Metropolitana di Costa: dal sogno di un politico e di un Dj all’incubo

Un amministratore pubblico comunista e un dj di Radio San Marino all'origine dell'idea di collegare la metropoli balneare. Erano gli anni 80. Sergio

Un amministratore pubblico comunista e un dj di Radio San Marino all’origine dell’idea di collegare la metropoli balneare. Erano gli anni 80. Sergio Gambini spiega perché quel sogno si è trasformato in incubo. E perché sul tavolo da gioco della politica riminese la classe dirigente del centro sinistra, dopo il Fellini ed il polo fieristico congressuale, va in scena l’ennesima partita a poker ad altissimo rischio.

Lo spettro è Perugia.
I sogni dei nostri sindaci, favorevoli o contrari che siano rispetto al TRC, potrebbero diventare molto agitati se guardassero al pessimo precedente del Minimetrò del capoluogo umbro.
E’ costato 103 milioni, 35 più del previsto, ogni anno ne costa altri 10 perché non è mai riuscito a raggiungere neppure la metà dei passeggeri a suo tempo ipotizzati nel business plan. E’ finito nell’Anagrafe delle opere incompiute del Ministero dei Trasporti e nessuno sa come il Comune di Perugia riuscirà a portare a compimento l’opera ed a sostenere il costo del suo esercizio.
Una pietra di paragone inquietante, finirà così anche il nostro TRC?
L’impressione è che, nell’interminabile braccio di ferro tra il comune di Rimini e quello di Riccione, la risposta a questo quesito e a come sia possibile evitare un esito simile, sia ancora da formulare.
Neppure la doccia gelata del fallimento dell’impresa detentrice della tecnologia che è stata alla base della progettazione che ha vinto l’appalto è riuscita ad aprire lo spiraglio di una riflessione senza pregiudizi sulle prospettive di quest’opera pubblica.
La verità è che il punto di non ritorno è stato superato oltre due anni fa e che i sostenitori dell’attuale progetto hanno da allora continuato nella scommessa (e forse non potevano fare diversamente viste le spese via via sostenute), perseverando nel rilancio di fronte ad ogni mano persa, fosse essa la vittoria elettorale a Riccione di una compagine politica decisamente contraria, la diminuita disponibilità di risorse finanziarie, le evidenti difficoltà progettuali o la necessità (non tanto imprevedibile per la verità) di dovere cambiare tecnologia.
O la va o la spacca, questa sembra essere la filosofia.
Sul tavolo da gioco della politica riminese la classe dirigente del centro sinistra, dopo il Fellini ed il polo fieristico congressuale, si gioca l’ennesima partita “all-in”, senza rete e senza un’exit strategy.
Il TRC però non è la TAV, non è inserito in un grande progetto di mobilità europea, manca di uno scudo protettivo che possa difenderlo da errori ed incongruenze. Se naufragherà verrà abbandonato a se stesso.
Vista così l’incessante e tutto sommato sterile guerriglia del sindaco Tosi, al di là della coerenza con gli impegni elettorali, ma anche dell’evidente impossibilità di fermare davvero i lavori, può essere spiegata solo col tentativo di accumulare, a futura memoria, un patrimonio di atti amministrativi contrari, che consentano di sottrarre il comune di Riccione ai contraccolpi finanziari di un eventuale fallimento della scommessa riminese.
C’è stato un momento, prima del punto di non ritorno, nel quale sarebbe stato ancora possibile fermare la macchina e ripensare l’intero progetto, basando il collegamento delle diverse località della costa, che rimane comunque un’esigenza fondamentale, su un uso più intensivo e “metropolitano” dell’asse ferroviario Ravenna-Cattolica, opportunamente integrato con un’estensione del tracciato della filovia esistente, senza il rischio di perdere i finanziamenti nazionali già stanziati.
Purtroppo la mano tesa allora avanzata dal parlamentare di centro destra, Sergio Pizzolante, per dare vita ad un patto bipartisan sull’utilizzo di quei finanziamenti, venne fatta cadere senza tanti complimenti dai diversi attori riminesi e riccionesi ed ora siamo in questa complicatissima situazione, senza che nulla sia stato fatto per individuare una eventuale via d’uscita.
La mancanza di alternative, mi hanno insegnato sui banchi di scuola, non è mai una buona politica e noi, che osserviamo chi ha in mano i destini della nostra comunità e la politica la fa sul serio, non possiamo che guardare sconcertati a questa paradossale situazione, incrociare le dita per il futuro delle finanze pubbliche locali e sperare nella Madonna delle Grazie.

Il TRC prima di diventare un progetto è stata un’idea. Una bella idea.
Ha avuto due padri, un amministratore pubblico comunista, serio ed appassionato di pianificazione e programmazione territoriale, Carlo Della Rosa che, in diversi ruoli dal Circondario di Rimini (l’istituzione di coordinamento che ha preceduto la Provincia), ha a lungo lavorato per affermare questa idea come uno dei cardini della mobilità del nostro territorio.
Il secondo, non sembri irriguardoso, è stato un DJ. Massimo Buda, il cuore musicale della mitica Radio San Marino, veniva dal ravennate e narrava il nomadismo giovanile lungo la riviera.

