Lou Reed nel Tempio Malatestiano. Intervista a Luca Gallesi

Lou Reed nel Tempio Malatestiano. Intervista a Luca Gallesi

Ezra Pound, Sigismondo Malatesta, la rockstar e Rimini.

"Lo vidi che, con molta e umile attenzione si faceva spiegare da una guida turistica personale tutti i segreti di questo magnifico monumento. Mi piace immaginare un filo rosso che scorre nel tempo a legare i destini di un condottiero rinascimentale, un poeta ingabbiato in una cella di ferro e un grande cantante rock”.

Con il viso dentro l’infamia e la fine, già accusato di tradimento dagli Stati Uniti, nel Cantos LXXII Ezra Pound canta “Rimini arsa e Forlì distrutta”, piange sul “sepolcro di Gemisto”, bombardato e disfatto (“giù son gli archi e combusti i muri”). Forlì, va bene, è la capitale del Fascismo, la città alla cui ombra sorge Dovia di Predappio, la Betlemme del Duce. Ma che c’entra Ezra Pound con Rimini, l’urbe del turismo di massa? A Rimini Pound sbarca nel 1923 sulle tracce di Sigismondo Pandolfo Malatesta, il grande condottiero, spietato – fu detto anticristo da Pio II – ma geniale, che diede ordine a Leon Battista Alberti, a Piero della Francesca, a Agostino di Duccio di erigere il suo Tempio, il Tempio Malatestiano. A Rimini il grande poeta scopre, alle spalle del Malatesta, la filosofia neoplatonica di Gemisto Pletone. E Rimini fu galeotta perché lì Pound si scontrò, passando con naturalezza da un condottiero romagnolo all’altro, con l’etica fascista. Ospite al Palace Hotel di Averardo Marchetti, reduce della Grande Guerra e audace mussoliniano, Pound alternò le gite bibliografiche nella Biblioteca Gambalunghiana alle discussioni per capire il pensiero politico del Duce. I riminesi, probabilmente, non sono felici di essere l’alcova fascista di Ez: quest’anno, in cui si aggrovigliano due micidiali anniversari – i 600 anni dalla nascita del Malatesta e i 45 dalla morte di Pound – a nessuno, in Comune, è venuto in mente di onorare come si deve il più influente poeta del Novecento. La pezza culturale la mettiamo noi, interpellando Luca Gallesi, accanito studioso di Pound (“ho iniziato a cimentarmi con Pound da ragazzo, negli anni Settanta, e continuerò a farlo per sempre”), che a Pound ha dedicato libri (ad esempio, Le origini del fascismo di Ezra Pound, 2005), e su Pound ha fondato collane editoriali (la ‘Poundiana’ per Ares, ‘Oro e lavoro’ e ‘A lume spento’ per Mimesis).

