Egregio Presidente Bonfatti, ho apprezzato il tono pacato della sua replica al mio recente intervento, non altrettanto il merito che valuto parziale p
Egregio Presidente Bonfatti,
ho apprezzato il tono pacato della sua replica al mio recente intervento, non altrettanto il merito che valuto parziale per le ragioni che dirò ed evasivo per quanto riguarda alcuni miei espliciti riferimenti alle relazioni della Banca con il suo Ente conferente.
Ma procediamo con ordine.
Lei, come me, sa bene che tra le imprese quella bancaria è la più difficile e complessa perché ha a che fare con il credito, cioè con la distribuzione di denaro. E dunque la distribuzione di credito a una clientela che occorre saper valutare e conoscere, soprattutto da parte di una realtà bancaria profondamente radicata nel suo territorio d’elezione, come banca Carim.
Non c’è dubbio che dall’epoca del commissariamento della Banca d’Italia, e anche in seguito, la prescritta necessità di rientrare in fretta all’interno di stringenti parametri già difficili da garantire in periodi di crescita economica e sviluppo, per Carim si è rivelata un vero e proprio cappio al collo. Impedendole, di fatto, quella “dinamica gestione manageriale” che non significa finanziamenti facili a imprenditori non meritevoli, solo per evitare altri termini che lei ha fatto capire, ma che vuole intendere la capacità di fare banca al servizio di una realtà economica che si conosce e della quale si condividono le preoccupazioni e le difficoltà.
Come hanno insegnato quei meritevoli fondatori cittadini riminesi che nel 1840, creando la Cassa di Risparmio, hanno scelto di sostenere famiglie e imprese nella difficile e complessa attività di concedere credito a chi lo meritasse. Sensibilità e attenzioni che – mi rendo conto – possono essere considerate superflue per chi non ha radici a Rimini e per chi non appartiene alla sua storia.
Del resto non riesco a pensare a una Cassa di Risparmio di Rimini esautorata dal suo ruolo di principale istituto di credito del territorio, incapace di stare vicino al suo ceto produttivo, al diffuso sistema imprenditoriale che ha fatto perno sul turismo e sull’immobiliare, alle famiglie di quel vasto mondo della borghesia illuminata che si è inventata Rimini, con le sue eccellenze e le sue negligenze. In altre parole ritengo che Carim avesse ed ha tuttora, il preciso obbligo di non abbandonare i suoi concittadini, i suoi soci, quelli che Lei probabilmente con distacco chiamerebbe “clienti”. E perciò rischiare essa stessa nel sostenerli in un periodo impegnativo, complicato e a Rimini contrassegnato da difficoltà maggiori rispetto ad altre province della Regione.
Ho maturato l’idea che qualcuno, cinicamente e interessatamente, e purtroppo non solo all’esterno, abbia cavalcato le difficoltà della Banca derivanti dalle crisi finanziarie del 2008 per indebolirne il ruolo e, forse, per renderla facile preda di un sistema bancario che tende agli accorpamenti in grandi gruppi sempre più distanti dagli utilizzatori finali del credito.
In questo scenario si deve per forza inquadrare il ruolo dell’Ente conferente, della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che non ha brillato per capacità di controllo, per competenza di indirizzo e per qualità di supporto nel momento di difficoltà del proprio asset principale.
E’ assai probabile che l’inaccettabile litigiosità delle componenti interne alla Fondazione sia stata la causa scatenante che ha consigliato Banca d’Italia a procedere al commissariamento della banca controllata. Ribadisco che in altri contesti e in situazioni non molto dissimili da quelle riscontrate in Carim, semmai peggiori, Banca d’Italia non è intervenuta con la durezza e la pesantezza che sono stati usati a Rimini. Segno che il management della banca e l’impegno della Fondazione, a Rimini, hanno segnato il passo, cedendolo con ignavia a commissari che sono intervenuti con la scure sul ceto creditizio anziché con la ragionevolezza che occorreva.
Senza voler scomodare i casi limite a livello nazionale come Monte Paschi Siena, altre realtà bancarie di dimensioni paragonabili a Carim non sono state trattate allo stesso modo.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, la Fondazione gestisce ormai la sola ordinarietà e sempre a favore dei soliti noti (!) ed ha perso il ruolo di riferimento e di bilanciamento di altri enti istituzionali, tra l’altro anch’essi sempre più deboli, mentre la banca, storicamente espressione di un territorio appetibile, soggetta a ripetute ispezioni e a non amichevoli attenzioni, rischia di essere “occupata” da istituti di ben altre dimensioni.
Manca cioè una certezza di futuro che neppure il recente rinnovo del C.d.A. di Carim sembra poter garantire, tra contrapposizioni di liste minori e l’ingordigia della solita Fondazione che, non paga della propria attuale maggioranza assoluta, scende nella mischia per favorire una di quelle liste e blindare – a favore degli amici e degli amici degli amici – l’intera compagine degli eletti.
I fatti più recenti portati all’onore della cronaca dal Comitato dei piccoli azionisti, che addirittura chiede il commissariamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, e i ripetuti richiami da parte di Unindustria affinché si programmi una “strategia a medio e lungo termine, trasparente e lungimirante”, dimostrano ancora una volta la scarsa considerazione riservata ai vertici dell’Ente e l’evidente decadimento in cui ci si trova a operare. Mentre le difficoltà in corso e gli attacchi esterni richiederebbero unità d’intenti, capacità decisionali ed esperienze di settore che sembrano mancare agli attuali vertici, per fortuna ormai in scadenza.
Le assicuro che quanto ho scritto è totalmente sostenuto dalla più limpida “onestà intellettuale e correttezza informativa”, mentre qualche dubbio sollevano le precisazioni di alcuni dati da Lei forniti, tacendone altri ben più rilevanti. Annotando, infine, che nel sito della Banca addirittura non compare l’ultima Semestrale del giugno 2015!
Attendo la Sua risposta e quella eventuale di altri aventi titolo.
Mario Forte
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