«La disastrosa gestione della pandemia ci porta sull’orlo di una “guerra civile”»

«La disastrosa gestione della pandemia ci porta sull’orlo di una “guerra civile”»

I ritardi nella campagna vaccinale si ripercuotono in termini di chiusure di uffici e attività. L'insofferenza è ormai alle stelle. E si è già innescata la spirale perversa che contrappone "garantiti” e "non garantiti". Si sta creando una spaccatura verticale nella nostra società. L'allarme del sociologo riminese Maurizio Lazzarini.

Da parte del dottor Maurizio Lazzarini (nella foto), l’approccio al tema Covid19 è fondamentalmente sociologico, quindi inerente alla propria professione e non di ordine medico, come ripeterà varie volte (ma non riportato) durante l’intervista. Questo è ciò che per correttezza ha tenuto a precisare. Ci ritroviamo nel suo studio di via Marecchia, nel Borgo San Giuliano. Il sociologo vorrebbe esprimere alcune considerazioni a un anno circa dalla prima intervista che gli feci.

«La prima considerazione nasce dall’osservazione di ciò che sta succedendo oggi in Italia a causa della pandemia causata dal Covid19, e la seconda ondata, poi la terza, le varianti, i vaccini e via discorrendo che ci hanno precipitato in una situazione estremamente complessa. Ma non mi preoccupa ciò che accade oggi, perché quello che succede nel presente ormai ha un’indicazione precisa, vale a dire la vaccinazione che di conseguenza dovrebbe portare all’uscita dal tunnel e dare questo sollievo, poter affermare che abbiamo vinto, che abbiamo battuto la malattia. Obiettivo: allinearci a paesi come Stati Uniti, Inghilterra, Israele ed Emirati Arabi, i quali stanno apparentemente sconfiggendo il virus. Nel frattempo, il mantra del “guru”/governo al “discepolo”/popolo italiano ripete che “basta avere ancora un po’ di pazienza e ne saremo fuori”. Ci vengono inoculate (via timpano) parole che veleggiano tra la rassicurazione “ce la faremo: forza” e lo stimolo a non arrenderci. Detto questo, ciò che mi preoccupa è il problema sociale e la vicenda dei vaccini. L’Europa e con essa l’Italia, hanno commesso errori tragici. Ora, nella situazione in cui ci troviamo, anche un solo giorno di ritardo lo si paga cento volte, nel senso che provoca ripercussioni temporali di considerevole portata».

Nello specifico?
«Intendo dire che i ritardi si ripercuotono in termini di chiusure di uffici e attività, di ricoveri, di morti, di difficoltà generali a reggere la situazione… Mi fa specie che coloro che hanno sbagliato siano ancora ai loro posti e a pontificare, come se niente fosse. E a dire di stare tranquilli, fermi e seguitare a tenere chiuse le attività che tanto arriva il vaccino che risolverà tutto. A mio modo di vedere è una pia illusione. La cosa più grave è che si sta creando una spaccatura sociale pericolosissima che vede contrapposti i “garantiti” ai “non garantiti”. Una classica lotta tra poveri».

«Se avessero organizzato la campagna di vaccinazione con criterio, ora saremmo già fuori dal guado o quasi».

Chi sono gli uni e chi gli altri?
«Coloro che hanno un’attività tra quelle definite indispensabili o coloro che lavorano per strutture pubbliche, che hanno uno stipendio garantito e gli altri, i “non garantiti” che se non sono già ridotti alla fame, ci arriveranno presto. Noto che esiste una certa comunicazione mediatica che tende a mettere in conflitto questi due mondi. Per esempio, si sente dire che i ristoratori hanno possibilità di resistere poiché avendo spesso evaso le tasse, sono in grado di contare su fondi non dichiarati. Poi si ribatte che il reddito di cittadinanza lo prende anche chi lavora e via di seguito. Si tende a mettere gli uni, armati contro gli altri. In tal modo si crea una spaccatura verticale della società. I recenti tafferugli di Roma e Milano sono chiari segnali sintomatici di malessere che colpisce in modo trasversale. È molto pericoloso che la gente si divida perché può essere facilmente utilizzata da chiunque voglia proditoriamente insinuarsi nel tessuto sociale lacerato».

