La crisi dell’edilizia? “Un bagno di sangue come i subprime”

La crisi dell’edilizia? “Un bagno di sangue come i subprime”

E diversi professionisti riminesi si sono già trasferiti all'estero, in particolare Russia, Albania, Kazakistan, Senegal e Dubai.

Intervista a Marco Manfroni, presidente dell’ordine degli ingegneri. “Sul nuovo non c’è alcuna ripresa, la ripresa c’è sui consumi reali a cui si risponde con ristrutturazioni. Le polemiche con il Comune per i tempi dell’ufficio tecnico? La situazione è migliorata, ma bisogna informatizzare, come hanno fatto altre amministrazioni. Lo stop al cemento? Ok, ma resta il problema di riconnettere la città. Il nostro territorio ha un tessuto industriale più forte e vivace di come viene dipinto, vedo tanti colleghi soddisfatti di lavorare nella meccanica e nell’informatica. I problemi dell’Ordine? Molti colleghi si sono messi a fare gli imprenditori per fronteggiare la crisi e in questa veste capita che le nostre norme vengano violate".

E’ il presidente di uno degli ordini professionali con più iscritti della provincia di Rimini, e vista l’importanza e la varietà delle attività svolte dai suoi colleghi, gode di un panorama ottimale per decifrare la realtà economica e sociale locale. Considerata la sua passione per il mare si potrebbe dire che è seduto in cima ad un faro, da cui si vede tutto il territorio.
Marco Manfroni è, appunto, presidente dell’ordine degli ingegneri dal 2007. Gli ingegneri in provincia sono 1140 e si contendono con i medici la palma di ordine con più iscritti. Le fetta più importante, il 30%, si occupa di edilizia e impiantistica, seguono gli ingegneri meccanici e quindi gli informatici. Ma complessivamente sono una cinquantina le specializzazione accolte nell’ordine riminese, comprese quelle di nicchia come quelle navale, aeronautica, mineraria, biochimica e chimica.
“Ogni territorio possiede una sua vocazione – spiega Manfroni -. Nel riminese abbiamo appunto la maggior parte di iscritti che si occupano di edilizia e di meccanica. Quest’ultimo è un settore che ha una forte tradizione a Rimini, con eccellenze nel settore industriale che “allevano” ingegneri di altissimo livello. Negli ultimi anni registriamo con piacere una forte crescita degli ingegneri informatici e alcuni giovani colleghi si stanno facendo onore anche a livello internazionale in questo settore”.

La prima domanda non può essere che sul settore edile, grande protagonista in negativo della crisi che ha attanagliato tutto l’Occidente dal 2007 e che a Rimini ha avuto pesanti ricadute anche su altri settori.
“La situazione, che è sotto gli occhi di tutti, è problematica. Tanto che registriamo una fuga di professionisti dall’edilizia riminese. Diversi si sono trasferiti all’estero, in particolare in Russia, Albania, Kazakistan, Senegal, Dubai, aprendo degli studi nelle realtà dove il settore edilizio registra un autentico boom”.

Quali sono state le cause di un crollo così repentino?
“La situazione del settore edile locale è stata del tutto simile a quella dei “subprime” negli Stati Uniti, dove sono stati dati dei mutui a tutti. Il meccanismo in voga a Rimini era semplice. Con quello che teoricamente costava un affitto si comprava una casa che veniva venduta già col mutuo dal costruttore. Sia il settore delle costruzioni che le banche spingevano in maniera fortissima in questa direzione. Ma quando si fanno dei mutui a 50 anni, qualcuno dovrebbe iniziare a pensare che qualcosa non funziona. Siamo quindi entrati in una bolla edilizia enorme, con prezzi altissimi che diventavano sostenibili in virtù di questi mutui agevolatissimi. Con le spese per il rogito notarile e l’eventuale trasloco si diventava proprietari di una casa al prezzo di un affitto. Un sistema che non poteva durare all’infinito e siamo arrivati al bagno di sangue attuale.
Noi progettisti usiamo l’espressione “dal prato verde” per intendere tutte le attività di costruzione di un edificio integralmente nuovo, adesso siamo ad un quarto dei volumi di queste attività rispetto alla massima espansione del 2006. Nel 2007 sono apparsi i primi “germi del contagio” e nel 2008 la crisi era conclamata”.

Da più parti si levano annunci di una parziale ripresa…
“Sul nuovo non c’è alcuna ripresa. La ripresa c’è sui consumi reali, cioè nel bisogno di immobili da parte dell’utilizzatore finale che è anche committente dei lavori, a cui però sempre più si risponde con sistemazione dell’esistente. La nuova costruzione a Rimini è praticamente ferma, anche per la visione politica dell’amministrazione. Chi costruiva per vendere case non è più sul mercato e abbiamo ancora numeri molto alti di immobili invenduti. Si sentono molte cifre (c’è chi parla di 15/16mila appartamenti sfitti a Rimini, ndr) ma il fenomeno del turismo rende difficile l’esatta quantificazione. Il dato di fatto è che chi ha sempre messo a reddito gli immobili ha smesso di farlo, anche perché le tasse vanno pagate, se si vuole cacciare un inquilino problematico passa almeno un anno e l’affitto comporta il rischio di danni all’immobile.

