Il "piano particolareggiato di completamento" approvato dal consiglio comunale il 23 dicembre, che riapre le danze sull'area e richiama in partita i dieci proprietari che non avevano aderito al Consorzio, salva il Comune davanti ai giudici di secondo grado della giustizia amministrativa.
La vicenda è lunga e complessa ma una cosa è chiara: il “piano Padulli” è stato talmente problematico, per usare un eufemismo, che si sono sprecate le carte bollate. Numerosi i contenziosi, sull’ultimo dei quali si è espresso il Consiglio di Stato pochi giorni fa (13 gennaio, sentenza pubblicata il 18 gennaio). Ma facciamo qualche passo indietro.
L’intervento in questione risale al 2006, giunta Ravaioli, ed ha previsto una capacità edificatoria ripartita in parti uguali fra i consorziati, sia che disponessero di aree anche molto grandi e sia che fossero proprietari di terreni assai ridotti. In gioco un appezzamento enorme di 30 ettari. Per tutti (82 proprietà) una capacità edificatoria di circa 600 mq. ‘A livella avrebbe detto Totò. E mentre a palazzo Garampi hanno sempre sostenuto che questa filosofia che ha ispirato il piano particolareggiato consortile Padulli fosse all’avanguardia, e all’insegna della perequazione, in consiglio comunale Gioenzo Renzi (Fratelli d’Italia) ha parlato di «una logica di pianificazione di tipo sovietico», tanto è vero che per le tante conflittualità sollevate non è stata più seguita in altre parti del territorio comunale. Ma anche l’amministrazione comunale in carica ha dovuto ammettere che «il piano ha avuto un’attuazione connotata da numerosi conflitti e contenziosi» che «si è interrotta lasciando un disegno urbanistico incompleto».
Sono rimaste a mezz’aria 10 Umi, in capo a soggetti che non hanno aderito al Consorzio, contro il 75% dei partecipanti, che hanno dovuto farsi carico delle opere di urbanizzazione anche per coloro che si sono chiamati fuori.
La vicenda è approdata nel consiglio comunale del 23 dicembre scorso con l’approvazione da parte della maggioranza (e il voto contrario della minoranza) del “piano particolareggiato di completamento” di iniziativa pubblica redatto da uno studio tecnico al quale la giunta precedente ha assegnato un incarico da 100mila euro. Il tentativo di uscire dall’impasse, dunque, comporta anche dei costi notevoli.
L’assessore all’urbanistica Roberta Frisoni ha detto in quella sede che nel corso degli anni «l’amministrazione ha tentato di trovare una conciliazione» ma senza approdare a nulla. Da qui il piano di completamento che interessa le aree dei non consorziati, ma introducendo anche un disegno urbanistico organico e inserendo funzioni di servizio quali aree di edilizia residenziale sociale, un centro di quartiere, attività di piccolo commercio, artigianali, eccetera.
Il piano inattuato occupa una superficie di oltre 6mila mq che, a seguito di un calcolo tecnico che tiene conto dell’indice di conversione (ai sensi delle Nta del Psc) porta la superficie complessiva a quasi 8mila mq.
I 10 che fino ad oggi avevano contestato l’operazione decidendo di non aderire, potranno utilizzare la superficie complessiva di competenza a patto però di aderire al Consorzio Padulli, rimborsando lo stesso dei costi sostenuti per le urbanizzazioni e gli espropri, più altre spese di tipo amministrativo e gestionale. Dovranno, insomma pareggiare i conti.
L’arma in mano al Comune nei confronti dei “rivoltosi” è quella dell’esproprio delle aree: se dovessero continuare a rifiutarsi di provvedere alla attuazione del piano, l’amministrazione comunale potrà espropriare i non consorziati (possibilità già contemplata anche nel precedente piano).
Si diceva dei numerosi ricorsi presentati al Tar e al Consiglio di Stato. Per uno di questi la sentenza è fresca. Di fronte al ricorso del Consorzio Padulli la quarta sezione del Consiglio di Stato ha dato ragione però al Comune.
Cosa sosteneva il Consorzio Padulli? Che alla luce dell’obbligo previsto dall’art. 9 del Piano particolareggiato e della convenzione urbanistica sottoscritta, il Comune era tenuto a provvedere «alla ricognizione delle U.M.I., ossia delle aree edificabili, sulle quali a tutt’oggi non sono stati presentati “progetti d’insieme”» e alla «espropriazione delle aree afferenti a dette U.M.I. appartenenti ai proprietari che, oltre ad avere omesso la presentazione dei “progetti d’insieme”, si sono in aggiunta sottratti alla partecipazione agli oneri relativi alle spese sostenute dal Consorzio per l’urbanizzazione di tutte le aree comprese nel perimetro del Piano urbanistico».
