Quest'anno i temi socio-politici affrontati dal vescovo sono stati quelli del campo nomadi (con una nemmeno tanto velata accusa di immobilismo) e della lotta alla prostituzione (cosa aspettate ad applicare il decreto Minniti?). Ma anche in passato, con toni soft ma contenuti appuntiti, Lambiasi ha assestato una serie di colpi. Delineando quasi un'altra idea di città, sui temi importanti opposta a quella della giunta Gnassi-Lisi. Ecco la polis tratteggiata dal pastore della chiesa riminese. Che potrebbe diventare il manifesto di una vasta aggregazione politica alla prossima tornata elettorale.
Richiami accorati. A volte quasi dei falli fischiati sotto gli occhi dell’opinione pubblica distratta. Paterni scappellotti, curativi nelle intenzioni di chi li assesta, ma che in qualche caso lasciano il segno. Anche quest’anno il vescovo di Rimini ne ha rifilati agli amministratori comunali della città. In mezzo ad una sentita apologia del “prete santo”, don Benzi, indicato di fatto come modello agli occhi di tutti i riminesi, non solo dei cattolici, Lambiasi non ha mancato di correggere e suggerire. E’ una tradizione, ormai, di ogni discorso alle autorità in occasione di San Gaudenzo, il patrono di Rimini. Le sollecitazioni sono rivolte a tutti, sia chiaro: dalle banche alle varie forme di associazionismo, alla Chiesa stessa, ad ogni riminese. Ma non mancano mai “punture” dirette all’amministrazione comunale, alla quale ha pure riconosciuto nel corso degli anni alcuni meriti negli interventi concretizzati: dal piano delle fogne alla viabilità alla lotta all’evasione fiscale. In questo senso Lambiasi applica l’insegnamento di Sant’Agostino del De Civitate Dei: città di Dio e città degli uomini sono mischiate insieme, per cui non possono essere, e di conseguenza non vanno trattate, come due istituzioni contrapposte. Ma nel delineare il bonum della città di Rimini, il vescovo ha – di fatto – tratteggiato un “manifesto” sul governo della cosa pubblica che affresca una radicale alternativa al “modello” Gnassi. Alcuni dei punti salienti che cozzano con la teoria e la prassi del novello Malafesta: un turismo da ripensare nelle sue fondamenta, l’urgenza di cambiare registro rispetto alla immagine di una Rimini trasgressiva che punta sui grandi eventi di massa anziché sulla cultura; l’ascolto, il confronto e la condivisione nelle decisioni quali virtù del buon amministratore; la sussidiarietà invece del centralismo municipale; il sostegno alla famiglia e al lavoro; la priorità di politiche per la sicurezza; le energiche tirate d’orecchie sul campo nomadi, eccetera eccetera. Ecco una carrellata sintetica dal 2012 ad oggi.
San Gaudenzo 2012. Prima che sia troppo tardi, era il titolo del discorso pronunciato dal vescovo di Rimini. Che invitò ad aprire gli occhi sulla crisi economica, politica e sociale definendola “molto seria”. “La si avverte anche nelle parrocchie, in modo acutissimo. La gente, anche quando tace, è molto preoccupata. La crisi morde la situazione delle famiglie, che con dignità tirano la cinghia: tariffe, tasse, prezzi, tutto è aumentato. Si aggiunga la precarietà o anche la perdita del lavoro in non pochi casi. Il turismo, la nostra valvola di sicurezza, non tira. Molti alberghi hanno lavorato con prezzi stracciati, col rischio di cattivo servizio, di lavoro nero, di evasione fiscale. Mare, spiaggia, lungomare, tutto appare ormai superato da altre località in Italia e all’estero”. Fino ad auspicare “che tutti coloro che svolgono ruoli istituzionali e di responsabilità a qualsiasi livello, si gettino alle spalle pratiche inveterate di non dialogo, di ricerca estrema della visibilità anche a scapito del bene comune, di tendenza al litigio senza costrutto, di approssimazione e faziosità nei giudizi, di rincorsa al facile consenso, di preoccupazione compulsiva della propria rieleggibilità, di indisponibilità ad un ascolto effettivo delle posizioni e delle istanze altrui. Non è una questione di bon ton e di fair play istituzionale, ma un passaggio imprescindibile per essere in grado di giocare la partita seriamente e vincere la terribile sfida a cui siamo chiamati”.
San Gaudenzo 2013. Fortissimo fu il richiamo rivolto “soprattutto in politica” a mettere da parte la propaganda a favore dei fatti: “il rischio è di ridurre l’operato per il bene comune ad un superficiale apparire impegnati a farlo: basta la dichiarazione efficace, con le parole giuste al momento giusto, mostrando il lato migliore alla telecamera, per essere lì dove dovevi essere. Ma magari, senza aver fatto nulla di ciò che andava fatto, e senza aver contribuito in niente di ciò che poteva crescere. L’apparire è una brutta malattia del nostro tempo!” E ci infilò anche un affondo forte al principio di sussidiarietà: “Non può essere usurpata l’iniziativa che spetta originariamente ai soggetti sociali. E’ la verità o principio di sussidiarietà. Tutto ciò che può essere fatto da una istituzione inferiore, deve essere incoraggiato senza rinvii o senza aspettare una soluzione “dal piano superiore”. Questa è l’interpretazione più corretta del principio di sussidiarietà”. Usurpata da chi?
