Il sordino e il sardoncino

Il sordino e il sardoncino

Giugno 1933, la mattina dopo la grande festa dei Giovani Italiani sul molo di Rimini. Sardoni arrosto, il famoso Trio Lescano e il Rabagliati. Si è ba

Giugno 1933, la mattina dopo la grande festa dei Giovani Italiani sul molo di Rimini. Sardoni arrosto, il famoso Trio Lescano e il Rabagliati. Si è ballato fino alle 23,30.
“Il Podestà dice che siamo qui a legare insieme tradizione e innovazione”. Chi parla è uno dei tanti pescatori sul molo. Un anziano, un pensionato che passa gran parte della giornata sotto il sole per pescare un paio di cefali da mettere in griglia la sera.

Dialoghi dei minimi sistemi

di Sempronio

Accanto a lui, in piedi, appoggiato alla bicicletta, c’è il professore di Amarcord, quello inseguito dalle pernacchie dei ragazzetti. Si ferma ogni giorno ad ammirare la pazienza del pescatore che, per lui, è simbolo dell’attesa umana verso il trascendente. Il cefalo, in questo caso.
“Quale sarebbe dunque la tradizione?” chiede il professore.
“Sarebbe il sardoncino arrostito”.
“Accostamento acuto ma erroneo. La nostra tradizione è contadina non marinara. I nostri marinai venivano dal Veneto, noi eravamo mezzadri poveri e mangiavamo piada ed erbe selvatiche. E la birra la bevevano solo i frati.”
“Non abbiamo niente di meglio per fare tradizione?” chiede il pescatore con malcelata ironia.
“L’avremmo, l’avremmo, ma è troppo impegnativo per noi. Ci sarebbero Chiara da Rimini, il Trecento riminese, Sigismondo Malatesta, Iano Planco, Battarra e, perché no, colui che mi ha inventato, Fellini”.
“Tutte cose un po’ noiose. Dice che bisogna puntare anche all’innovazione”.
“Non mi si dica che il Rabagliati è innovazione. Non mi è dato capire poi come stanno insieme la quiete delle passeggiate in bicicletta cui il Podestà, giustamente, tiene tanto e la bolgia di ieri sera per accaparrarsi il sardoncino. I sardoni veri erano gli spettatori, ammassati come acciughe in un luogo stretto come il piazzale”.
“Quindi lei non vede neanche l’innovazione?”.
“Che dice? Le “feste del delirio” le facevamo venti anni fa per la conquista della Libia!”. C’è la solita intonazione snob nella voce del professore che, a questo punto, alza il cappello di paglia e saluta allontanandosi con la sua bicicletta.
Da dietro gli scogli si sente una voce: “Professore?! Prahhh”. Una pernacchia ben riuscita, anzi un “sordino” della tradizione riminese.

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