Prete sammarinese “demolisce” l’uso della Comunione sulla mano: “si è legalizzato un abuso”

Prete sammarinese “demolisce” l’uso della Comunione sulla mano: “si è legalizzato un abuso”

Presentato a Domagnano in una sala gremita lo studio storico e canonistico di don Federico Bortoli, con prefazione del “numero uno” della liturgia in Vaticano, Card. Sarah. Intervenuti don Mangiarotti, mons. Bux e i vescovi Negri e Turazzi.

Un centinaio di persone da San Marino, dal riminese e dal Montefeltro, ha gremito la Sala Montelupo del Castello di Domagnano, venerdì sera, per la presentazione del libro di don Federico Bortoli “La distribuzione della Comunione sulla mano”. Il volume, frutto dello studio di Dottorato in Diritto canonico del sacerdote, raccoglie le testimonianze storiche, giuridiche e pastorali di una prassi ormai invalsa nel mondo, ma per contestarla.
Non a caso nella prefazione al libro il cardinal Robert Sarah, “numero uno” della Santa Sede per la liturgia, si domanda: «Perché ci ostiniamo a comunicare in piedi e sulla mano? Perché questo atteggiamento di mancanza di sottomissione ai segni di Dio?», e giù esempi – soprattutto quelli recenti di santi come Karol Wojtyla e Madre Teresa di Calcutta – della «bellezza, appropriatezza e valore» dell’«atto di ricevere la Santa Comunione sulla lingua e in ginocchio». Ma veniamo alla cronaca della serata, promossa dal Centro internazionale Giovanni Paolo II e dalla Diocesi, ospiti il vescovo mons. Andrea Turazzi, l’arcivescovo mons. Luigi Negri e mons. Nicola Bux.

Introducendo il dibattito don Gabriele Mangiarotti, responsabile Ufficio cultura, scuola e IRC diocesano, ha ricordato con toccanti parole l’educazione eucaristica ricevuta in famiglia e successivamente l’insegnamento di don Giussani: “la messa dunque è il gesto più importante della nostra esistenza perché è il gesto della morte e resurrezione di Cristo… la messa è il gesto supremo della comunità”.
Nel suo saluto il vescovo mons. Turazzi ha elogiato il libro come “lettura critica”, ha accusato “gli abusi e le superficialità riprovevoli” in materia, ma ha ribadito di non volere “motivi di disunità” nella sua diocesi.
Riallacciandosi al Corpus Domini – la processione “entrava nel vivo della dimensione sociale in modo incredibile, portando una provocazione positiva al mondo: il Signore è risorto ed è qui” – monsignor Negri ha ammonito a “non assumere mai una modalità dimessa” e a tendere sempre a “riportare il Signore nella storia e nella società”, perché “se facciamo altro, sbagliamo”. “Sull’Eucaristia – ha aggiunto l’arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio – si apre una grossa questione di fede, il Signore nel mistero dell’Eucaristia continua la sua presenza nel mondo”, dunque “l’annuncio di Cristo è l’unica responsabilità della Chiesa di fronte al mondo” e dovere dei cattolici è “annunziare Cristo fino agli estremi confini del mondo come l’unica reale ed effettiva possibilità di salvezza”. “Se nasce e rinasce il popolo dell’Eucaristia – ha concluso – non c’è niente di più pertinente e attuale”.

Sintetica ma molto ricca di riferimenti patristici la relazione di monsignor Nicola Bux, da Ignazio d’Antiochia a Leone Magno, passando per l’iconografia dei primi secoli della cristianità. Già perito al sinodo dei vescovi sull’eucaristia e consultore in varie Congregazioni e uffici vaticani (Dottrina della Fede, Cause dei Santi, Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice), Bux ha parlato chiaro: “io ho appoggiato la riforma liturgica poi però è successo che tutti i gesti della liturgia si sono secolarizzati facendola diventare «una sorta di intrattenimento a sfondo religioso», come accusò il card. Ratzinger. Per riaffermare la transustanziazione Paolo VI scrisse l’enciclica Mysterium Fidei. La prassi della comunione nella mano iniziò alla fine degli anni Sessanta nei paesi del nord Europa influenzati dal protestantesimo, ma nella consultazione dei vescovi di tutto il mondo, quasi 50 anni fa, i due terzi furono contrari. Il problema – ha incalzato Bux rispondendo alla preoccupazione di Turazzi – è che la divisione c’è, bisogna chiedersi come sanarla”.