Cui prodest?
«Lo vedremo, ma rispondendo per citazione, “divide et impera” è un motto che pare attagliarsi a meraviglia a uno scenario del genere. Purtroppo, in frangenti di grave debolezza sociale c’è sempre qualcuno pronto ad approfittare di situazioni che possano portargli vantaggio. Un progetto del genere mi pare di intravederlo. Ne riparleremo. Non so se andrà a buon fine a breve o fra anni, ma mi pare che ci sia un disegno che fluisce insidioso sotto traccia al Covid. Del resto, Orwell insegna (George Orwell, pseudonimo dello scrittore Eric Arthur Blair; 1903 – 1950; ndr). Stiamo assistendo ai primi veri scontri sul progetto di libertà e a un proposito di controllo capillare sulla vita delle persone. Il cancro della delazione sociale è impressionante. Esistono applicazioni telefoniche che taluni (magari per invidia) adoperano per avvisare le forze dell’ordine. In una certa casa c’è una cena tra amici, in un’altra si segnalano via vai sospetti… . Di lì a breve, gli agenti suonano al campanello delle abitazioni con le conseguenze del caso. La delazione: elemento integrante del regime comunista».

Addirittura.
«La denuncia alle autorità avviene perché non accetti in toto le regole imposte dal “Grande Fratello”. La tendenza, in parte è questa. La gente deve pertanto cominciare a capirsi. Il nemico non è il dipendente comunale o il barista. Siamo tutti sulla stessa barca. La barca della libertà è il valore più importante che dobbiamo condividere. Altrimenti non ne usciamo. E i mass media dovrebbero smorzare i toni. Qualche giorno fa alla manifestazione dei ristoratori tenutasi in piazza qui a Rimini è intervenuta una cosiddetta “garantita” che ha detto: “Signori, io sono una garantita, ma voglio parlare e dire che sono con voi perché un domani questo sarà un problema di tutti”. Ha fatto un gesto nobile e giusto. Ha dato una lezione di civiltà a chi fomenta, a chi soffia sul fuoco. L’altra cosa che vorrei dire è questa. Un amico di mio figlio lavorava per una multinazionale italiana in campo farmaceutico. Raccontava che fin dalla prima pandemia, loro del reparto marketing pensavano a produrre rimedi contro l’influenza per i picchi di ottobre – novembre e febbraio – marzo».

Esistono cadenze regolari e prevedibili?
«Questi sono generalmente gli andamenti delle curve epidemiche influenzali. Dopo la discesa di fine primavera/estate, la curva torna a salire con il primo picco e così via. Dunque, ho pensato che il Covid19, a parte la pericolosità e le conseguenze che procura, è di tipo respiratorio e ha gli stessi andamenti connaturati ai virus influenzali. Patologicità a parte, gli andamenti sono quelli. Di qui a breve, la curva è destinata a scendere in fretta, forse a crollare.»

Maurizio Lazzarini, sociologo.

A parte gli studi matematici letti dei quali mi diceva prima dell’intervista, ne è proprio sicuro?
«Diciamo che le chiusure hanno evitato un numero ancor più consistente di contagi, ma a prescindere da questo, ora la curva scenderà per le contromisure adottate, ma anche per effetto del suo ciclo naturale».

Tutto questo è dovuto anche ai vaccini?
«Certo. Se li avessero organizzati con criterio, ora saremmo già fuori dal guado o quasi. Potremmo programmare, stare più tranquilli, avere un futuro meno fosco. Ma il punto è un altro. A ottobre che succede? Si parla già di “variante giapponese”. Cosa succedeva con l’influenza? Si vaccinavano gli anziani sulle caratteristiche del virus dell’anno precedente. Un po’ di copertura la dava, ma non la certezza di non ammalarsi. Perché era il vaccino di una variante successiva, non ancora considerata. Con il Covid19 avverrà la stessa cosa. A ottobre ci saranno varianti che se ne fregheranno dei vaccini, colpiranno anche coloro che sono stati vaccinati e hanno gli anticorpi. Saranno infettati comunque, magari in modo molto più lieve e forse non a ottobre, ma già a febbraio/marzo ci sarà l’esplosione di queste varianti perché l’iter è quello. E se il quadro sarà quello ora prospettato, che si fa? Si richiude? Si ricomincia tutto daccapo? È dura».

