La priorità strategica per Rimini è l’area stazione, non la cartolina di Marina centro

Rimini ha davvero bisogno solo di un restyling, magari prestigioso o, per tornare ad essere una delle capitali del turismo europeo, necessita di un a

Rimini ha davvero bisogno solo di un restyling, magari prestigioso o, per tornare ad essere una delle capitali del turismo europeo, necessita di un assetto nuovo della città, di cui la mobilità della zona mare è uno dei tasselli centrali? Mettere mano alla grande area della stazione consentirebbe di valutare gli stessi progetti di riqualificazione del waterfront in un’ottica completamente nuova, immaginando diversi percorsi e modalità innovative per raggiungerlo. Intervenire a marina centro senza sapere cosa si farà e quando si interverrà sull’area della stazione rischia di rappresentare l’ennesima replica del pendolo riminese che da decenni oscilla tra stolido immobilismo da un lato e dall’altro, interventismo tardivo, privo di visione del futuro, come è avvenuto con la realizzazione dei due Palazzi dei Congressi o del Trc.

Sono passati più di quattro anni dalla elezione di Andrea Gnassi a sindaco di Rimini. Si avvicina il momento cruciale dei bilanci sull’attività della sua amministrazione.
A parte l’incessante movida degli eventi che nessuno sa quanto possa influire positivamente o negativamente sugli esiti elettorali, il sindaco sembra impegnato in un forcing per portare a termine, prima della fine del mandato, alcune partite che potrebbero fare la differenza nel giudizio dell’opinione pubblica sul suo quinquennio di governo.
Su tutte la cartolina di marina centro.
Sinceramente non so se un successo in questa direzione potrebbe fare apparire il bicchiere mezzo pieno, invece che mezzo vuoto, perché a fianco dei punti a favore raggiunti nel corso della consigliatura, come l’avvio del grande piano per dotare di un sistema fognario efficiente la città, ci sono anche quelli in negativo come il fallimento del Fellini e la mancata chiusura della interminabile telenovela degli strumenti urbanistici.
E’ vero. Sono diversi anni che tutta l’area della cartolina trasmette un carattere di provvisorietà, di non finito, un po’ cantiere, un po’ degrado, qualche lotto abbandonato, cancelli incongrui, percorsi pedonali interrotti, segnaletica stradale improbabile. Per giunta la pista ciclabile, in se lodabile, è stata però realizzata senza un vero progetto e non ha certo migliorato la situazione dal punto di vista del decoro urbano.
E’ più che comprensibile che un sindaco, per il quale l’immagine non è certo una cosa secondaria, viva con angoscia lo stato di quello che rimane il principale biglietto da visita della nostra riviera.
Si comprende perciò che sia diventata la sua priorità ed è indubbio d’altra parte che lo sforzo sulla cartolina abbia un passo ed un orizzonte diverso rispetto ai tentativi abortiti negli anni passati ed anche contenuti innovativi come l’interessante approccio improntato alla sussidiarietà.
Non credo che quest’ultimo aspetto, al netto di una maggiore prudenza che sarebbe stata auspicabile nella gestione dei rapporti con alcuni imprenditori (vedi conferenza stampa di presentazione della Molo Street Parade), possa essere comunque inficiata dalle disavventure giudiziarie di uno degli interlocutori.
Si tratta in ogni caso di una scelta “strategica” di fondamentale importanza, perchè può determinare in modo irrevocabile il futuro di Rimini e dei suoi assetti territoriali e di qualità urbana per i prossimi decenni.
E’ un bivio, paragonabile a quello del 1948, quando, insieme al sindaco Bianchini, venne cestinato il piano di sviluppo della marina proposto dalla società REMA e targato da prestigiosi architetti e si aprì la fase di ricostruzione della città balneare diffusa ed “anarchica”, basata sulla micro impresa che ci ha dato i successi, ma anche le storture, che ben conosciamo.
Per questa ragione ritengo che valga la pena di esaminare gli eventuali dubbi che la scelta di Gnassi porta con sé.
Mi concentro su uno, il principale. Il progetto si basa su una filosofia di assetto territoriale che affida ancora alla mobilità automobilistica privata il raggiungimento della zona mare. La realizzazione di un grande numero di parcheggi sotto il lungomare conferma e potenzia infatti la matrice urbana in essere dagli anni ‘50 e funzionerà come calamita per il traffico degli autoveicoli verso quella parte della città.
In superficie dovremmo avere in cambio una città giardino, ma tutta la circolazione delle aree circostanti risulterà stressata dalla scelta di convogliare verso questo polo di attrazione il traffico privato, senza che vi siano, come è già evidente oggi, infrastrutture viarie minimamente adeguate.
Non voglio tornare sull’esempio di una diversa filosofia della mobilità ben illustrata dallo Shard di Renzo Piano a Londra, con il divieto apposto dalla municipalità di realizzare parcheggi al fine di evitare il congestionamento automobilistico dell’area. Mi limito a domandare se dopo sessant’anni desideriamo davvero continuare a portare le auto al mare e non sarebbe invece più utile, per un nuovo disegno di qualità urbana, al passo con la moderna cultura del vivere le città, scegliere strade diverse.
Insomma Rimini ha davvero bisogno solo di un restyling, magari prestigioso o, per tornare ad essere una delle capitali del turismo europeo, necessita di un assetto nuovo della città, di cui la mobilità della zona mare è uno dei tasselli centrali?
Forse varrebbe la pena di assumere un diverso punto di vista e piuttosto che partire dalla coda, sarebbe decisamente meglio esaminare se esistono, nel disegno urbano che ci è stato consegnato dagli anni, opportunità di pianificazione e di progettazione che consentano di guardare alla marina ed alla sua mobilità in un’altra prospettiva, evitando di replicare il già visto ed il già stanco.
Tanto più se l’intento è quello di un allungamento della stagione di uso turistico della spiaggia in chiave di divertimento, salute e benessere.
Questo interrogativo mi porta alla domanda sul perché, dal punto di vista degli assetti territoriali, non sia ancora diventata la vera priorità “strategica” l’intervento sulla grande area della stazione. Esso infatti consentirebbe di valutare gli stessi progetti di riqualificazione del waterfront in un’ottica completamente nuova, immaginando diversi percorsi e modalità innovative per raggiungerlo.
Purtroppo però sono molti anni che la discussione su questo tema è sparita dai radar della politica urbanistica riminese, tornando ad affacciarsi soltanto quando si è avuta l’eco di qualche interesse imprenditoriale, più o meno fondato, ad interventi immobiliari su quelle aree.