Nella seconda parte del suo intervento il relatore ha dimostrato che “è insostenibile la tesi secondo cui in antico i cristiani ricevessero la comunione sulla mano”. Fra gli esempi iconografici il Codex Purpureus di Rossano Calabro, V-VI secolo, uno dei più antichi manoscritti miniati del Nuovo Testamento conservatisi: vi si raffigura un apostolo che si inchina per ricevere da Cristo l’Eucaristia. La proposta conclusiva di Bux è semplice: “ritorni la comprensione di fede dell’Eucaristia e quindi i gesti tornino ad essere praticati per quello che significano”, con l’avvertenza che “nessuna Conferenza episcopale e nessun vescovo può impedire ai fedeli” di ricevere la Comunione sulla lingua, in ginocchio.

Nel suo intervento l’autore del libro ha voluto sgombrare il campo da possibili equivoci: “Non voglio assolutizzare un gesto e non ne faccio una questione ideologica”. Ma al contempo don Federico – 43 anni, originario del vicentino, parroco di Acquaviva (San Marino) e prete fin nell’abito, una umilissima talare – ha rimarcato: “le due modalità non sono sullo stesso piano. Ricevere la Comunione sulla lingua è la norma universale, l’altra pratica invece è resa possibile da un indulto, ma si è sviluppata a partire da un abuso liturgico. Un abuso iniziato nei paesi dove non si credeva più nella transustanziazione, cioè nella presenza vera, reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia sotto le specie del pane e del vino”. Lo afferma l’istruzione Memoriale Domini (1969): «in alcuni luoghi e in certe comunità, questo rito è già stato introdotto senza la previa autorizzazione della Sede Apostolica», cioè è un abuso andato avanti come tale per almeno quattro anni. “Si è legalizzato un abuso”, conclude don Federico Bortoli nel suo libro.

Di notevole interesse sono, fra le altre sezioni del libro, proprio quelle storiche che riportano anche alcuni testi inediti da un fondo d’archivio. Risultano sorprendenti le circostanze, a volte convulse e contraddittorie, attraverso le quali si svilupparono i fatti e di cui portiamo solo qualche esempio:

nel pieno della contestazione del 1968 un documento attesta che “il Santo Padre (Paolo VI, ndr) … non ritiene opportuno che la Sacra Particola sia distribuita sulla mano e assunta poi dai fedeli in vario modo” eppure poco dopo, il 3 giugno 1968, una lettera della Segreteria di Stato rivela un atteggiamento diverso aprendo la porta a una “eventuale concessione”, improvvisamente accordata (6 luglio) alla Conferenza episcopale tedesca;

prima di questa concessione, il nunzio apostolico in Germania avvisa la Santa Sede delle “gravissime conseguenze” che essa avrebbe avuto, in agosto gli risponde il Segretario della Congregazione vaticana competente facendo capire di non essere stato coinvolto nella decisione né informato (“veramente è sorprendente la concessione di cui trattasi e non si comprende come si possa giungere a tanta insipienza”);

il 12 marzo 1969 si ha l’esito di una consultazione dei vescovi di tutto il mondo voluta dal Papa (1233 no alla distribuzione sulla mano contro 567 sì, “iuxta modum” 315), eppure subito dopo il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia propone a Paolo VI “un compromesso” pur nella consapevolezza che “qualunque concessione aprirà fatalmente la porta ad una generalizzazione”;

la decisione conseguente di Paolo VI è del 29 maggio 1969 (istruzione Memoriale Domini), che ribadisce la Tradizione – “il Sommo Pontefice non ha ritenuto opportuno cambiare il modo tradizionale con cui viene amministrata ai fedeli la santa Comunione. Pertanto la Sede Apostolica esorta caldamente vescovi, sacerdoti e fedeli a osservare con amorosa fedeltà la disciplina in vigore, ora ancora una volta confermata; tengano tutti presente il giudizio espresso dalla maggior parte dell’episcopato cattolico, la forma attualmente in uso nel rito liturgico, il bene comune della Chiesa”) – ma al contempo permette che “se poi in qualche luogo fosse stato già introdotto l’uso contrario, quello cioè di porre la santa Comunione nelle mani dei fedeli” la conferenza episcopale del luogo deliberi a maggioranza dei due terzi con voto segreto e presenti alla Santa Sede la richiesta di conferma. Due giorni dopo, il 31 maggio, il Belgio ha già ottenuto l’indulto, il 6 giugno Francia e Germania. A cascata, altre 46 conferenze episcopali lo ottengono (1969-1977), l’Italia nel 1989.

Ed oggi qual è la situazione? Citando l’Ordinamento Generale del Messale Romano, il 21 marzo 2018 in udienza generale Francesco ha ribadito che il fedele “si comunica in piedi con devozione, oppure in ginocchio, come stabilito dalla Conferenza Episcopale, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano”.

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