Perché gli imprenditori scappano dall’Italia

Perché gli imprenditori scappano dall’Italia

“Ma perché ve ne siete andati da Rimini?” Da quando un anno fa ci siamo trasferiti armi e bagagli a Lugano, in Svizzera, gli amici riminesi non smetto

“Ma perché ve ne siete andati da Rimini?” Da quando un anno fa ci siamo trasferiti armi e bagagli a Lugano, in Svizzera, gli amici riminesi non smettono di farci questa domanda.

dal nostro inviato a Lugano

di Sergio Bianchi

Un prima risposta è scontata: di certo perché il fisco svizzero non è così invasivo ed arrogante come quello italiano. Qui la denuncia dei redditi la fai nel dopo cena, senza commercialista. Se qualcosa non è chiaro, vai con il tuo bel faldone di documenti all’ufficio federale della fiscalità. Lì ci sono funzionari che non mirano ad estorcere denaro per realizzare i budget, ma solo a consigliare e fornire soluzioni ragionevoli. Di solito, scopri che sei in credito con lo Stato, perché qui c’è il quoziente famigliare e si deduce tutto. Ma l’avidità folle dell’Agenzia delle Entrate italiane non è un motivo sufficiente per lasciare l’Italia, anche se certo l’invadenza di questi figuri non aiuta a restare. A nessuno piace farsi derubare, tanto che oggi la collettività italiana in Svizzera iscritta all’AIRE è di circa 570.000, cioè il 13% dei circa 4,5 milioni di italiani che vivono stabilmente all’estero.
La verità è che crisi in Italia, ed a Rimini in particolare, significa soprattutto tracollo della qualità della vita. Restare fermi può voler dire morire. A Rimini almeno l’ottanta per cento del tempo un imprenditore lo passa a risolvere problemi assurdi, a lottare con la burocrazia, con uffici pubblici che sono aperti si e no un’ora al giorno, a difendersi dai mancati pagamenti degli enti pubblici, a inseguire un Prefetto che non si degna mai di rispondere per farti avere il riconoscimento giuridico, a cercare di adeguarsi a norme sempre mutanti, bizzarre e continue, passando settimane e mesi a discutere con avvocati, notai e commercialisti. Non parliamo poi dei giudici: la magistratura italiana è un buco nero per le imprese. Un imprenditore ha sempre torto, se si va davanti ad un giudice del lavoro, come un proprietario di case non ha mai modo di far valere i propri diritti di fronte a inquilini morosi, se non dopo percorsi lunghi, tortuosi e costosi. Insomma, si muore di inefficienza e costi del pubblico, che si fa sempre più violento ed aggressivo, fino a livello minimo, quello che trasforma i vigili urbani in esattori del Comune o i sindacati in istituzioni.
In Svizzera abbiamo invece imparato che è possibile un mondo diverso, completamente rovesciato: l’ottanta per cento del tempo qui lo passi a fare il tuo lavoro, a produrre, a creare, a costruire. Cioè a fare l’imprenditore. La Confederazione, il Cantone o il Comune non ti disturbano. Anzi. L’ente pubblico è davvero al servizio del cittadino. E’ per questo che se qualcuno fa qualcosa di storto, subito i cittadini chiamano la Polizia cantonale, che è lì in un attimo. Forse è per quello che qui anche noi italiani, di solito poco inclini alla disciplina, righiamo sempre dritto, non superiamo i limiti di velocità e onoriamo tutti i debiti. Qui perfino i pochissimi extracomunitari, che in Italia sono una piaga sociale, sanno che se sgarrano il loro permesso se lo possono dimenticare in un attimo. Non c’è TAR che tenga. La Giustizia c’è. E perciò anche la libertà d’impresa.

Sergio Bianchi, riminese, esperto di sicurezza e Medio Oriente, è direttore generale dell’organizzazione non governativa svizzera Labora. Dal 2012 vive a Lugano e si occupa di mercati internazionali. Nella foto assieme al leader della Jihad libica Abd al-Hakim bi-l-Hajj.

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