Questa assenza è davvero incomprensibile perché ci sono molteplici ragioni, ce lo siamo ripetuti mille volte, che militano perché si parta proprio di lì per ripensare Rimini.
La rimozione della storica frattura tra centro storico e marina, la potenzialità di un polmone enorme di parcheggi a servizio delle due città che consentirebbe un salto di qualità sul versante delle aree pedonali e delle piste ciclabili, un’adeguata infrastrutturazione del luogo di elezione per lo scambio intermodale della mobilità, l’opportunità di riconnettere la viabilità nord/sud della città lineare, la possibilità di condensare servizi di rango superiore per i diversi contesti urbani, non ultima la proprietà delle aree nella disponibilità di un ente a partecipazione pubblica.
C’è di più. Volendo essere spicci, è anche l’area, per la sua collocazione e per le sue caratteristiche, che più di ogni altra potrebbe ospitare un diverso approccio allo skyline della città, il luogo per segni architettonici forti di modernità, la cui adeguata valorizzazione immobiliare inoltre potrebbe ripagare decisive infrastrutture di pubblica utilità.
Tutto ciò dovrebbe indicare con forza una sicura priorità “strategica” della pianificazione e dell’intervento su quest’area.
Per questa ragione non si sfugge alla sensazione che il rito urbanistico riminese, storicamente caratterizzato dalla propensione della pianificazione pubblica ad inseguire gli appetiti che di volta in volta la rendita immobiliare ha manifestato sul territorio cittadino, abbia ancora una volta prevalso sui reali interessi di qualificazione urbana, relegando nel dimenticatoio questo tema centrale perché privo della necessaria “spinta” dei gruppi legati alla rendita speculativa.
E’ evidente che ci deve essere stata anche una difficoltà di rapporto e di concertazione con le Ferrovie. Se si pensa a tutti gli equivoci che si sono susseguiti con il Demanio, ci deve essere qualcosa, nelle modalità di rapporto che storicamente l’amministrazione riminese intrattiene con enti e poteri centrali, che non funziona.
Per Ferrovie quell’area non è certo una priorità essendo uno dei tanti asset periferici a disposizione, ma non deve avere neppure giovato l’interessamento sotto traccia di qualche cordata immobiliare locale di cui si è parlato in passato. Fatto sta che non si è mai voluta affrontare la fatica di presentare un piano sufficientemente chiaro e credibile, capace di convincere Ferrovie dello Stato a collaborare al progetto in una chiave di interesse della comunità.
E’ un destino decisamente paradossale per aree di impatto decisivo sulla pianificazione territoriale e per giunta di proprietà pubblica.
Non vorrei che tanti anni di inerzia, compresi quelli dell’amministrazione Gnassi, venissero oggi invece giustificati come una decisione voluta e consapevole di sapore verde.
Cemento zero è una opzione buona e condivisibile, ma, lo sa anche il nostro sindaco, si tratta di un’opzione strategica che è possibile ed utile interpretare a fronte di temi territoriali decisivi che possono, con un’adeguata progettazione di qualità, rappresentare la soluzione forte di storici problemi di assetto urbano di Rimini. Non è forse questa la ricetta che è stata adottata per un’area assai meno strategica come quella prospiciente il Centro Congressi?
In ogni caso intervenire a marina centro senza sapere cosa si farà e quando si interverrà sull’area della stazione rischia di rappresentare l’ennesima replica del pendolo riminese che da decenni oscilla tra stolido immobilismo da un lato e dall’altro, interventismo tardivo, privo di visione del futuro, come è avvenuto con la realizzazione dei due Palazzi dei Congressi o del TRC.