Il Tar aveva respinto il ricorso, sostenendo che il «Comune non ha disatteso l’obbligo di attivarsi per assicurare l’attuazione degli impegni assunti convenzionalmente, e che viceversa ha cercato soluzioni pragmatiche nel raffronto tra le diverse opzioni possibili, che tenessero conto della pianificazione territoriale e della realtà economica sottesa».
Ma a tagliare la testa al toro dinnanzi al Consiglio di Stato è arrivato il piano adottato il 23 dicembre. Spiega infatti la sentenza che «con memoria depositata il 28 dicembre 2021», il Comune di Rimini «ha eccepito una ulteriore ragione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, avendo il consiglio comunale adottato, con la delibera n. 81 del 23 dicembre 2021, il piano particolareggiato di iniziativa pubblica di completamento», «dando contestualmente atto, nelle premesse della medesima d.c.c. n. 81/2021, che il precedente piano particolareggiato consortile “Padulli”, approvato con d.c.c. n. 31 del 23 febbraio 2006, risulta scaduto».
Il Consorzio ha insistito, sostenendo fra l’altro che «il piano originario non risulta scaduto», considerato che il nuovo piano particolareggiato «non prevede affatto un immediato avvio della procedura espropriativa delle aree dei proprietari non aderenti», ma il Consiglio di Stato ha dato ragione al Comune di Rimini: «il ricorso avverso il silenzio è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, come correttamente eccepito dal Comune nella memoria del 28 dicembre 2021, dal momento che la diffida del 2 agosto 2018 – sulla quale si sarebbe formato il silenzio-inadempimento oggetto del presente giudizio – era finalizzata ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’amministrazione comunale “di adottare i provvedimenti necessari alla completa attuazione del Piano urbanistico particolareggiato consortile di iniziativa pubblica della zona “Padulli”. Al riguardo, va osservato che il Comune non può più dare attuazione al piano particolareggiato, in considerazione di quanto è stato previsto dal nuovo piano adottato con la delibera n. 81 del 23 dicembre 2021, i cui eventuali vizi di legittimità (adombrati dall’appellante nella memoria del 3 gennaio 2022) fuoriescono dal perimetro del presente giudizio».
Ma intanto si intuisce che potrebbero esserci altri strascichi perché si paventano di «vizi di legittimità» rispetto al nuovo piano adottato. Morale: «l’appello va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse».
Resta una domanda sullo sfondo, che poi è quella sollevata dal Consorzio: perché nei termini di vigenza del piano particolareggiato l’amministrazione comunale non ha provveduto con l’esproprio e adesso riapre le danze nei confronti dei 10 di cui sopra? Un interrogativo che è stato rilanciato anche dall’ex vicesindaco Maurizio Melucci, che su Chiamamicittà ha scritto che «il Piano dei Padulli poteva essere tranquillamente completato utilizzando gli strumenti che le norme consentono ai piani particolareggiati d’iniziativa pubblica. Chi non aderisce al completamento del piano è soggetto ad esproprio dell’area». Punto. Non lo ha fatto perché per espropriare sarebbero state necessarie risorse di cui non disponeva? Ma lo stesso problema si ripresenterà anche con il nuovo piano di completamento: «Il Comune dispone delle risorse per procedere agli espropri?» ha chiesto il consigliere comunale della Lega Loreno Marchei nella seduta del 23 dicembre. Il dirigente del settore territorio e ambiente del Comune di Rimini, Ing. Piacquadio, ha risposto che qualora «si dovesse ottenere un risultato positivo e la verifica sul mercato immobiliare riscontrasse un interesse ad attuare il piano, a quel punto si avrebbe una partita di giro senza alcun esborso da parte dell’amministrazione comunale». Ma potrebbe anche dover pagare «nel caso in cui l’amministrazione attraverso i bandi non dovesse verificare l’interesse di alcuna azienda ad attuare il piano, a quel punto l’amministrazione avrà speso dei soldi per gli espropri (alcuni milioni di euro) e si troverà a far fronte al ristoro anche nei confronti dei Consorzio, però avrà acquisito un bene al patrimonio comunale che giustifica questo tipo di esborso».
C’è un’ultima news da riferire, che ha contorni politici. A sollevarla è stato sempre Maurizio Melucci: «Vi sono conflitti d’interesse tra questa impostazione e consiglieri comunali in carica?». Ai posteri l’ardua sentenza.
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