Il “Valturio” scomparso

Il “Valturio” scomparso

L'incredibile storia del "De Re Militari" dato alle stampe dall'editore Guaraldi. Che è stato il vanto editoriale di Rimini. E' stato? Leggete qua.

L’eroe di oggi si chiama Valturio, Roberto Valturio.
Se vi va, potete fargli visita. Sta incassato sulla facciata esterna del Tempio Malatestiano, accomodato nell’aureo sepolcro con scalpellato sopra il suo nome. Roberto Valturio, riminese, classe 1405, a quarant’anni entrò nel consiglio privato di Sigismondo Pandolfo Malatesta, di cui divenne il “più dotto e benemerito segretario”. La sua fama la celebriamo con una storiella: anno di grazia 1461. Valturio scrive una lettera, a nome di SPM, a Maometto II, il sultano che ha fatto fuori dalla Storia l’Impero bizantino e si è preso Costantinopoli. La lettera è allegata al De Re Militari, l’opera di strategia bellica di Valturio, che sta tra Plutarco e Miyamoto Musashi, ricco repertorio di aneddoti di guerra decorato con fantomatiche macchine belliche – fiction che profetizza Leonardo da Vinci e Stanley Kubrick. Il fausto dono, affidato alle mani di Matteo de’ Pasti, non va in porto: il de’ Pasti è fermato in Candia, tradotto a Venezia, processato e liberato. I veneziani distillano la prelibata menzogna: il Malatesta voleva squadernare al sultano i segreti dell’arte militare d’Occidente. In questo modo, l’asse Rimini-Costantinopoli avrebbe annientato signorie e papato. Le liaison degli 007 di oggi, al confronto delle prelibatezze enigmatiche di quel dì, sono giochi di pupi senza puparo, somari che giocano a Monopoli.
Per i profani: Roberto Valturio è tanto importante che gli hanno dedicato una scuola, a Rimini, l’Istituto “Valturio”, appunto.
Per i bibliomani: la Biblioteca Gambalunga di Rimini custodisce la prima edizione del 1472, veronese, del De Re Militari, “con uno splendido corredo di silografie acquerellate”.

Il Valturio scomparso: qualcuno lo ha cucinato al rogo?
Insomma, il De Re Militari di Roberto Valturio è troppo importante, una rarità bibliografica. Tanto importante che ci voleva l’editore Guaraldi (nella foto), nel 2006, a forgiare un progetto editoriale davvero monstre. Producendo, con ricca messe di apparati, non solo il testo del Valturio, ma pure l’edizione facsimilare della princeps del 1472 e il dvd che ricalca e compara diverse versioni del testo. Un’opera gigantesca, roba da Himalaya dell’editoria, condotta con i massimi esperti del settore: Paola Del Bianco – che alla “Gambalunghiana” è la diligente, appassionata custode del nucleo antico – Franco Cardini – prof di chiarissima fama – ed Ermanno Olmi, pluripremiato regista (dal Leone d’oro a Venezia alla Palma a Cannes), affascinato da condottieri e aggeggi militari (Il mestiere delle armi, del 2001, è uno dei suoi film più grandi), che per l’occasione rilascia una intervista assai partecipe (che trovate su YouTube).
Embè, e di tutta ’sto bendiddio? C’è più niente. L’amara scoperta l’editore Guaraldi l’ha fatta il 31 marzo scorso, quando si è diretto nei locali della Tipografia La Pieve, dove alcune centinaia di volumi del “Valturio” erano immagazzinati. Scomparsi.

Salviamo i beni culturali dalle liti umane.
Cosa è successo? Un mero accidente. L’editore Guaraldi ha un contenzioso – di cui non c’importa tracciare i confini delle reciproche verità – con La Pieve. Ma questi sono affari legati alla giustizia, appunto. Guaraldi, però, ha una idea buona&giusta: donare una parte dei tanti volumi del “Valturio” – che messi insieme fanno un ingente valore economico – all’istituto riminese che ne porta il nome. Giusto per salvare quel bendiddio bibliografico dal macero e dalle macerie dell’incuria. L’accordo con la Tipografia pare fatto, Guaraldi va a ritirare le copie pattuite. “Non abbiamo trovato neppure una copia del Valturio”, è la sua conclusione. Apocalittica. “Davvero mi manca il respiro per dire tutta la mia angoscia di editore e di uomo di cultura per un gesto che mi sento di equiparare alla distruzione del Tempio di Bel a Palmyra”, così si rivolge Guaraldi all’Istituto ‘Valturio’, comunicando l’impossibilità di onorare la promessa del dono.

Morale della (brutta) storia: a Rimini si muore tra grida di gioia.
Le copie sparite del “Valturio”, c’è da giurarci, torneranno a galla, prima o poi. Ormai, comunque, pare troppo tardi risollevare Rimini dall’abulia culturale in cui è precipitata. Al di là delle liti degli umani, infatti, i beni culturali vanno amati, curati, protetti. Lasciatemi, però, elevare ora un’ode all’editore Guaraldi, non tanto perché è il mio editore del cuore, lo è stato anche di Umberto Eco, di Federico Fellini, di Piero Meldini, di Tullio De Mauro, di Goffredo Fofi, di Pierre Bourdieu, di Paolo Fabbri, di Furio Colombo, di Geroges Bataille e di Herman Melville, tra i tantissimi. L’anno scorso Guaraldi ha fatto 45 anni di vita libraria. Tra le sue mani da chirurgo editoriale – impossibile non litigare con lui e impossibile non volergli bene, travolti dal suo camaleontico sorriso, simile a una flotta di bimbi – sono passati tutti. Guaraldi è stato il vanto editoriale di Rimini. Già, è stato. Perché ora Guaraldi sta rintanato nella dimora avita a Covignano, a smanettare con oche e ulivi e a fare il John Silver del web. Non stampa più. Al contrario, i suoi libri subiscono sequestro, spariscono. E nessuno alza un dito, nessuno dice niente, nessuno ne parla della mesta fine della Guaraldi. A Rimini si muore come sul confine tra Messico e States, nella palude civica, nell’inciviltà culturale, perché se muori tu io sono più felice, fottiti.

COMMENTI

DISQUS: 0