Il Tribunale “boccia” l’ingerenza bolognese su Banca di Rimini

Il Tribunale “boccia” l’ingerenza bolognese su Banca di Rimini

La vicenda risale al 2010. Anzi, all'anno prima. Nel settembre del 2009 Banca di Rimini, a seguito di accertamenti ispettivi di Palazzo Koch, è stata

La vicenda risale al 2010. Anzi, all’anno prima. Nel settembre del 2009 Banca di Rimini, a seguito di accertamenti ispettivi di Palazzo Koch, è stata posta in amministrazione straordinaria e Banca d’Italia ha nominato i due commissari (Mirella Bompadre e Giancarlo Vivaldi) che convocarono anche l’assemblea dei soci per modificare lo statuto sociale.
La modifica aveva riguardato l’articolo 52, introducendo il “gradimento” preventivo della Federazione delle banche di Credito Cooperativo dell’Emilia Romagna sulla nomina di cda e collegio sindacale (supplenti compresi). Bisogna aggiungere che lo statuto ritoccato prevedeva che questo controllo esercitato dal fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo (attraverso la Federazione delle Bcc), valesse fino all’avvenuto integrale rimborso del finanziamento di 2 milioni di euro garantito da fideiussione del fondo stesso a sostegno del piano di risanamento di Banca di Rimini, “a meno che venga raggiunto, nell’arco di un triennio a far tempo dalla data di restituzione alla banca della gestione ordinaria, una consistenza numerica della compagine sociale di almeno 2 mila soci”. E il traguardo non solo è stato raggiunto ma superato: come risulta dall’ultimo bilancio approvato, i soci di Banca di Rimini sono saliti a 2.027 (erano 960 al momento dell’insediamento del cda post commissariamento, 1.110 a fine 2010, 1.618 l’anno successivo e 1.837 a fine 2012).
Non mancarono le reazioni a questa modifica statutaria, e in particolare si fece notare quella di Mario Ferri, socio di Banca di Rimini, che parlò di “prevaricazione e umiliazione per i soci, per l’istituto di credito e per la città”.
Chi aveva in mano le redini del comando, tirò dritto, ma Ferri, constatato che non rimanevano altre strade, passò alle carte bollate depositando, attraverso l’avvocato Quarto Montebelli, una citazione di nullità della delibera assembleare (che fu approvata con 477 favorevoli e solo sei voti contrari) di modifica dello statuto e, in subordine, l’annullamento della delibera. Secondo Ferri, la clausola introdotta rappresentava una ingerenza indebita perché espropriava l’assemblea di una competenza basilare come quella della nomina delle cariche sociali, e violava anche un altro principio generale in materia societaria, quello della libera espressione del diritto di voto. Ferri finì in minoranza, ma ora, seppure dopo quattro anni, è arrivata la rivincita, clamorosa, anche perché dimostra che non basta essere in tanti per avere ragione.
Il Tribunale di Rimini ha infatti stabilito che Mario Ferri aveva visto giusto ed ha dichiarato la nullità della delibera assembleare che modificò lo statuto, condannato Banca di Rimini a rimborsare le spese di lite (in tutto quasi 7 mila euro) e disposto l’iscrizione della sentenza nel registro delle imprese. Da quella assemblea uscì il nuovo cda, formato dal presidente Cesare Frisoni e dai consiglieri Anna Maria Annibali, Maurizio Casadei, Francesco Cavalli, Carlo Forlani, Lorena Montebelli, Oliviero Morri, Carlo Savioli, Luciano Vignoli.
Nella sentenza, che risale al 12 novembre, si legge che “i richiamati principi portati dalla giurisprudenza di legittimità appaiono disapplicati, considerato come i soci, riuniti nell’assemblea, non avevano il potere di nominare soggetti diversi rispetto a quelli indicati come beneficiari dal placet del fondo garante”. Per una volta Rimini ha avuto giustizia su Bologna.

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