A parole tutti lodano la cittadella universitaria, nei fatti i finanziamenti sono scesi del 45%

A parole tutti lodano la cittadella universitaria, nei fatti i finanziamenti sono scesi del 45%

Si discute della possibile uscita del Comune di Riccione da Uni.Rimini. I problemi sono ben altri. Chi crede davvero in questa provincia che la mission dell'università di Rimini sia utile alla crescita del territorio? Pochissimi.

Se il Comune di Riccione uscirà dalla compagine societaria di Uni.Rimini, sarà il quinto ente ad abbandonare il sostegno alla cittadella universitaria negli ultimi due anni: nel 2015 se n’è andata la Provincia, e nel 2016 il Comune di Cattolica (10 mila azioni), l’associazione albergatori (10 mila azioni) e Cna Servizi (20 mila azioni). Complessivamente i finanziamenti sono scesi del 45% dal 2009 al 2016. In compenso nel 2016 ha fatto ingresso in Uni.Rimini la Maggioli s.p.a. acquistando 200 mila azioni, pari al 10% del capitale sociale, Italian Exibition Group ha incrementato di ulteriori 20 mila azioni la propria partecipazione, e nel 2015 si è seduta al tavolo di Uni.Rimini la Banca di credito cooperativo di Gradara.
Va detto che la Perla verde detiene una quota irrilevante, 11.220 euro, gli altri Comuni minori ancora di meno: 6.120 quello di Bellaria, 5.100 Santarcangelo, 2.040 Misano. I casi sono due: o ci si crede nel polo universitario oppure no. E le quote di questi enti locali lascerebbero propendere per la seconda ipotesi. Confindustria Romagna si ferma a 35.700 euro, 3,5% delle azioni. Il Comune di Rimini è al secondo posto come peso, con 204.000 euro (20%). Al primo c’è la Fondazione Carim, con una quota del 42% delle azioni, ma potrà ancora permetterselo in futuro?
Il dibattito sulla eventuale “fuga” del Comune di Riccione, dunque, è un falso problema. La questione è più radicale, seria e complessiva. Riguarda gli “attori” dell’intero territorio provinciale, il pubblico e il privato, e la domanda da porsi è la seguente: perché i diversi protagonisti sulla scena pubblica e privata non hanno ancora deciso di investire sull’università? Che cosa non li convince? Perché gli albergatori non puntano su di un Campus che si è focalizzato su turismo, salute, benessere e qualità della vita, con profonde attinenze quindi con la città che si vanta di essere una “capitale della vacanza”? Perché non lo fanno gli imprenditori del distretto della moda?

Il nuovo cda di Uni.Rimini, che lo scorso aprile ha riconfermato Leonardo Cagnoli presidente, e che è attualmente composto da Giovanni Gemmani, Gianandrea Polazzi, Barbara Bonfiglioli (vicepresidente), Mauro Gardenghi, Alessandro Andreini, Fabrizio Moretti, Cristina Maggioli e Mirko Degli Esposti, ha davanti a sé un compito non facile. Il primo dei quali sarà convincere della utilità della mission svolta dal Campus. Nella assemblea di approvazione del bilancio 2016 il presidente Cagnoli ha spiegato di avere incontrato diversi enti pubblici e privati negli ultimi tre anni, soci e non, che si sono mostrati interessati e addirittura soddisfatti dell’attività svolta da Uni.Rimini, ma, ha aggiunto un po’ sconsolato, “questo interesse si è solo molto raramente concretizzato in un ingresso nella compagine sociale (per i non soci) o in un ampliamento della quota societaria già detenuta (per i soci)”. Il presidente della Camera di Commercio, Fabrizio Moretti, anch’esso imprenditore, gli ha risposto che le imprese non hanno più a disposizione le risorse economiche del passato e che dunque non sarà facile far quadrare il cerchio, “ma si dovranno individuare modalità che consentano di proseguire il lavoro di Uni.Rimini a supporto del Campus”. Certo che se, almeno da alcuni dagli attuali soci, venisse un incoraggiamento a crederci un po’ di più in questo supporto, il segnale potrebbe aiutare anche altri.

Se i primi a non crederci sono i riminesi, sarà difficile affrontare la sfida, agguerrita, che si sta giocando attorno al Campus romagnolo. Perché, sono parole di Cagnoli, c’è da fronteggiare la “ripresa di alcuni movimenti di pensiero che vorrebbero riportare a Bologna una parte di ciò che viene oggi decentrato nei vari Campus”. Ed è in elaborazione la nuova governance dell’Alma Mater, compresi i nuovi piani di sviluppo. Se a questo si aggiunge la debolezza dei finanziamenti (“la situazione non ci lascia tranquilli per il futuro perché i contributi già calati nel 2016 e nelle previsioni del 2017, potrebbero ulteriormente ridursi nel 2018”, Cagnoli dixit), lo scenario si fa preoccupante.

Il rischio è quello che l’esperienza del Campus di Rimini vada, per una somma di ragioni, esaurendosi? La domanda non è peregrina perché se l’è posta lo stesso Cagnoli (relazione al bilancio 2016): “Come muoversi allora per far sì che i grandi sforzi del passato non vengano vanificati? Come limitare la fuga dei docenti e degli studenti? Come possiamo evitare che vada perso quel patrimonio strutturale e culturale che si è acquisito nel tempo anche da parte del nostro territorio?”. Alcune risposte se le è anche date il presidente di Uni.Rimini: non si tratta di aumentare “quantitativamente l’offerta formativa, cercando di attrarre un numero sempre crescente di studenti senza una logica di qualificazione dell’offerta formativa e di sviluppo della ricerca in loco”. Uno dei problemi principali irrisolti è senz’altro quello dell’incardinamento dei docenti (pochi) e della ricerca nelle sedi di Rimini. Molto è stato fatto. Moltissimo resta da fare. Ma se il Campus di Rimini finirà per essere, nei fatti, una “succursale” di Bologna, un “distaccamento della didattica”, il futuro sarà segnato.

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