“In questo deserto dei vivi che è la politica italiana alcuni appigli ci sono”. Intervista a Bruno Sacchini

“In questo deserto dei vivi che è la politica italiana alcuni appigli ci sono”. Intervista a Bruno Sacchini

Tutti i partiti sono orfani di una identità. Ma laddove domina il nulla bisogna attaccarsi a quel che c'è, dal punto di vista però dello svolgimento teoretico, non dei valori. I grillini sono solo un rigurgito moralista antisistema. Nel Partito di Renzi è rimasto solo un vitalismo di tipo giovanilista e autoreferenziale. Pizzolante? Cosa non si fa pur di restare a galla. Dreamini privilegia all’interno del centrodestra il rapporto con le forze più intelligentemente dialoganti.

“Lo scenario in cui si svolgono le elezioni del 4 marzo è quello di partiti che nella sostanza non mostrano diversità sostanziali, anzi, si potrebbe dire che sono tutti uguali perché non hanno identità”. Bruno Sacchini, presidente della associazione culturale Dreamini, dalla quale in occasione delle ultime comunali a Rimini sono gemmate diverse liste civiche che insieme hanno ottenuto il 10% (cosa mai successa dalle nostre parti, non essendoci né apparentamenti clientelari né coperture nazionali a loro favore), spariglia le carte e offre una lettura inedita della posta in gioco.

Tutti uguali, lei dice: non rischia di essere una analisi qualunquista?
No. Il qualunquismo è semmai quello espresso dal Movimento 5 Stelle che dice: tutti i partiti sono uguali perché tutti corrotti. Io sostengo che il tratto comune alle forze politiche sta invece nella mancanza di identità.

Cosa intende per identità?
Non i famigerati valori e nemmeno i programmi, ma una cultura di governo, una visione del mondo o, meglio ancora, una ideologia. In questo senso oggi i partiti sono tutti uguali, chi più chi meno, non sono ancorati ad alcuna weltanschauung. I grillini sono solo un rigurgito moralista antisistema, sono contro a prescindere. Il Pd ha forse una identità?

Beh, Matteo Renzi passa per la sinistra riformista…
L’apparenza inganna. Cos’è il Pd oggi? Un partito comunista? No. Un partito socialdemocratico? No. Un partito liberal? No. Un partito cattolico popolare, visto che è in mano agli ex democristiani? No.

E allora cos’è?
Non è niente, non ha volto, è una accozzaglia di elementi senza criterio perché sconta delle non-scelte legate alle proprie radici politiche. Il Pci, da cui è fuoriuscito il Pd, non ha mai avuto il coraggio e l’onesta intellettuale, ma neanche l’intelligenza – il problema numero uno della nostra classe politica è l’ignoranza – di compiere la transizione teoretica (come ha fatto ad esempio l’Spd in Germania) dal marx-leninismo alla socialdemocrazia.
Per essere riformisti bisogna avere una ideologia di riferimento e la capacità di superarla. Il vero riformista supera, attraverso un processo critico e autocritico, la sua ideologia di partenza. Se non hai una ideologia di riferimento, cosa riformi? Il più grande marxista del 900, Louis Althusser, diceva che la filosofia è il margine critico dell’ideologia.

Cioè?
La verità emerge attraverso un processo critico e autocritico dei fondamentali di partenza. Mancando un riferimento teoretico, nel Partito di Renzi è rimasto solo un vitalismo di tipo giovanilista e autoreferenziale (e dire vitalismo significa ritornare a Giovanni Gentile). Il Pci non ha avuto il coraggio di fare il passaggio di cui parlavo prima ed ha scelto una scorciatoia, anzi due: innanzitutto Mani Pulite, ovvero una opzione moralista e giustizialista che gli è servita per distruggere i propri nemici senza pagar dazio; in secondo luogo l’alleanza coi cattolici di sinistra, i cattocomunisti, che sono andati a soccorrerlo e che oggi sono diventati – come dice giustamente mons. Luigi Negri – cattonichilisti. Anche loro senza più identità.

E invece a destra cosa c’è?
C’è poco da stare allegri, perché anche su questo fronte i partiti si sono trasformati in plotoni d’esecuzione del capo partito di turno, Berlusconi o Salvini che sia. Pure su questo versante si assiste ad una riduzione ai minimi termini delle ideologie di riferimento, anche se nel centrodestra qualcosa in più c’è.

Che cosa?
Il sovranismo di Salvini, per esempio, tema che però avrebbe bisogno di essere ben più approfondito e sviluppato, almeno dal punto di vista storico. Cosa significa sovranismo infatti, prima gli italiani? Ma chi siamo noi italiani oggi? Quale identità ci contraddistingue in questo frangente della storia? A mio parere non lo sappiamo più. Poi ci sono i riferimenti di Berlusconi alla ispirazione cristiana e liberale o quelli di Raffaele Fitto (Noi con l’Italia) al cattolicesimo popolare. In questo deserto dei vivi che è la politica italiana alcuni appigli ci sono, non dal punto di vista della coerenza o della inappuntabilità etica ma dal punto di vista teoretico, che è fondamentale e che oggi invece è andato perso.