Ha appena parlato della visione dell’amministrazione sul settore edilizio, riassunta dai famosi slogan “stop al consumo del territorio” e “cemento zero”, qual è il rapporto della categoria con il Comune, spesso ci sono state polemiche sulla gestione dell’ufficio tecnico…
“Le scelte politiche che poi si traducono in pratica amministrativa non si discutono. Se si è scelto di dire stop al consumo di territorio, noi, come ordine degli ingegneri, ci limitiamo a prenderne atto. Nel caso di Rimini sarebbe stato difficile affermare il contrario. Anche se su questo tema c’è tutta la problematica della riconnessione della città. Le zone che non sono né parco, nè verde pubblico, né territorio agricolo a mio giudizio personale andrebbero edificate, con servizi e strutture più vicine ai cittadini. In questo momento invece per andare da una parte all’altra della città, dove sono dislocate le varie funzioni, si percorrono tantissimi chilometri con conseguenti problemi di viabilità e inquinamento. Le nostre città invece sono sempre state storicamente connesse. Ogni area deve essere qualcosa, invece a Rimini in questo momento ci sono parecchie aree che sono “terra di nessuno”, zone inedificabili lasciate in abbandono che non diventano neppure verde pubblico.
Per quel che riguarda l’annosa polemica sull’ufficio tecnico il problema è semplice: il Comune è ancora indietro rispetto ad altre realtà, anche vicine, dove ormai tutti i procedimenti sono digitalizzati con enorme risparmio di tempo per i professionisti. Non stiamo parlando di una situazione da fondo della classifica, ma Rimini non può essere in una situazione di mediocrità, in nessuno settore. Deve essere all’avanguardia anche in questi aspetti ed è per questo che spesso ci sono state discussioni con il Comune. Ultimamente l’assessore competente si è attivato ed è aumentato il numero degli appuntamenti giornalieri concessi. Ma l’unica soluzione è puntare su una fortissima informatizzazione. Su questo punto non dobbiamo poi dimenticarci che Rimini è in una situazione molto particolare. L’informatizzazione implica anche una maggiore trasparenza e nel caso della nostra città la trasparenza può ancora fare paura visto che diverse giunte, nel passato non recente, furono commissiariate per problemi inerenti le licenze edilizie e il rapporto politica-mattone è sempre stato al centro delle polemiche”.

Uno dei problemi più sentiti è quello della riqualificazione…
“Rimini ha bisogno di diverse riqualificazioni, a cominciare da quella sismica. La gran parte del patrimonio edilizio riminese non è a norma perché la città è stata inserita tra i comuni a rischio sismico nel 1983. Il boom edilizio è degli anni precedenti quando si costruiva senza alcuna normativa sismica. Poi c’è il tema della riqualificazione energetica, in questo settore sono possibili risultati eccellenti e che permettono grandi risparmi. Infine ci sarebbe la necessità di una più ampia ristrutturazione urbanistica. Inutile nascondercelo: parti intere della città sono brutte, ma ricostruire in Italia è molto difficile. Ad esempio la norma che stabilisce che debbano esserci almeno 10 metri tra un edificio e un altro è del 1968. Quello che è stato costruito in precedenza prevedeva una distanza tra i 3 e i 6 metri e le conseguenze le vediamo ancora bene a Viserba e Miramare. Quindi in teoria posso abbattere e ricostruire, ma dovendo rispettare la distanza dei 10 metri sarei costretto ad “arretrare” di parecchi metri l’edificio, con perdite consistente di superficie utile. Bonus in altezza non sono previsti e quindi si preferisce mantenere l’esistente.
Un altro problema è la proprietà parcellizzata. Spesso si sente dire: negli Stati Uniti o in altri stati ricostruiscono interi quartieri… Il dato di fatto è che negli Usa non si costruisce, in determinate realtà, per vendere, ma per affittare. Ogni 50/60 anni vengono ricostruiti interi isolati, i famosi block, che hanno un’unica proprietà, spesso fondi immobiliari, che ragiona su tempi lunghi. Da noi invece la proprietà è parcellizzata e per effettuare interventi importanti bisogna che tutti siano d’accordo, cosa molto difficile se non impossibile. Inoltre in questo momento nella nostra situazione è difficile trovare le risorse per grandi investimenti. O meglio, i soldi ci sarebbero anche, manca la fiducia. Spesso veniamo interpellati per progetti anche importanti, ma è difficile superare la fase dello studio preliminare, perché per il ritorno di certi investimenti servono circa 20 anni e nessuno vede un futuro prospero, nessuno scommette sulla prosperità”.

Un’altra situazione critica del settore è quella relativa agli alberghi…
“Ci sono ottimi alberghi, che funzionano molto bene e che mantengono prezzi alti, ma i proprietari si guardano bene dal metterli in vendita. Quelli più piccoli perdono continuamente di valore. Nel tempo sono state fatte diverse proposte. Il problema non è solo “edilizio”, ma anche di offerta turistica. A Rimini si è innescato un inseguimento al turista basato sul prezzo basso. Ma con i prezzi che vengono praticati non possono essere dati servizi di qualità. Per questo la tendenza in atto è la trasformazione in residence. Il residence è in pratica un albergo con meno servizi, che però non produce abbastanza utili per fare ristrutturazioni”.