La gente comincia a dare chiari segnali di insofferenza. A prescindere dal problema economico.
«Infatti: chiudere è l’unica strategia? Il vaccino lo potremo fare, ma solo dopo che è uscita la variante che contagia, non prima di sapere quale sia quella vincente. Le mutazioni sono in numero così elevato perché il virus tenta alcune varianti per vedere qual è quella che gli possa consentire di riprodursi per entrare negli organismi. Fra vaccinazioni, positivi e asintomatici ignari di avere avuto il Covid19, c’è un’enormità di soggetti che hanno avuto contatti con il virus. Non a caso un virus è un’entità biologica caratterizzata dall’essere un parassita cosiddetto “obbligato” la cui condizione per vivere è la replica all’interno delle cellule degli organismi. Ecco il motivo per cui ha necessità di varianti. Ma quale sarà la vincente, non si sa in anticipo. Si potrà fare anche un vaccino sulla variante giapponese, prima di ottobre, ma nel frattempo non è da escludere che ne sia arrivata un’altra. Saremo sempre alla rincorsa. Siamo in grado di resistere? Consideriamo anche che il quoziente residuale della pandemia si sedimenta rovinosamente, giorno dopo giorno, su bambini, adolescenti, anziani».

Si riferisce a qualcosa in particolare?
«Sicuro. Si pensi al famoso “distanziamento sociale”. Già il termine “sociale” abbinato a “distanziamento” è assai pericoloso. Preferirei parlare di “distanziamento individuale”. Tipo “stammi un po’ distante”, “stai a una distanza di sicurezza”, ma non inteso “socialmente”; non a una distanza sociale. Sotto questo punto di vista, la vedo nera. Di questo passo si rischia molto. A differenza dell’àmbito medico, dove non mi permetto incursioni, mi sento di esprimere un parere da sociologo: rischiamo la catastrofe, una guerra civile scatenata da una grave emergenza sanitaria che purtroppo ha risvolti e ripercussioni esistenziali socio-economiche importanti. Se puntiamo la mira solo sul vaccino, temo che rischiamo la disfatta. È questo l’allarme che lancio “forte e chiaro”. Spero tanto di sbagliarmi, ma visto che il ministro Speranza predica la cautela, cauteliamoci pure. Ma per affrontare questa eventualità, si deve comunque avere un piano “B”. Non mi riferisco al momento attuale, in cui la curva dei contagi si sta abbassando (diranno che abbiamo vinto, che abbiamo sconfitto il virus anche se non è vero), parlo di ottobre. Da adesso a ottobre, si programma il piano “B”».

I vaccini alla prova delle varianti: sarà una rincorsa continua.

Quali misure dovrebbero essere prese?
«Prima di tutto devono essere seguite le persone “fragili”. Anziani, in primo luogo e persone afflitte da varie malattie (come diabete, tumori, patologie cardiache, respiratorie ecc.) che rischiano più di altri. Tra l’altro attualmente c’è un acceso dibattito intorno agli anticorpi monoclonali che taluni affermano avere efficacia nello stadio iniziale dell’attacco del virus, mentre altri lo negano. Non sono in grado di dire chi abbia ragione, ma forse varrebbe la pena provare. Si dovrebbe trovare un modo per evitare quella catastrofe sociale che si preannuncia. Quindi i politici devono anche rischiare. Come ha fatto Boris Johnson in Inghilterra con i vaccini».

In prima battuta anche Johnson era per l’immunità di gregge.
«Qualcuno lo scorso anno diceva che il virus era clinicamente morto. Non era un’affermazione sbagliata. Ma il Covid sarà presente nei substrati della popolazione, pronto a ripartire in autunno. Quindi prepariamoci: per non distruggere la società per un virus che si può curare. Spetta al Governo dare una linea chiara di azione. Come ho detto nell’altra intervista, il problema è solo sanitario: terapie intensive e ricoveri in ospedale. Sono questi che vanno drasticamente ridotti. Per poi riaprire le attività e muoverci in maniera più dinamica. Anziché vaccinare immediatamente e in fretta i fragili cioè anziani e malati gravi (molti sono ancora in attesa) ottenendo uno svuotamento delle terapie intensive e la diminuzione dei decessi cosa hanno fatto? Hanno vaccinato furbetti vari e altre categorie che certamente possono essere a contatto con il Covid, ma anche se questo gira, quando hai messo al riparo anziani e malati, che importa? Per assurdo, anche se i bambini dovessero tornare a casa con il virus, il nonno sarebbe comunque protetto. Se poi qualche giovane dovesse essere a rischio, ci si attiverebbe per cautelarlo, ma l’insidia maggiore sarebbe scongiurata».

COMMENTI

DISQUS: 0