Non rischiano di essere degli appigli vuoti?
Laddove domina il nulla bisogna attaccarsi a quel che c’è, dal punto di vista però dello svolgimento teoretico, non dei valori. Oggi, soprattutto nel mondo cattolico, si è andata affermando la bandiera dei valori: il dialogo, l’altro è un bene prezioso, il superiore spirito di conciliazione ecc. Il mondo cattolico rischia di ridursi a una scelta etica (non religiosa) che richiama ai valori: l’accoglienza, i poveri, la pace, mai una preoccupazione di tipo teoretico. Sia chiaro, non contesto i valori, che però devono essere la cornice finalizzata alla formulazione d’un progetto non sociale, ma teoretico. Invece nel mondo cattolico molti pensano che bastino i valori, e questo va per la maggiore.

Questa bocciatura dei valori è anche un giudizio negativo su esperienze come quella del Popolo del famiglia?
Direi di sì, non perché, evidentemente, io non condivida valori come quello della difesa della vita e della famiglia, ma perché un partito monotematico, cioè particolarista, a mio parere non arriva da nessuna parte. Nella misura in cui introduce una logica disgregante: perché non anche il partito dei gay o degli islamici allora? La famiglia è un contenuto di programma, non una ideologia in grado di definire un’identità.

Dunque l’ideologia per lei ha un valore positivo?
Io credo che la morte delle ideologie ci abbia rovinato, anche perché le ideologie classiche (comunismo, dottrina sociale della chiesa, socialismo umanitario, per citare le maggiori) avevano un portato di ragione con cui si poteva dialogare. Quelle ideologie sono state sostituite dagli idola fori (Bacone): l’animalismo, il femminismo, l’ambientalismo, che non hanno nessun background razionale, sono delle pulsioni di tipo freudiano o stirneriano organizzate in movimenti, a volte in partiti. Per la mentalità dominante l’uomo è tale in quanto desidera, sono spariti gli apparati teoretici di riferimento, non i valori che, in una con la fine delle ideologie, sono l’altra causa della nostra rovina.

In che senso?
All’inizio degli anni 80 Enrico Berlinguer, allora segretario del maggiore partito ideologico, il Pci, avendo aderito incautamente alle larghe intese di Andreotti e dovendo fronteggiare la rivolta della propria base, per trarsi d’impaccio si inventò un mostro, la questione morale (che poi voleva dire la superiorità antropologica dell’uomo comunista), finendo per sostituire la politica con la morale. Da qui la morte della politica, di qui l’esplosione d’un moralismo incontrollabile da cui sono derivati il giustizialismo di Mani Pulite, Di Pietro con la sua Italia dei Valori (sic!), Berlusconi, Grillo, Renzi, Salvini ecc.

Sembra quindi di capire che Dreamini, seppure in un contesto segnato da partiti che non entusiasmano né a sinistra né a destra, chieda un voto per il centrodestra…
Dreamini, con tutti i suoi annessi e connessi, tiene una posizione che è quella di privilegiare il rapporto, all’interno del centrodestra, con le forze più intelligentemente dialoganti di questa parte.

Cosa pensa delle candidature del Pd e dei suoi alleati?
Il PdR, cioè il Partito di Renzi, in Emilia Romagna esprime una nomenclatura imbarazzante, come dimostrano i casi di Pier Ferdinando Casini, Beatrice Lorenzin e Sergio Pizzolante. Quando un partito non ha identità, se non il vitalismo d’un capo che punta a costruire una coorte di pretoriani, viene meno anche il pudore. Una volta si sarebbe parlato di trasformismo o di opportunismo, ma, adesso che i partiti sono tutti uguali, non si può nemmeno evocare il camaleontismo politico, che non è più un’offesa.

Come valuta il percorso politico di Pizzolante?
Ho avuto una amicizia ventennale con Pizzolante, nata nel periodo in cui io ero segretario della Dc e lui segretario del Psi. Fu uno dei due o tre segretari socialisti in tutta Italia che ebbero il coraggio di rimanere fedeli a Craxi quando soffiò violento il vento di Mani Pulite. Il problema è che anche lui ha ceduto. Ha avuto una sua coerenza, ma adesso l’ha liquidata. Personalmente avevo una grande stima di lui, ora non più. Non perché abbia “tradito”, semplicemente s’è arreso al mainstream dominante. La cosa mi rattrista: cosa non si fa, in politica, pur di restare a galla!

Quindi per lei qual è l’opportunità di questa tornata elettorale?
L’opportunità consiste nella chance di porsi personalmente, non collettivamente, con la logica del branco, un interrogativo sulla “politica come forma più compiuta di cultura” (Luigi Giussani), definizione che tira in ballo la questione appunto dell’ideologia. Ne Il senso religioso Giussani identifica il cuore con le esigenze elementari, qualcosa che tende a indicare compiutamente l’impeto originale con cui l’essere umano si protende sulla realtà, cercando di immedesimarsi con essa, attraverso la realizzazione di un progetto che alla realtà stessa detti l’immagine ideale che lo stimola dal di dentro. Un’immagine ideale, cioè un progetto, una visione del mondo, quindi (inevitabilmente) un’ideologia. Ecco perché non sono molto d’accordo con Giorgio Vittadini quando, a proposito delle elezioni, si limita a dire che bisogna scegliere col cuore, censurando quel che dice Giussani stesso a proposito del progetto. A riprova di quanto sia facile oggi rischiare la deriva moralista.

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