Lasciamo da parte l’edilizia e il turismo, del resto a Rimini non c’è solo quello…
“Il nostro territorio ha un tessuto industriale più forte e vivace di come viene dipinto. Per la maggioranza è composto da piccole e medie industrie, ma abbiamo anche player internazionali e anche nelle dimensioni più ridotte ci sono realtà capaci di competere globalmente. Siamo inseriti in pieno nella “valle della meccanica” che dalle “capitali” del Nord dell’Emilia scende giù fino a Pesaro. Si tratta di una tradizione che è stata coltivata e ha raggiunto livelli ottimi. Nel settore siamo poi di fronte ai forti cambiamenti richiesti dal passaggio all’Industria 4.0 dove non contano più solo i macchinari, ma il processo, la digitalizzazione. Il dato di fatto è che l’innovazione paga, soprattutto quando raggiunge lo stato dell’arte. Molti dei nostri iscritti lavorano in questo settore, probabilmente non guadagnano come alcuni ingegneri legati all’edilizia negli anni d’oro, ma vedo colleghi sorridenti, soddisfatti del lavoro che svolgono. Un altro settore dove giovani colleghi stanno facendo molto bene è quello informatico, a Rimini vantiamo alcune belle esperienze, soprattutto nel software.

Quali tipi di problemi deve affrontare l’Ordine?
“Ultimamente sono in crescita le problematiche deontologiche e disciplinari diretta conseguenza della crisi economica. Un tempo il professionista era soprattutto un “esterno”, la sua figura era distaccata rispetto all’imprenditore. Adesso molti ingegneri sono diventati imprenditori, anche per trovare alternative alle loro attività tradizionali falcidiate dalla crisi, e in questa veste, prettamente commerciale, può succedere che le norme, molto stringenti, previste dal nostro regolamento etico e deontologico siano violate”.

Sempre più spesso le cronache ci riportano a casi clamorosi in seguito ai quali ci si chiede se la preparazione dei nostri ingegneri sia adeguata…
“A livello teorico la scuola italiana, soprattutto nel caso che conosco meglio, cioè quello degli strutturisti, è di assoluto livello. Siamo nel gruppo di testa. I problemi nascono dalle modalità con cui vengono gestiti gli appalti. E’ difficile pensare che non succeda mai nulla quando gli appalti sono continuamente al ribasso e le infiltrazioni mafiose nelle aziende che realizzano i lavori sempre più frequenti. Ma sentiamo anche delle bestialità. Ad esempio c’è chi parla di calcestruzzo “depotenziato” che non esiste. O è calcestruzzo che garantisce una certa resistenza o non lo è. Il lavoro del progettista viene vanificato se viene fornito materiale che non ha le caratteristiche richieste o se viene utilizzato in maniera diversa da quanto prescritto. Ma qui siamo di fronte ad un reato, con esiti spesso drammatici. Stesse bestialità le sentiamo quando si parla dell’uso di “tondini lisci” o di “sabbia di mare”. Sono cose che non esistono, erano problemi dell’Italia di decenni fa. Il problema è che il professionista è convinto che saranno utilizzati calcestruzzo o altri materiali con determinate caratteristiche, le carte e gli studi sono spesso perfetti, ma i materiali non lo sono. In questo caso non è un errore, ma una volontà di operare male”.

Un altro tema che sta emergendo è quello del valore legale del titolo di studio…
“E’ un istituto che comincia a scricchiolare. Un conto è un laureato all’università di vattelapesca, un altro è un ingegnere uscito dal politecnico di Milano o Torino. Attualmente a livello legale non c’è differenza, ma la differenza c’è, eccome. A livello di Ordine ci stiamo chiedendo se non sia necessario che questa differenza venga riconosciuta. Bisogna individuare dei livelli che una volta ottenuti non devono restare a vita, perché è sempre possibile migliorare. Sentiamo anche l’esigenza di un ente che certifichi le facoltà e la preparazione, visto che l’esame di stato non rappresenta un ostacolo insormontabile.

Rimini sarebbe pronta per una facoltà di ingegneria?
“Ormai abbiamo 90 sedi accademiche, quasi una per provincia. In Germania ci sono poche facoltà, dove c’è una forte tradizione. A Bologna è stata necessaria una lunga storia, e anche la realizzazione di sedi prestigiose, per creare una solida tradizione d’ingegneria. Le facoltà che funzionano sono un posto fisico, dove i professori stanno tutto il giorno, dei poli del sapere. Nelle facoltà distaccate i prof vengono a fare il corso e poi se ne vanno. Io sono favorevole a poche università molto specializzate. In Italia ne abbiamo 4/5 di facoltà d’eccellenza per ingegneria. Importante sarebbe intensificare i corsi in inglese, anche perché la pubblicistica più importante ormai è esclusivamente in inglese e sempre meno si fanno traduzioni. L’inglese è diventato il passe-partout del sapere tecnico”.

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