"Non credevo ai miei occhi quando ho visto il Giudizio Universale del c.d. Maestro dell'Arengo squartato e i pezzi appesi come i quarti di bue in una macelleria". Giovanni Rimondini ha visitato le nuove sale: dall'Alto Medioevo al Quattrocento. Ecco le sue considerazioni.
È un lungo momento triste per le novità urbanistiche e culturali a Rimini: gli innovatori trascurano la storia della città e il buon senso. Così davanti alla Stazione ferroviaria una sorta di pozzanghera con spruzzi d’acqua non ha barriere di sorta come la pozzanghera davanti a Castel Sismondo; questi interventi senza senso sembrano trappole inventate da bambini bulli per farci cadere dentro la popolazione meno attenta: bambini, vecchi e non vedenti. Purtroppo nell’area della pozzanghera in costruzione davanti al castello è morta una persona anziana.
E poi l’uso barbarico di considerare “contenitori” edifici storicamente ben connotati come Castel Sismondo – badaloni smettete di definire l’opus di Filippo Brunelleschi una “consulenza” – architetti giovani e vegliardi guardate su Google chi è Filippo Brunelleschi; il castello è un’opera del suo regesto e come tale ritenuta da tutti gli storici del mondo, esclusi molti degli addetti ai lavori di Rimini e non parlo dei sindaci che in fatto di cultura sono affatto istituzionalmente e personalmente incompetenti.
Così anche gli spazi del Museo sono stati usati come “contenitore” di percorsi labirintici obbligati senza rispettare le strutture ancora visibili del Collegio dei Gesuiti, opera dell’architetto Alfonso Torreggiani che insieme a Carlo Dotti è il migliore architetto bolognese del Settecento. Giovani architetti, e anche voi architetti vegliardi di Rimini e forese, volete studiare la storia dell’architettura o no? I corridoi voltati, poche aule a cielo di carrozza, e la biblioteca – che nell’Ospedale serviva come sala operatoria – sono stati nascosti per concentrare l’attenzione del visitatore in un percorso che ha i suoi pregi e difetti.
Cominciamo dai difetti. Ci sono delle epigrafi medievali, messe lì per essere guardate, ma senza trascrizione e traduzione a cosa servono? Agli esecutori del labirinto basta dare un’occhiata e non interessano i contenuti? Lo stesso potrebbe dirsi del giardino delle epigrafi romane esposte alle intemperie. Bellissimo luogo ma alla lunga esiziale per il materiale epigrafico, e poi muto senza traduzioni. Si incontra quasi subito uno dei falsi storici del museo – falsi ed errori: la “stele etrusca”, la maquette del ponte romano senza le rampe, i capitelli romani tardo repubblicani che vengono detti provenire da San Lorenzo in Monte e non è vero; il secondo porto romano. Il sigillo del duca Orso che sarebbe del X secolo, ma la falsità venne denunciata da Augusto Campana; il sigillo mostra l’Arco di Augusto con la corona di merli – tante piccole M – del tipo ghibellino, in uso dal secolo XIII. Capite l’errore del falsario? Bisognerà fare, in un futuro meno climaterico, una saletta nel museo con gli errori e i falsi, e si potrà così esporre anche il pene di Mutino Tutino, altra opera del falsario che io chiamo “l’Amico del Tonini”, che gli faceva trovare negli scavi i suoi falsi scherzosi.
Esporre poi a portata di mano le delicatissime e preziose superfici delle tele medievali, dico a portata di mano e di fiato, è una mancanza gravissima di previdenza, perché statisticamente è sicuro che su un certo numero di visitatori c’è il cretino che o prima o poi le deturperà. Bisogna proteggerle con vetri che impediscano i traumi a cui ora sono esposte.
Non credevo ai miei occhi quando ho visto il Giudizio Universale del c.d. Maestro dell’Arengo squartato e i pezzi appesi come i quarti di bue in una macelleria. Illuminati poi con una luce radente che mette sotto gli occhi le gobbe continue delle tele e non permette di leggere le figure, l’impressione è che siano state scorticate da un restauro troppo deciso. Ma come vi permettete? Fare a pezzi un’opera intera, eliminare l’effetto unitario di un’opera d’arte è come togliergli l’identità unitaria; è come pubblicare una cantica di Dante mescolando le terzine, ma non lo capite? E la Sovrintendenza non ha avuto niente da obbiettare?
È peggio di quello che è capitato all’affresco di Piero della Francesca, manipolato da quel tale che ha voluto a tutti i costi farlo spostare dal sito dove Sigismondo Pandolfo l’aveva commissionato e Piero della Francesca dipinto, per metterlo in un posto dove l’avrebbe dipinto lui.
E poi, e poi l’albero genealogico dei Malatesta comincia da Malatesta marito della nobildonna ravennate, salta le prime generazioni della famiglia così bene indagate da Currado Curradi… E il Crocifisso Diotallevi è detto provenire dalla quadreria di Audiface, e invece proviene da quella del padre Michelangelo che acquistò la chiesa parrocchiale della Crocina dove il Crocifisso era documentato. Poi il Crocifisso evitò la sorte della quadreria di Audiface e rimase di proprietà dei Diotallevi finché l’ultimo della famiglia Adauto (II) lo donò al Comune. Povero me, non sono ancora morto e si dimenticano già della documentazione che ho pubblicato…
Infine una raccomandazione al nuovo assessore alla cultura: si studi le date della nascita e della morte di Giulio Cesare, perché gliele chiederanno a tradimento; agguato che era stato preparato per Jamil, l’assessore alla cultura precedente.
E poi, lo preghiamo di recarsi all’Archivio di Stato dove è conservato benissimo l’Archivio Storico Comunale di Rimini. Si faccia vedere alcuni volumi delle delibere consiliari, alcune delle quali a causa dell’imbottitura degli allegati col tempo hanno tagliato la carta che legava copertine e fogli. Da anni i direttori dell’Archivio e alcuni di quelli che lo consultano, come chi scrive, hanno chiesto all’Amministrazione Comunale di intervenire per far restaurare i registri che ne hanno urgente bisogno. Ecco una buona occasione per acquistare meriti culturali.
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