi di interventi della Protezione Civile, per non parlare del rischio di perdite umane. Fra l’altro a San Leo il problema, se pur enorme, è spazialmente ben circoscrivibile. Dobbiamo tutti convincerci che continuare su questa linea, rinviando l’avvio di un percorso che porti a delle soluzioni definitive, è ambientalmente e economicamente fallimentare.

A proposito, sono ipotizzabili altri crolli sulla parete franata di recente?
Tenderei ad escluderlo, perché la situazione potrebbe essersi temporaneamente stabilizzata. Potrebbero invece cedere blocchi minori rimasti in disequilibrio a margine della parete di crollo. Tuttavia per mettere in sicurezza questo nuovo fronte è necessario fare una diagnosi precisa sulle superfici di frattura parallele alla parete interessata dall’enorme crollo del 27 febbraio che abbiamo citato a inizio del nostro colloquio. Esse richiedono interventi di consolidamento senza i quali sono destinate a innescare cedimenti di analoghe dimensioni.

L’Università di Parma sta mettendo in cantiere qualche studio sull’argomento?
Oggi non abbiamo progetti di ricerca in corso. Stiamo però sviluppando delle azioni di documentazione e informazione soprattutto per il pubblico vasto. Stiamo realizzando un video, partendo dalla raccolta di testimonianze di chi ha assistito al fatto e dall’esame morfologico della frana per arrivare ad una simulazione computerizzata del crollo. Oltre all’ovvia utilità didattica con questo documento contiamo di raggiungere anche il pubblico vasto perché non dimentichi San Leo.

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