San Gaudenzo 2014. Mons. Lambiasi chiese “una severa revisione degli orientamenti, dello stile e della prassi che si sta perseguendo per il ‘risorgimento’ di Rimini e del Riminese”. In particolare sui fronti della povertà e della insicurezza. “Oggi per tanti cittadini vivere a Rimini è diventato faticoso e disagevole”. “Emerge un grande bisogno di sicurezza e di legalità, come se la città fosse, di suo, diventata ‘ostile’ e inospitale, una minaccia da cui proteggersi in qualche modo, in qualunque modo”.
San Gaudenzo 2015. Sia nel 2015 che nel 2016 furono particolarmente duri gli affondi del vescovo. Tanto da criticare il modello turistico personificato dal sindaco Gnassi. “… attenzione alle iniziative – come, ad esempio, le feste di massa di cui si potrebbe fare a meno o che si potrebbero vivere con più sobrietà – che impiegano denaro pubblico, lanciando l’immagine di una Rimini trasgressiva, senza lasciare un segno positivo e duraturo”, avvertì. Con evidenti riferimenti a Molo Street Parade & c. Chiese di “non cedere alla tentazione di puntare sull’effimero o su ciò che può dare un’immagine discutibile della Città. È un turismo pienamente “umano”- e certamente non meno redditizio sul piano economico – quello che promuove la persona del turista e l’immagine della città che lo ospita; il turismo dal volto umano si coniuga con ciò che eleva, che favorisce le relazioni, che dà senso e contenuti alla vacanza, al tempo libero, allo svago, al relax. Perciò deve essere netto – a livello di opinione pubblica come pure di immagine di Rimini veicolata nel mondo – il rifiuto nei confronti di ciò che imbarbarisce il turismo e tradisce il volto e i valori della nostra Città, come il lavoro nero nelle strutture ricettive e di ritrovo, la trasgressione e la volgarità, lo spaccio delle sostanze stupefacenti, giustamente punito, nella consapevolezza che reprimere non basta. Occorre prevenire, educare, sostenere, riconoscere e – perché no? – premiare i comportamenti positivi e le condotte virtuose dei cittadini”.
San Gaudenzo 2016. La bocciatura del modello turistico era stata ancora più ampia e radicale: “Resta davanti a noi la sfida di trasformare nell’immaginario collettivo la rappresentazione della nostra Città: da consumistica “vetrina di eventi” a Città internazionale della cultura, a partire dalle sue elevate potenzialità, dal rapporto con la sua identità, con il ricco giacimento della sua memoria, con la sua vocazione all’ospitalità, all’amicizia, alla concreta solidarietà”. Se si pensa che la “vetrina di eventi” è la Summa dell’azione amministrativa del sindaco Andrea Gnassi (che con questa logica ha messo mano anche alle passerelle del ponte di Tiberio e alla riqualificazione di Castelsismondo), lo scorso anno il vescovo gli fece pelo e contropelo. “A partire dalla tradizionale vocazione turistica del nostro territorio, occorre lavorare più intensamente sulla specificità del turismo culturale e religioso, puntando alla valorizzazione della cultura e dell’arte come straordinari veicoli dello sviluppo civile ed economico. È quanto stiamo cercando di realizzare da alcuni anni con il progetto formativo del Master universitario in “Valorizzazione dell’Arte sacra e del Turismo religioso” all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” della Diocesi. Ma questo qualificato impegno formativo attende da tempo di potersi relazionare con gli ambiti istituzionali preposti alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio – le Sovrintendenze ai Beni Culturali – e soprattutto con quelli delle politiche culturali della Città”.
“Oggi in Europa e nel mondo si guarda al nostro Paese, e anche al nostro territorio romagnolo, più che per l’attrazione della sua spiaggia, per l’unicità del suo ambiente e delle sue opere d’arte – che per i 2/3 sono di matrice religiosa – e per la qualità del clima sociale che si crea tra le persone. È necessario e urgente mettere in atto progetti lungimiranti, incentrati sulla formazione e la riqualificazione di nuovi modelli di turismo a partire dal vasto patrimonio artistico e culturale dell’area romagnola, offrendo al contempo concrete opportunità di investimento, di cooperazione e di occupazione professionale connesse a questo comparto”.