Come mai Pound s’innamora proprio del Malatesta?
“Come gli altri protagonisti dei Cantos, Sigismondo Malatesta è un uomo dalla forte volontà e dalle indiscutibili capacità costruttive. Nei cosiddetti Cantos malatestiani (VIII-XI) Pound racconta come le difficoltà non scoraggino l’uomo di valore, ma, anzi, lo spingano a osare di più. Nella biografia del grande condottiero, da Pound conosciuta principalmente attraverso lo studio di Charles Yriarte oltre che dai documenti originali dell’epoca, vediamo all’opera il vigore di un giovanissimo – E Sigismundo era dodicenne allora – capace di farsi strada con astuzia e forza in un mondo violento e affascinante. Incurante delle fandonie sparse ad arte dai nemici, tra cui Enea Silvio Piccolomini, il futuro Papa Pio II, Sigismondo lascia ai posteri un immenso capolavoro incompleto, il Tempio Malatestiano di Rimini, dove, permettimi un ricordo personale, nel luglio 2011 feci un incontro curioso: vidi infatti Lou Reed, che, con molta e umile attenzione si faceva spiegare da una guida turistica personale tutti i segreti di questo magnifico monumento. Mi piace immaginare un filo rosso che scorre nel tempo a legare i destini di un condottiero rinascimentale, un poeta ingabbiato in una cella di ferro e un grande cantante rock”.
C’è un altro personaggio, legato al Malatesta e a Rimini, che balugina nei Cantos: Gemisto Pletone. Come si inserisce Pletone nella composizione, per così dire, ‘filosofica’ dei Cantos?
“Grazie a Moreno Neri, e al suo raffinato editore riminese, Raffaelli, abbiamo a disposizione i testi originali di Giorgio Gemisto Pletone, come ad esempio il De Differentiis, o anche il Trattato delle virtù e ci possiamo quindi rendere conto dell’importanza di questo misterioso filosofo bizantino che ebbe un’enorme e poco studiata influenza sul Rinascimento italiano. Pound, sia nel Canto LXXXIII che nella Guida alla Cultura, lo cita come ispiratore di Sigismondo, che infatti, dopo averlo incontrato al Concilio di Firenze nel 1438 ne recuperò le ceneri che volle fossero conservate proprio nel suo Tempio dell’amore”.
Sappiamo che, anche tramite il Malatesta, Pound prese una specie di abbaglio e di innamoramento per Benito Mussolini. Che idee politico-estetiche portano Pound ad aderire al fascismo? Che ruolo ha, per Pound, il poeta nel tumulto della Storia?
“Più che il Malatesta, a Pound fu fatale Orage, e prima ancora Yeats, che gli mostrarono, il primo, l’importanza del ruolo sociale dell’artista, e quindi la necessità di schierarsi, mentre il secondo lo affascinò con un ideale di bellezza aristocratica che Pound ritrovò nel fascismo italiano. Non prese nessun abbaglio: semplicemente vide in Mussolini – come quasi tutti i contemporanei, del resto – l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Non credeva nella possibilità di esportare il fascismo, ma sapeva che quello era ciò che di meglio potesse capitare alla nostra povera patria… Il poeta è ‘antenna della razza’, perché più sensibile, e quindi maggiormente responsabile nei confronti della sua tribù”.
A novembre sono i 45 anni dalla morte di Pound. In Italia mi pare ci siano ancora troppe reticenze e irritazioni ideologiche intorno al suo nome. Cosa bisognerebbe fare per leggere Pound come si deve, finalmente?
“Leggerlo, e basta. Ed è proprio quello che da tanti anni cerco di invitare a fare con i miei lavori editoriali. Ho messo a disposizione del pubblico italiano autori fondamentali come Orage, Douglas, e Gesell, che non erano mai stati tradotti prima, e che, insieme agli scritti di Jefferson, di Yeats, e a quelli di prossima pubblicazione come Brooks Adams e Odon Por, ci permettono di conoscere le fonti del pensiero poundiano, lontano da facili e modeste approssimazioni. Purtroppo, spesso non si vuole fare fatica, ed è più facile ripetere logore citazioni piuttosto che mettersi a studiare veramente temi ostici come l’economia monetaria o la storia politica”.
Che piste di ricerca si stanno percorrendo – o si dovrebbero percorrere – nell’opera poundiana? Quale aspetto potrebbe donarci delle sorprese?
“Sorprese, nessuna, se non quella di scoprire finalmente quello che ha detto veramente Pound, se e quando ci decideremo a leggerlo come merita. Penso che in futuro, oltre a continuare a occuparmi delle fonti poundiane – vorrei tradurre e curare scritti di Kitson, Soddy, Butchart, Larranaga, Frobenius… – troverò il tempo di rimettere mano a quanto quello che approfondii, quasi trent’anni fa, per Renzo de Felice, ovvero l’epistolario con l’Ammiraglio Ubaldo degli Uberti, un grandissimo personaggio che vorrei trarre finalmente dall’immeritato oblìo”.
L’ultima domanda è quella più delicata. Riguarda la traduzione dei Cantos, che giace nel lapidario sonno dei ‘Meridiani’ Mondadori. “Per ora quella di Mary De Rachewiltz rimane un eccellente lavoro”, dice Gallesi. Però… “Però, come quelle di tutti i libri, anche la traduzione dei Cantos invecchia qui, sicuramente, avrebbe bisogno di una ‘manutenzione’”. Magari. Intanto, accontentiamoci di rileggere Pound, il poeta più tartassato dal pregiudizio e dall’ignoranza patria.

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