Che cosa c’entra il sindacato con la consegna dell’azienda da parte di Celli senior ai due figli, e con i fallimenti a catena di entrambe le società, più altre 8 società riconducibili sempre a Celli?
E’ indegno e incredibile, ma succede: i dipendenti rimasti fino a pochi giorni fa a libro paga dei Celli danno la colpa del fallimento di Edizioni delle Romagne al sindacato e agli organi di categoria, uno di loro chiede addirittura “la soppressione dell’Ordine dei giornalisti”. Ma che c’azzecca? Che cosa c’entra il sindacato con la consegna dell’azienda da parte di Celli senior ai due figli, e con i fallimenti a catena di entrambe le società, più altre 8 società riconducibili sempre a Celli?
Vediamo invece qual era la situazione di “Edizioni delle Romagne” alla vigilia della dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Rimini, carte alla mano, documenti pubblici (e non chiacchiere).
La società dei due figli di Celli ha depositato al Registro delle imprese lo stato patrimoniale al 30/09/2016, cioè dopo i primi 17 mesi di attività nella gestione del quotidiano “La Voce di Romagna”.
Ecco lo stato dei debiti accumulati a quella data: “verso banche 81.157 euro, verso fornitori (stampatore) 228.734 euro, verso dipendenti 228.801 euro, altri debiti 681.779, ratei passivi 146.733, totale 1.367.204 euro di indebitamento”. Eppure nello stesso periodo la società ha dichiarato un totale di ricavi (edicola, pubblicità, online, abbonamenti) di 1,8 milioni di euro. Una parte dei costi di produzione (stampatore, dipendenti) non veniva pagata, i ricavi c’erano: qualcosa non torna.
La società il 12 dicembre 2016 (documenti pubblici) ha deliberato l’azzeramento del capitale sociale e chiesto ai soci di versare nuovo capitale per un totale di oltre 1 milione di euro. I soci non hanno aderito (come era accaduto anche per una ricapitalizzazione chiesta a maggio 2016), la scadenza dell’operazione era il 31 gennaio 2017, a quella data la società doveva essere messa in liquidazione (lo affermano gli stessi Celli nell’atto notarile depositato in Camera di commercio).
Ma andiamo ancora più alla radice. In un altro documento pubblico, la sentenza del 24 novembre scorso con cui il Tribunale del Riesame confermò la misura cautelare degli arresti domiciliari per Celli Giovanni, il giudice riprendeva l’ordinanza del Gip evidenziando “condotte recidivanti di bancarotta in relazione alla vendita del ramo d’azienda della società Editrice La Voce alla società Edizioni delle Romagne srl, le cui quote sono detenute dai due figli dell’indagato, avvenuta in data 19/2/2015 per un canone di affitto irrisorio. In tal modo è stato assicurato il mantenimento in capo al Celli e alla sua famiglia dell’azienda”.
Dove erano i dipendenti di “Edizioni delle Romagne”, che adesso strepitano (a vanvera) contro il sindacato e l’Ordine, quando accadeva tutto questo? Di che cosa si occupavano? Pulivano forse i gabinetti (visto che la voce di bilancio per le pulizie era zero euro)? Perché non leggevano i bilanci, già depositati, né le sentenze dei giudici? Erano pretese “irrisorie” quelle dei creditori, per un totale di un milione e trecentomila euro?
POSTILLA SUI DATI DICHIARATI DELLE TIRATURE – Stando ai dati depositati presso Agcom, La Voce di Romagna nel 2015 ha realizzato una tiratura di n. 774.907 copie (fonte Agcom, “Pubblicità inerente alla tiratura delle testate quotidiane 2015”), non disponibili i dati del 2016. Nel 2013 la tiratura dichiarata de La Voce di Romagna era di n. 3.412.933 copie (fonte Agcom). Conclusione: in soli due anni (2014: mancati stipendi ai giornalisti; 2015: bancarotta di Editrice La Voce e passaggio dell’attività ai figli di Celli), un crollo del 77,3%. Ecco che cosa succede quando vengono calpestati i diritti dei professionisti, e quando una parte di redazione ne fa fuori un’altra, d’accordo con l’editore.
Paolo Facciotto, fiduciario sindacale dei giornalisti rimasti in carico a “Editrice La Voce srl in fallimento”
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