Otto i riminesi che al Teatro Galli hanno ricevuto il riconoscimento attribuito dal Capo dello Stato. La vicenda di due di loro, che hanno pagato cara la scelta di non piegarsi al nazifascismo.
C’è chi, come Virgilio Buffoni, entrato nella Legione Reali carabinieri nel 1920, nel 43 verrà fatto prigioniero dalla Gestapo insieme ad altri 2mila carabinieri, riuscirà a scappare ma non trascorrerà molto tempo in libertà perché sarà nuovamente catturato e deportato in Germania nei lager nazisti. Analogo destino per il figlio Luciano la cui unica «colpa» era stata quella di collaborare con la rete antifascista, sarà catturato dai tedeschi a Santarcangelo, a soli 16 anni d’età.
C’è Gino Agostini, al quale toccherà la stessa sorte pur provenendo da una storia personale diversa. O Antonio Gamucci, Pietro Fiori, Vincenzo Esposito, Antonino Panzeca e Osvaldo Zanobbi. Sono gli otto riminesi che al Teatro Galli hanno ricevuto la medaglia d’onore del presidente della Repubblica alla memoria dalle mani del prefetto Giuseppe Forlenza e dei sindaci Andrea Gnassi, Giorgio Ciotti e Fabrizio Piccioni, nella cornice di «Rimini città della memoria».
Storie simili che hanno accomunato persone costrette a patire «gli stenti, il dolore, la fame e persino il tentativo di azzerarne la dignità», come ha ricordato il prefetto nel corso della cerimonia. La vicenda di Virgilio Buffoni è emblematica.
Soldato di leva classe 1900, già in congedo illimitato per aver assolto agli obblighi di leva, il 27 aprile 1918 è chiamato alle armi nel 42° Reggimento Fanteria ed inviato nei territori in stato di guerra dove rimarrà fino al termine della 1° Guerra Mondiale. Il 9 settembre 1920 viene richiamato alle armi nel 42° Reggimento Fanteria e il 7 ottobre 1920 diventa carabiniere ausiliario con obbligo di ferma di due anni nella Legione Reali Carabinieri di Bologna. Trascorrono pochi mesi e viene richiamato nuovamente alle armi: è il 30 agosto 1941. Prende servizio presso la Stazione Carabinieri Reali di Montemario l’8 settembre 1941 e due anni dopo cade nelle mani dei tedeschi. Virgilio riesce a sfuggire alla cattura e insieme alla propria famiglia, con un mezzo di fortuna, ritorna in Romagna dove comincia subito a collaborare attivamente con la Resistenza locale. Ma nell’ottobre del 1943 viene fatto prigioniero a Santarcangelo di Romagna dalle Forze Armate tedesche e deportato in Germania al lavoro coatto in due diversi lager nazisti, fino alla liberazione nel maggio del 1945. Il figlio Luciano, di professione manovale, è della stessa pasta del padre e appena sedicenne lo supporta nel contrastare attivamente i nazifascisti. Viene deportato insieme a suo babbo in Germania, su un treno merci, al lavoro coatto nei lager nazisti di Gelsenkirchen, miniera della Mining Company Hibernia, e Schleswig.
A ritirare le due medaglie al Teatro Galli c’era il nipote, Matteo Buffoni. Suo padre è figura abbastanza nota a Rimini (è stato direttore del Consorzio di Bonifica). Gli è stato dato il nome del nonno, Virgilio. Perché, come ha scritto Primo Levi, «l’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria».
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