San Gaudenzo 2017. E veniamo al presente. La figura profetica di don Oreste Benzi è stata al centro del discorso di quest’anno. Ma con due caratterizzazioni socio-politiche. Dopo aver ricordato un pensiero di don Benzi (“I nomadi non vanno classificati tra i poveri, ma tra i fuori casta, tra gli esclusi, i malvisti, gli oppressi. L’unica strada per capirli è la condivisione. Allora ho detto: La vostra civiltà mi piace tanto. Io lascio la mia e vengo ad abitare in mezzo a voi”) il vescovo ha commentato: “Nel rileggere qualche giorno fa queste righe, mi veniva da pensare: ma il campo di via Islanda è ancora là. Io sono andato a visitarlo: è uno scandalo insopportabile che degli esseri umani debbano vivere da bestie selvagge. Cosa possiamo fare perché questo dramma si possa risolvere? Anziché continuare a litigare, non potremmo cominciare dal conoscerci più da vicino? Non riusciremmo così ad avere qualche muro in meno, a costruire qualche ponte in più per cominciare finalmente a dialogare? Diciamo insieme: No alla guerra tra poveri! Siamo fratelli, o no?”. Mons. Lambiasi si rivolge a tutti gli “attori” coinvolti in questa vicenda, ma il primo giudizio che colpisce è sul nulla di fatto, e quindi sull’immobilismo della pubblica amministrazione, che ha enunciato progetti, anche molto pasticciati (le famose, costosissime, “casette” in legno che hanno scatenato la rivolta), ma non ha ancora combinato nulla.
Anche lo scorso anno, nel discorso alle autorità per San Gaudenzo, Lambiasi aveva riproposto la lacerante ferita di via Islanda: “In questi ultimi mesi è riesplosa la questione del campo profughi di via Islanda. Al riguardo sento il dovere di richiamare quanto il 29 marzo 2016 la Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna ha deliberato in merito alla Strategia regionale per l’inclusione di Rom e Sinti che prevede indicazioni e norme circa l’abitazione, l’istruzione, il lavoro e la salute di questi fratelli e sorelle. E’ onesto riconoscere che le condizioni precarie in cui vivono molti di loro contrastano con il rispetto di queste indicazioni. Occorre pertanto domandarsi: cosa stiamo facendo perché, per Rom e Sinti, si volti pagina e si dia inizio a una storia nuova e diversa? Pertanto sollecito le istituzioni e tutte le nostre comunità ad avviare processi di reciproca conoscenza con spirito di fraternità, accoglienza e dialogo. Inoltre incoraggio le famiglie cristiane Rom e Sinti a sentirsi parte attiva della grande famiglia di Dio e ad evitare ciò che non è degno della loro vera identità culturale e del nome cristiano”. L’interrogativo, un anno dopo, resta senza risposta: i nomadi sono ancora in via Islanda, ma in compenso, grazie alla confusa gestione comunale del problema, sono aumentati i conflitti e si sono moltiplicati i comitati.
L’altro tema contenuto nel discorso di quest’anno riguarda uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione Gnassi: la lotta alla prostituzione. “Da qualche tempo anche a Rimini si va registrando una inversione di tendenza che mostra di voler affrontare la piaga vergognosa della prostituzione per il verso giusto, secondo il cosiddetto “modello nordico”. Finalmente anche da noi, grazie alla collaborazione dell’Amministrazione comunale, della Magistratura e delle Forze dell’ordine, e con il contributo importante delle associazioni per la tutela delle vittime di tratta, si è cominciato a sanzionare il cliente, di fatto protagonista nella catena di sfruttamento, e non le donne che, se arrivano sulla strada, sono già state oggetto di compravendita, di soprusi e umiliazioni. Non sono prostitute, ma sono state prostituìte. Sono state martoriate, prede della malavita, violentate, sottoposte ad aborti forzati, fatte oggetto di tratta. Difendere la dignità e la libertà di queste donne, schiavizzate e ridotte a merce di consumo, non è moralismo: lo stupro che subiscono non è un “atto contro il pubblico pudore”. E’ un orrendo crimine. Occorre pertanto creare una nuova cultura del rispetto, e di questo abbiamo disperatamente bisogno in Italia, dove lo stillicidio ripugnante del femminicidio deriva proprio dall’idea disumana che della donna si può fare ciò che si vuole, perché sarebbe un oggetto commerciale”. Concetti ribaditi anche ieri sera in Cattedrale al termine del concerto: in prima fila c’erano autorità diverse, fra queste anche imprenditori che spesso e volentieri aiutano la Diocesi e rendono possibili eventi come il concerto stesso. Vorrei qui davanti carcerati, prostitute, nomadi, badanti …., ha detto Lambiasi facendo scendere un po’ di gelo. Una persona seduta fra il pubblico è sbottata: “Ci vorrebbe Mussolini”, quindi si è alzata ed è uscita. Parentesi chiusa.
Se quello di via Islanda continua ad essere un problema irrisolto da decenni e sul quale la sinistra non è ancora riuscita a venirne a capo, sul tema della prostituzione Lambiasi è sembrato comportarsi come lo studente che, colto da compassione, passa la soluzione del compito in classe al compagno ripetente: “Il decreto Minniti, convertito in legge lo scorso aprile, consente ai sindaci di emettere una ordinanza contro coloro che ottengono prestazioni sessuali a pagamento. Ci auguriamo che, come già avvenuto a Firenze, quanto prima venga emessa ed entri in vigore una ordinanza con il chiaro intento dell’Amministrazione di contrastare lo sfruttamento della prostituzione e la riduzione in stato di schiavitù in tutta la Città, per evitare che un fenomeno tanto disumano e incivile si trasferisca in altre zone”. Copiate, amministratori, almeno copiate dai compagni di partito.
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