Carlo Della Rosa inventò la definizione di Città Circondario agli inizi degli anni ‘80. L’immagine di un territorio fortemente integrato, che, specialmente sulla costa, è caratterizzato dalla mancanza di ogni soluzione di continuità dell’insediamento urbano.
Un’unica grande città lineare, la seconda dell’Emilia Romagna, che avrebbe dovuto pensarsi come tale, senza duplicare insediamenti e servizi di rango superiore, offrendo ai propri abitanti ed ai turisti le molte opportunità presenti e quelle da realizzarsi.
Una metropoli balneare, la destinazione d’elezione dei cento turismi, fruibili “à la carte” (mi scuserà Carlo se banalizzo) per vivere la quale era decisivo dotarsi di un sistema della mobilità basato su un trasporto rapido di massa, capace di interconnettere le diverse località e le loro diverse offerte.
Un’idea-forza con basi solide che si scontrava già allora però con i tanti campanilismi che ancora caratterizzano il nostro territorio. Un’area sistema che avrebbe dovuto valorizzare e rafforzare le diverse vocazioni urbane già consolidate e compiere un salto di qualità senza sprecare risorse finanziarie e territoriali, puntando a fare muovere le persone piuttosto che a clonare i medesimi servizi in ogni comune.
Fiere, darsene, centri congressi, poli scolastici, impianti sportivi, servizi sanitari, teatri, centri culturali, insediamenti produttivi, tutto ciò che era di rango superiore non doveva essere replicato, ma allocato secondo un disegno razionale sul territorio dell’unica grande città della costa.
Pianificazione illuminista? Forse. Il fatto è che questa idea-forza ha rappresentato per un’intera stagione politica l’orizzonte migliore del confronto delle classi dirigenti e delle forze politiche delle nostre città ed il suo progressivo abbandono non ha certo arrestato il declino della riviera, né migliorato la capacità di attrazione di risorse umane e finanziarie qualificate sulla nostra costa.
Se non ricordo male il disegno di pianificazione contemplava il bypass della ferrovia attorno a Rimini e lo spostamento della stazione a monte, riservando il tracciato attuale della ferrovia costiera per il trasporto rapido di massa. Un progetto molto ambizioso, ma per le finanze pubbliche di allora non si trattava comunque di fantascienza.
Ho già detto delle resistenze campanilistiche (si pensi ai contrasti subiti dalla nascita dell’APT circondariale), l’indebolimento della politica, la ricerca esasperata del consenso elettorale, affidato alla sollecitazione del localismo, che aveva già cominciato a farsi largo alla fine degli anni ’80, ha fatto il resto.
La Città Circondario è sostanzialmente finita nel dimenticatoio, sono rimasti in essere i tasselli meno confutabili, anche se ormai avevano perso il rapporto con un disegno più ambizioso e complessivo.
Mancava solo la pietra tombale che è stata scolpita, qualche anno dopo, con l’assurda realizzazione di due palazzi dei congressi in competizione tra loro a Rimini e a Riccione, quando c’era invece una ragionevole soluzione a portata di mano, come l’edificazione di un unico centro al Marano.
E’ difficile, al di là del problema fondamentale di mobilità costiera cui punta a dare risposta, non avvertire oggi, dopo tanti anni, nella tenace insistenza sul TRC, la sensazione di essere irrimediabilmente fuori contesto e ormai fuori tempo massimo.

