L’impossibile sogno del com’era dov’era

L’impossibile sogno del com’era dov’era

Vale per chiese e realtà monumentali gravemente danneggiate o demolite dal terremoto e vale per il nostro Galli.

Dopo le ultime scosse di terremoto in Marche e Abruzzo, Matteo Renzi aveva proclamato che sarebbe stato ricostruito tutto, “case, chiese ed esercizi commerciali”.
Che va bene per case ed esercizi commerciali, ma come la mettiamo con chiese e realtà monumentali in genere?
Cioè per edifici, palazzi e teatri storici che in Italia furono costruiti grazie all’opera di maestranze di tipo artigianale e artistico per cui l’Italia, fino a inizio Ottocento, era il centro del mondo e i sovrani di tutta Europa facevano a gara per accaparrarsele.
Poi arrivarono i venti farlocchi e luterani d’una rivoluzione Romantica aggravata, in Italia, dalla montatura Risorgimentale.
Montatura che consegnò il paese ai placet della massoneria inglese, rottamando quel bello universale promosso per secoli dalla Chiesa Cattolica e divenuto a un tratto sinonimo di “Pompières”, quindi da rottamare.
Col risultato che gli edifici sacri che si costruiscono oggi somigliano o a capannoni industriali o a cervellotiche colate di cemento firmate da archistar che del sacro non ne hanno un’idea.
Perché?
Perché non c’è più l’anima né ci sono più quelle maestranze di tipo artigianale (pittori, mosaicisti, stuccatori, ebanisti ecc.) in grado di costruire ex novo edifici che risultano così inquinati, fin dall’inizio, dall’eresia iconoclasta.
E infatti: avete mai visto un affresco, un mosaico o un quadro innestato in maniera non gratuita, o semplicemente esornativa, in una chiesa cementizzata e razionalista in quanto moderna?
In questa situazione, pensare di poter ricostruire “com’era dov’era” è impossibile.
Se non con un effetto Disneyland capace solo di confermare il paese dei balocchi che siamo diventati, a partire dal livello culturale e politico oltre a quello monumentale.
Ma perché Renzi prometteva cose impossibili?
Un po’ per ignoranza, un po’ per cialtroneria costitutiva, un po’ per campagna elettorale permanente.
L’altro esempio viene, dalle nostre parti, dalla ricostruzione del Galli.
Che secondo le promesse di Gnassi (il Renzi locale, che Dio lo scampi e liberi dalla fine fatta dal suo alter ego nazionale) doveva essere rifatto “com’era dov’era”, e ne verrà fuori invece un pateracchio in cemento armato né carne né pesce.
In quanto dotato d’una acustica, d’un numero di posti, d’una fruibilità visiva che neanche il cinema dai preti quand’ero bambino io.
Anche se il problema in realtà è strutturale, nel senso che gli edifici storici (civili o dati allo spettacolo) nascevano nei secoli scorsi da un popolo che consumismo ed edonismo Pasoliniani non avevano ancora distrutto e che oggi non esiste più.
Se non in forma di populismo selvaggio che non produce nulla se non pigolìi on line e rottamazioni a sfascio assolutamente incapaci di edificare alcunché dal punto di vista cultural-politico o artistico-monumentale.
A conferma, come diceva sempre Pasolini, che l’ultima grande stagione dell’architettura italiana è stata quella del Duce, aprés lui le deluge in formato Salviniano, Grillino, Calatravista o Fuksiano che si voglia, ma sempre maionese impazzita è.
Incapace di recuperare quel “popolarismo” non solo politico, ma anche costruttivista, che solo attraverso l’esercizio del bello ragionevole potrebbe superare, senza bisogno di rottamarlo, il populismo.
Ma senza affreschi veri nelle chiese o palchi d’opera effettivi sulle pareti del Galli, sarà mai possibile?

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