L’ingrato destino di Gruau a Rimini: ancora senza risposta il giallo delle 35 opere sparite nel nulla

L’ingrato destino di Gruau a Rimini: ancora senza risposta il giallo delle 35 opere sparite nel nulla

E manca un archivio consultabile di quel che c'è di suo al Museo civico della città.

Rubate? Scomparse? Distrutte? Da quando è stato redatto l'elenco dei "buchi" nel patrimonio riminese di René Gruau sono passati quasi tre anni. E il 31 marzo scoccano, nel disinteresse civico, i 13 anni dalla morte di Gruau. Sulla vicenda pare aleggiare un inquietante menefreghismo.

Da allora c’è soltanto la pagina Wikipedia. Facciamo un sunto. Anzi, facciamo una gita. Ingresso del cimitero monumentale di Rimini. Da un lato c’è Federico Fellini. Di fianco, René Gruau (in una foto tratta dal sito internet del Comune di Rimini). Si presume, vista la nobile collocazione, che quelli siano i due titanici angeli protettori della città malatestiana. Del primo si sa tutto, o quasi. Odiava, amandola da lontano – da molto lontano – Rimini. Ne raccontò al mondo il provincialismo intinto nel livore, il tettuto cinismo. Per celebrarlo a dovere il Comune di Rimini griffato ‘Gnassing’ ha deciso di edificare – con profumato assegno ministeriale di 9 milioni di euro – il Museo Fellini. Il secondo, Gruau, non se lo fila nessuno, chi è costui? Il punto d’incontro tra Fellini e Gruau, però, non è il cimitero di Rimini – dove si spiano con indifferenza, dall’igloo delle preghiere e delle memorie – ma La dolce vita, per cui il bel René firmò un vorticoso manifesto. Quanto al resto, va detto che se Fellini, classe 1920, ha filmato La dolce vita – che più violenta e triste non potrebbe essere – Gruau, classe 1909, la dolce vita l’ha creata. Disegnatore formidabile – svezzato al gusto grafico dal pittore riminese Gino Ravaioli – Gruau, allevato dalla madre, nobildonna parigina, da cui acquisì il cognome, cominciò, neppure diciottenne, nelle riviste di moda di Milano. Il resto è la storia del più importante illustratore di moda del millennio, un Picasso dell’eleganza – per altro, dello spagnolo fu pure amico – che eternò i lavori di Christian Dior e di Balenciaga, che lavorò per Yves Saint-Laurent, Chanel, Vogue, per tutti. “I suoi manifesti richiamano i tratti dell’arte giapponese classica e le opere di Toulouse-Lautrec”, scrisse un devoto giornalista del New York Times cavalcando il ‘coccodrillo’ di René; “con lui se ne va un pezzo significativo dell’arte del Novecento”, fa iconica eco Franco Manzoni sul Corriere della Sera. Amante della vita mondana, alchimista del lusso, René, garbugli riminesi, che all’anagrafe è Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, è il nipote di Faustina Zavagli, cioè Suor Teresa di Gesù Crocifisso, fondatrice delle “Suore Terziarie Francescane di S. Onofrio”, che dall’Istituto Sant’Onofrio a Rimini sono diffuse in mezzo mondo. Suor Teresa è “Santa di Dio” dal 1995, è accesa presso la Santa Sede la pratica di beatificazione. Morì nel novembre del 1910, quando il nipote, il disegnatore che avrebbe rivoluzionato la moda occidentale fino a diventare il santino degli stilisti, aveva un anno e mezzo.