La metropolitana di costa non è stata però solo un brano di razionale pianificazione illuminista sostanzialmente inceppata, per molto tempo è stata anche un sogno e questo contribuisce a spiegare la forza che questa idea ha mantenuto negli anni. Aveva alle spalle un buon storytelling, si direbbe oggi, che affondava le proprie radici in un primato culturale creativo e magmatico della nostra costa.
Non un sogno felliniano, ma un sogno rock, metropolitano, giovanilista, notturno.
Il suo cantore è stato Massimo Buda sulle onde di una radio locale, quando le radio locali erano un fenomeno culturale di prima grandezza.
Gli anni ’80, conclusa l’epoca del protagonismo giovanile di segno principalmente politico dei due decenni precedenti, dopo la scoperta del “privato” hanno avuto una fortissima incidenza nella mutazione dei costumi e della cultura del nostro paese. I giovani ne sono stati gli agenti principali.
E’ un discorso complicato, me la cavo scherzando con il tormentone di Roberto D’Agostino, che a “Quelli della notte” evocava l’”edonismo reganiano” come cifra dei nuovi comportamenti sociali.
Rimini, a torto o a ragione, divenne uno dei principali palcoscenici nazionali del nuovo protagonismo giovanile e delle sue mode. Un palcoscenico animato da tanti comprimari, anche molto diversi tra loro, in un crogiolo di straordinaria vitalità.
La cantava De Andrè, la raccontava Pier Vittorio Tondelli, il Meeting di CL ospitava concerti rock e San Patrignano muoveva i primi passi.
La bulimia giovanile per gli incontri e il divertimento faceva nascere un particolare nomadismo, c’era bisogno della Blu Line non solo per collegare le discoteche, ma per evocare il viaggio e la ricerca di nuove radici.
Musica dal vivo in tanti nuovi locali, lo Slego a Viserba, il Vidia a Cattolica, Casinò a San Giovanni in Marignano, ma anche Il Portico del Vasaio e le sue rassegne cinematografiche, Tarkovzkij e Wajda.
Negli studi di registrazione riminesi venivano assemblati i jingle delle pubblicità nazionali (“un cuore di panna per noi…”) e la Dimar, il negozio di dischi in Corso d’Augusto, purtroppo sostituito oggi da uno dei tanti negozi d’abbigliamento tutti eguali in ogni città, era conosciuto in tutta Italia.
Rimini capitale della cultura e del divertimento dei giovani aveva nelle radio locali uno dei suoi motori. Massimo Buda a suo modo era un campione del nomadismo giovanile, per il lavoro che lo portava in continuazione di qua e di là, per la curiosità rispetto a tutto quello che accadeva.
Radio San Marino divenne rapidamente una delle colonne sonore della metropoli della cultura giovanile.
C’era anche un film culto, “I guerrieri della notte”, una moderna Odissea nella metropolitana di New York, con una radio che guidava i nostri eroi lungo le sue stazioni, le sue insidie e nuove scoperte.
Anche il popolo giovanile della costa nei suoi molteplici percorsi e nella sua ricerca continua aveva voglia di metropolitana, per muoversi e per sognare.
Cosa è rimasto di tutto ciò oggi? La risposta è scontata perché siamo entrati da tempo in una nuova era geologica scandita dal web e dagli incontri virtuali.
Allora la domanda è: si intravede un nuovo storytelling politico e “strategico”, ma anche culturale, capace di sostenere l’immane sforzo finanziario del TRC? Ciascuno, onestamente, può trarre le proprie conclusioni.

Gli anni successivi a questa felice fase di incubazione sono ormai tanti, decisamente troppi e sono anche quelli che, con grande fatica e grandi contraddizioni, ci hanno portato dall’idea al progetto.
In questo percorso un ruolo decisivo l’ha avuto il sindaco di Rimini degli anni ’90, Giuseppe Chicchi. Senza il suo impegno difficilmente si sarebbero riusciti ad ottenere i finanziamenti nazionali necessari ad ipotizzare la realizzazione dell’opera.
Sono passati quasi vent’anni, un’enormità, da quando con il governo Prodi, nel 1997 vennero stanziati 160 miliardi di lire, che coprivano l’intero importo dell’opera.
Giuseppe, dagli anni della collaborazione in giunta regionale con Pierluigi Bersani, aveva maturato con il neo Ministro un filo diretto e quel rapporto è risultato decisivo per fare comprendere a Roma l’importanza della metropolitana di costa. Come parlamentare di fresca nomina anche io ho avuto la mia piccola parte, ma il mio agitarmi sarebbe risultato senz’altro insufficiente ed inefficace senza la regia del Sindaco di Rimini.
Non ne abbiamo mai più parlato ma immagino la rabbia di Chicchi, simile alla mia, quando, qualche anno dopo, quando aveva già lasciato l’incarico, l’appalto andò deserto per evidenti errori di impostazione della gara e poi, con il cambio di governo ed il varo della prima Legge Obiettivo, il finanziamento, per il quale aveva tanto lavorato, venne ritirato.
La storia degli anni seguenti è stata decisamente disarmante. Nella successive Leggi Obiettivo, il nuovo contenitore legislativo delle opere pubbliche ideato da Tremonti e Lunardi, il progetto di Rimini, soggetto ad una interminabile revisione, veniva ogni anno sopravanzato da nuovi progetti anche nella nostra regione e scalava nella lista delle priorità.
Mentre aumentava il calcolo dei costi per la realizzazione dell’opera diminuivano le risorse messe a disposizione dello Stato, i presupposti di pianificazione territoriale venivano uno dopo l’altro smantellati, intanto, con una sospetta forza di inerzia, si spendeva per la progettazione e per la struttura creata ad hoc.
Rimini e la costa intanto cambiavano, si affacciavano nuove emergenze, come quella del sistema fognario e della balneazione.
Non ci siamo fatti mancare niente, neanche un lungo braccio di ferro tra l’anima AN e quella Forza Italia della maggioranza di centro destra. Favorevoli e contrari, Renzi contro Pizzolante, alla ricerca dei fondi perduti nelle pieghe del bilancio dello Stato.
In extremis si è riusciti ad entrare nel capitolo dei finanziamenti nazionali destinati ai sistemi di mobilità urbana a guida vincolata. Meglio che niente, ma anche un nuovo limite tecnologico e progettuale per un’opera già di per sé traballante.
La metropolitana di costa è così diventata TRC. Da sogno, per molti si è trasformato in incubo. Speriamo di svegliarci prima della stazione di Perugia.

Sergio Gambini

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