«Prima di realizzare una tale devastazione di piazza Malatesta sarebbe stato necessario un referendum»

«Prima di realizzare una tale devastazione di piazza Malatesta sarebbe stato necessario un referendum»

Il laghetto fra il teatro Galli e la severa dimora del signore di Rimini a me appare un insulto alla intelligenza, al buonsenso, alla cultura, alla storia, ai riminesi e a Fellini. Bella, brutta? Il punto è un altro. Non si cambiano i connotati ad una città con questa incosciente leggerezza. Lettera.

Non è questione di bella o brutta. A tanti piacerà e ad altri forse farà ribrezzo la nuova piazza Malatesta sull’acqua. E’ un’altra piazzetta sull’acqua, in fondo, resa più vivace ieri dal tendone del circo e dagli altri baracconi dello spettacolo viaggiante. Mi chiedo cosa sarà quando il circo sarà partito e rimarrà solo quella spianata di cemento. Ma a ben vedere c’è un cliché che si ripete nei progetti che hanno preso forma fra ponte di Tiberio e Castello. Passerelle e specchi d’acqua.
Comunque il laghetto fra il teatro Galli e la severa dimora del signore di Rimini a me appare un insulto alla intelligenza, al buonsenso, alla cultura, alla storia, ai riminesi e a Fellini. Ieri in questo laghetto non c’erano i germani reali (altrimenti noti come zaccole) ma nugoli di bambini, anche con pannolino incorporato. Mamme e papà li osservavano mentre facevano il bagnetto in una afosa domenica di agosto. E ho capito che i concept devono per forza di cose lasciare il passo allo humor involontario. Pensate a quanta filosofia felliniana a buon mercato è stata fatta sulle nebbie, l’acqua, il Rex, il viaggio, l’incontro… Poi ti accorgi che il poetico “velo d’acqua” dai più piccoli (“se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”) viene percepito come una Aquafan in miniatura. E nei mesi freddi quando non ci sarà bisogno di accendere i vaporizzatori per avere la nebbia?
Ciò che vorrei però cercare di dire è soprattutto altro: una virata di questa natura, che di punto in bianco ha cambiato i connotati al centro storico di Rimini, può prendere forma con la leggerezza incosciente con la quale pare sia avvenuta? Un sindaco e i suoi cavalieri della tavola rotonda, quindi nove persone se non vado errato, hanno deciso un intervento praticamente irreversibile di radicale snaturamento di un luogo storico e identitario della città di Rimini. Questa è l’incredibile realtà. Incredibile per davvero, ancora di più se si considera che è avvenuta con tutti i timbri del Mic e della Soprintendenza.