Per queste ragioni non mi strapperei i capelli se la cartolina di marina centro venisse messa per l’ennesima volta, ma in questo caso momentaneamente, in standby, a patto che venisse subito intrapreso un percorso credibile per intervenire sull’area della stazione.
Non è mai particolarmente popolare un rinvio e tuttavia in questo caso ritengo che potrebbe essere spiegato con buone argomentazioni, soprattutto se prima dello scioglimento del consiglio si facessero due cose.
La prima. Aprire un confronto ed individuare con precisione le destinazioni dell’area, le infrastrutture che debbono essere ospitate, i collegamenti viari e di mobilità da realizzare, il rapporto con la marina ed il centro storico, le quantità e le tipologie edificatorie. Penso ad un atto di indirizzo forte, approvato dal Consiglio Comunale, che concludendo questo confronto sia il presupposto degli accordi con Ferrovie dello Stato.
La seconda. Aprire un tavolo con la proprietà dell’area, debitamente sostenuto dal punto di vista politico (i parlamentari locali possono essere molto utili se non si teme che possano fare ombra). L’obiettivo, sulla base dell’atto di indirizzo di cui sopra, dovrebbe essere un bando pubblico comune tra i due enti per la progettazione e la realizzazione delle previsioni.
Non credo sia impossibile realizzare tutto ciò nei prossimi mesi e, se la preoccupazione fosse quella del contraccolpo del rinvio sulla cartolina, il sindaco uscente potrebbe comunque vantare un risultato molto significativo e consegnare alla prossima amministrazione (magari a se stesso) il progetto chiave per la Rimini dei prossimi decenni.

Consiglio non richiesto. Non so se Andrea Gnassi farà una scelta di questo tipo, tuttavia Rimini ha le energie e le competenze, anche al di fuori dell’amministrazione, per intraprendere questa strada. Certo non potranno esserci i crismi di una iniziativa istituzionale, ma viviamo in un’epoca di protagonismo della società civile che può, in un’ottica di sussidiarietà, surrogare il pubblico, almeno sulla progettualità.
Un bando di idee civico per prefigurare i contenuti dell’atto di indirizzo sarebbe una bella sfida per i civici, o no?

Sergio Gambini

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