Un nuovo “strappo” per Rimini

Un nuovo “strappo” per Rimini

Chi è quell'omino che, superbo e imperturbabile, guarda lontano senza posare lo sguardo su un particolare ma scrutando l'intero orizzonte? Inserendolo nella testata di Rimini 2.0 l'abbiamo girato verso destra, non in omaggio a qualche signorotto della politica, ma come per costringerci a cambiare il punto di osservazione su Rimini.

Chi è quell’omino che, superbo e imperturbabile, guarda lontano senza posare lo sguardo su un particolare ma scrutando l’intero orizzonte? Inserendolo nella testata (by Bruno Monaco) del nostro piccolo foglio online – Rimini 2.0 – l’abbiamo girato verso destra, non in omaggio a qualche signorotto della politica (ché, oggi, gaberianamente riassunta, nemmeno più il culatello può dirsi di destra, così come la mortadella non può dirsi di sinistra), ma come per costringerci a cambiare il punto di osservazione su Rimini. Scoprendo, in questa forzatura del riflesso, che l’omino s’incastonava alla perfezione nella R di Rimini, aprendo così prospettive di ottimismo che il presente reclama. Sopra, il rigido collo cilindrico e quel profilo maestoso e pieno di luce che emerge dal profondo buio. Sotto, il prezioso broccato che dice d’istinto della statura del Signore di Rimini. E’ lui, Sigismondo Pandolfo Malatesta, così come Piero della Francesca ce l’ha consegnato e così come il Louvre lo custodisce.
Nella notte della creatività che sta generando mostri vaganti senza idee e senza costrutto, immobilizzati fra il sogno di una Città del futuro (2027, 2047, 2067?) e il paludoso presente fatto di fondi raschiati, di voli spezzati, di bilanci imballati, di astronavi mai decollate e delle tante altre storie infinite di Rimini & Co., fa bene guardare alle suggestioni delle radici e all’Anno Domini 1450. Quando avviene “lo ‘strappo’ umanistico che mette Rimini, per una breve manciata di anni, vertiginosamente all’avanguardia nel panorama delle corti padane e centro-italiane”, come scrive il riminese Antonio Paolucci (dal 2007 direttore dei Musei Vaticani) nel catalogo alla mostra Il potere, le arti, la guerra. Lo splendore dei Malatesta, realizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini a Castel Sismondo nel 2001. “Sotto il cielo di Rimini”, avviene l’incontro fra Leon Battista Alberti e Piero della Francesca, “e pochi incontri nella storia dell’arte sono stati più felici di quello…”, sostiene sempre Paolucci.
Uomo colto, sagace e determinato, “molto vigoroso nel corpo e nella mente, e dotato di grande eloquenza e abilità militare. Conosceva le storie e aveva non poco dimestichezza con la filosofia. Qualsiasi cosa si accingesse a fare, sembrava nato per essa”, dirà di Sigismondo il papa rinascimentale, Pio II, Enea Silvio Piccolomini, che pure non fu tenero col Signore di Rimini.
Noi, qui e ora, immobilizzati dalla sincope della politica, dovremmo mendicare un sussulto di bellezza, che pure scorre nei sotterranei di Rimini, e con essa quella renovatio mundi che – ci ricorda Antonio Paolucci – caratterizzò l’Anno Domini 1450. “Senza Sigismondo, senza quel fatale Anno Domini 1450 che sovrasta Rimini come il granchio del suo segno zodiacale nel rilievo celebre di Agostino di Duccio, l’arte locale si sarebbe adagiata in tranquilli stilemi provinciali”. Come poi, dopo quello “strappo”, in realtà accadde. Sigismondo Pandolfo Malatesta chiuse la sua parabola con un bagaglio di “poca roba e assai pensieri”.
Oggi Rimini, con assai roba e pochi pensieri, reclama nuovi condottieri. Senza spade, corsaletti, brigantine, barbute e balestre. Ma capaci di un nuovo strappo “avanguardista”.
Chi ha idee le metta in gioco. Scriveteci, diteci la vostra. Siate sferzanti, puntuti, riflessivi, ironici o infuocati da furore belluino, ma non fate uso di bombarde. Non fiori ma pensieri per il bene comune: redazione@riminiduepuntozero.it

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