Ripeto: c’è chi dirà bellissima, c’è chi risponderà orrenda. Ma prima di stravolgere per sempre uno dei principali luoghi simbolo di Rimini, gli amministratori avrebbero dovuto lasciare la decisione ai cittadini con lo strumento del referendum. Sarebbe stato il minimo. Anche per rimuovere solo i ciottoli del Marecchia che erano stati posizionati in quella piazza, figurarsi per tutto il resto.
Ho visto riminesi entusiasti ieri pomeriggio, insieme ad altri che commentavano acidi «ottima piscina per i bambini e per chi, senza fissa dimora, dovrà lavarsi», ma ciò che ha sconvolto me, seduto a bordo piscina (mi è toccato farlo perché le gambe mi hanno ceduto trovandomi al cospetto di un tale spettacolo) è stata l’evidenza di accorgermi con quanta superficialità si possa cambiare volto al cuore vibrante che la città ha custodito, pur fra tante contraddizioni, per secoli.
Mi chiedo come il sindaco riesca a non percepire questo abisso che ha scavato fra il presente e il passato, cristallizzando il paradigma di Rimini sull’apparire e facendo un’operazione che avrebbe avuto un senso altrove (basta vedere dove sono sorti i parchi tematici nel mondo), ma non dove la storia e l’archeologia hanno ancora la capacità di sprigionare una vena aurifera in grado di lasciare a bocca aperta il mondo. Mi chiedo, insomma, come questa Disneyworld a tema felliniano, che fra l’altro ridicolizza Federico Fellini e lo abbassa a degli stereotipi kitsch che il maestro rifiuterebbe inorridito (a Cinecittà per girare un film puoi inventarti quello che vuoi, in una città no, devi rispettarla), possa essere stata immaginata come la svolta epocale, quando invece temo che verrà ben presto dimenticata.
C’è poi un aspetto che mi irrita, e non lo nascondo: colgo un palese sfruttamento commerciale, al di là di quelle che sono le intenzioni degli ideatori, del brand Fellini. Mi sembra che Rimini venga così trascinata in un altro stereotipo di quelli che si è portata dietro da sempre: tutto è buono se aiuta a fare soldi. Non vorrei che, nottetempo, Federico decidesse di lasciare il cimitero di Rimini in segno di protesta.
Ora dovremo tenerci, per le bizze di qualcuno, questa piazza San Marco con l’acqua alta dove grazie a Dio non c’era mai stato bisogno del Mose. Con tutti i milioni dirottati nel progetto Rimini avrebbe potuto fare ben di più e ben altro.
E anche se la magistratura dovesse mandare qualcuno a giudizio per questi lavori, come accaduto per le mura trivellate del ponte di Tiberio, nessuno ci ridarebbe più indietro la piazza che attendeva solo di scoprire le sue piramidi malatestiane, il fossato di Brunelleschi.

C’è una dichiarazione che, seppure nella forma della boutade scherzosa ma non troppo, rappresenta la ciliegina sulla torta. Massimo Bottura inaugurando Al Meni ha detto che Gnassi dovrebbe assurgere al ruolo di ministro del turismo. Le parole dello chef suonano boutade o marchetta se assunte isolatamente. Ma fanno riflettere se si ricorda quel che sentenziò lo stesso Bottura alla cena di gala del Motor Valley Fest, in quel di Modena: «quando gli stranieri si renderanno conto di che cos’è l’Emilia Romagna vedrete cosa vorrà dire il turismo, ma non il turismo di Rimini…, il turismo vero della gente che arriva, si ferma, passa il weekend a Modena, Bologna, Parma, Reggio Emilia e vede delle cose che sono uniche al mondo…». Che avesse ragione lui? A Rimini si continua a puntare sull’effimero, sul baraccone delle meraviglie, sugli effetti speciali. Le cose “uniche al mondo” vengono sottovalutate e sacrificate sull’altare di un modernismo provinciale. La situazione è grave ma non è seria, avrebbe detto Flaiano.
Vasilij Grossman, invece, ha scritto che «da millenni l’uomo lavora indefessamente su questa terra creando oggetti e valori dello spirito. Molto di quanto l’uomo fa stupisce le generazioni successive per eleganza, maestosità, ricchezza, complessità, audacia, sfarzo, splendore, grazia, intelligenza, poesia. Ma solo alcune opere dell’uomo – e non sono poi tante – risultano perfette, e le opere davvero perfette non sono né maestose, né sontuose, né particolarmente eleganti. Capita che la perfezione prenda forma nei versi di un grande poeta, non in tutti, però, anche se tutti sono frutto del suo genio, solo di un paio di poesie si potrà dire che sono davvero perfette. Che non c’è nulla da aggiungere. Perfetta può essere una musica in tutto o in parte. Perfetto può essere un ragionamento matematico, un esperimento o una teoria fisica, l’elica di un aereo, il pezzo lavorato da un tornitore, l’oggetto soffiato da un mastro vetraio, la brocca uscita dalle mani di un ceramista. La perfezione è sempre semplice, sempre naturale, la perfezione è la comprensione assoluta della sostanza delle cose e la sua espressione più piena, la perfezione è la via più breve verso lo scopo, la dimostrazione più semplice, l’espressione più chiara». In attesa della perfezione attraversiamo anche questa stagione di gloria cartonata.

Carlo, detto Picasso

COMMENTI

DISQUS: 0