Ma non perdiamo il filo. Gruau amava Rimini, con il trasporto sentimentale di chi non vi abita. E Rimini? Beh, Rimini ha relegato Gruau in uno spazio angusto – cui ogni tanto, quando monta la polemica, danno una rapace ridipintura – al piano terra del Museo della Città. Di fianco a Fellini – ancora – a quel vergognoso antro ‘felliniano’ dove si dovrebbe assaporare il “Libro dei Sogni”. Un vero incubo. Dal 1993, in concomitanza con una mostra riminese su Gruau, il Comune inizia ad accogliere, in modo disordinato, alcune donazioni dell’artista. Che culminano in una deliberazione della Giunta comunale del 2002. A quell’epoca si contano 228 pezzi, stimati 151.228 euro. Da allora in poi, complice anche qualche acquisto da parte del Comune (64 pezzi) si giunge a un malloppo, tra cartoline, disegni, quadri, manifesti, di 463 ‘pezzi’. Bene. Nel febbraio del 2014 – più di tre anni fa – sulle pagine della defunta Voce di Romagna lanciavo la fatale domanda, “Che fine ha fatto l’Archivio Gruau?”. Facendo una comparazione tra i dati disponibili – in Comune hanno il braccino corto nel dettagliare la lista delle opere civiche, cioè riminesi, cioè vostre, nostre: perché non realizzare uno spazio on line con tutto quello che c’è, finalmente? – e i reperti archiviati, non bisognava essere Sherlock Holmes, balzavano all’occhio vistose mancanze. Il Comune continuò a fare orecchio da mercante, squalificando l’inchiesta con un silenzioso chissenefrega. Finché, nel maggio del 2014, l’attuale Assessore ‘alle arti’ Massimo Pulini – incalzato, nel frattempo, anche da una interrogazione dell’allora consigliere pentastellato Gianluca Tamburini – si lasciò sfuggire che, in seguito a una “verifica dei vari fondi”, si era scoperto che mancavano “all’appello alcuni manifesti a stampa offset e 5 prove di stampa litografica”. Che vuol dire alcuni? Di che cifra si tratta? Il valzer delle cifre, protrattosi per mesi – a volte erano poco meno di 600 ‘pezzi’, altre 585, altre ancora 463 – portò, eureka, ad agosto – quasi sette mesi dopo il mio articolo da petulante Cassandra – a una azione radicale. Il Comune di Rimini, in seguito a una indagine compiuta dal dirigente Fabio Mazzotti, poi passato a comandare la Polizia Municipale, denuncia alla Procura della Corte dei Conti della nostra Regione e alla Procura della Repubblica di Rimini la mancanza di 35 opere di Gruau. Rubate? Scomparse? Distrutte? Da allora sono passati quasi tre anni, il 31 marzo scoccano, nel disinteresse civico, i 13 anni dalla morte di Gruau, sulla vicenda pare aleggiare un inquietante menefreghismo. Per carità, c’è ben altro di cui occuparsi, bisogna dare assistenza agli affranti, sconfiggere l’Isis e vincere la fame nel mondo. Però. Due cose. Primo: Rimini non è in grado di tutelare il proprio patrimonio. Come è possibile che di anno in anno qualcuno – o diversi alcuni – si sia portato via 35 ‘pezzi’ di Gruau? Dov’è un archivio delle opere custodite dal Museo civico visibile da tutti i riminesi di buona volontà – perché, a questo punto, chi mi dice che non manchi altro? Secondo: alzate il telefono, cari amministratori. Telefonate a Parigi, telefonate ai grandi stilisti del pianeta – nel 2011 John Galliano griffò una collezione ispirandosi interamente a Gruau – per costruire un sontuoso progetto su Gruau – a voler essere ‘riminicentrici’ la moda, in effetti, ‘tira’ turisticamente assai più dei reperti felliniani. Invece nulla. La cultura riminese giace nella palude, alla mercé di ‘eventi’ fugaci come le ciliegie. Ah, dimenticavo. In quel lontano articolo di tre anni fa mi lagnavo del fatto che non esistesse neanche una pagina Wikipedia in italiano su René Gruau. Quella ora c’è. Soltanto quella. Delle 35 opere disperse non v’è traccia.

Davide Brullo

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