Pulsatilla: musica omeopatica

Pulsatilla: musica omeopatica

Comincia con i Pulsatilla questa nuova rubrica musicale di Riminiduepuntozero: muorideejay. Presenterà gruppi ed etichette dell'area emiliano romagnola. Partiamo dai giovani riccionesi che hanno pubblicato due album a distanza di neanche un anno.

I Pulsatilla sono quattro giovani ragazzi del riccionese, attivi nella scena musicale del nostro territorio e non solo. Sono Leonardo, Luca, Tommaso e Filippo. E’ uscito da poco il loro nuovo album “Anemone”, a brevissima distanza dal primo EP omonimo. Li abbiamo intervistati.

Il nome spiega sempre molte cose, forse troppe. Anticipa e mistifica. Suggerisce e allo stesso tempo spinge fuori strada. Pulsatilla e anemone sono piante usate spesso come rimedio omeopatico, c’è dunque un riferimento forte all’ambito medico. Raccontatemi un po’ di questi nomi, di questi significati.
Partiamo dal nome del gruppo. Pulsatilla ha trovato da subito tutti d’accordo sul piano fonetico: in qualche modo descrive le nostre personalità, è una parola che ha in sé durezza e morbidezza. Similmente a noi presenta sensibilità e delicata amarezza al contempo. In secondo luogo, è il nome di un progetto che, tra le sue intenzioni, desidera porsi anche come sollievo per la malinconia. Come l’omeopatia guarisce facendo leva sul male stesso, così la nostra musica cerca di “curare la malinconia con la malinconia”, quindi il riferimento alla medicina omeopatica è presente.
Passando al nome dell’album, l’anemone è un fiore che viene considerato, a causa della sua particolare delicatezza, il simbolo dell’abbandono e della brevità della bellezza e delle gioie in amore. E’ un fiore che si regala ad un’altra persona per farle capire il senso di trascuratezza e racchiude in sé le tematiche e il senso del nuovo disco.

A cosa è dovuta questa grande produttività? Due album a distanza di neanche un anno?
E’ stato un anno molto produttivo, frutto dei sentimenti che proviamo, molto simili tra di loro. Questo ha reso più veloce i ritmi di composizione sapendo di cosa volevamo trattare e di come lo avremmo voluto trattare. I pezzi poi sono venuti fuori in modo naturale e spontaneo, quindi lavorati e perfezionati fino alla loro attuale forma.

Dove avete registrati gli album e come si è sviluppato il lavoro in studio?
Abbiamo registrato entrambi i dischi alla Stop Studio di Rimini di Andrea Muccioli e Ivan Tonelli. Il primo EP è stato registrato col click, partendo dalle tracce di basso e batteria insieme, poi le chitarre e, infine, le voci. Abbiamo preferito, invece, prendere un’altra via per l’album: è stato registrato in presa diretta tutti insieme senza metronomo, in seguito sono state registrate le voci. Sicuramente in quest’ultimo caso avevamo più chiaro che tipo di resa volevamo avesse il disco, caratterizzato da uno stile fondamentalmente lo-fi.

Il suono è spesso confortante, a tratti ricco di malumore. Ti butta lì quelle due goccioline di presa male quando meno te lo aspetti. Ci sono ste chitarre un po’ flemmatiche, suonate con la mano annoiata che all’improvviso diventano incisive. Parlatemi un po’ dei vostri suoni, come li cercate, come li ottenete.
Tutti e quattro abbiamo molto a cuore la questione del suono, infatti, ci prestiamo a una costante e profonda ricerca di esso attraverso effetti, amplificazione, corde, pelli e accordature dei tamburi, fino anche ai jack utilizzati. Cerchiamo di non lasciare nulla al caso.

Ci sono diversi riferimenti al mondo antico, in “Nereide” e in “La danza dei Coribanti”. Nostalgia della perfezione classica o ricerca dell’origine?
Al di là del fascino della poesia classica e dell’amore per paesaggi ameni e incontaminati, il riferimento è fatto in funzione dell’immagine e delle sensazioni che i pezzi cercano di suscitare nell’ascoltatore. Ne “La danza dei coribanti”, inoltre, ricompare il tema dell’omeopatia: questa era, infatti, una danza caratterizzata da movimenti e musiche ossessivi e ripetitivi col fine di essere un sollievo e una cura per l’ossessione stessa. Questo riferimento, per esempio, fa da chiave di lettura del pezzo.

Ogni band ha degli ascolti in comune, per quanto gli interessi musicali possano essere diversi. Il classico disco che tutti cantano quando ci si sposta in macchina. Cosa vi tiene musicalmente assieme e cosa vi ha spinto ad iniziare?
Veniamo tutti e quattro da storie musicali molto diverse e questo spiega anche il tipo di sonorità che abbiamo. E’ un incontro delle nostre personalità ed esperienze. Un disco che sicuramente ci accomuna è uscito l’anno scorso ed è “Pulviscolo” di Colombre. Ci ha fatto molta compagnia, abbiamo anche avuto modo di conoscere Giovanni di persona, tra l’altro scoprire che apprezza la nostra musica è stato magico.

Soprattutto nel vostro ultimo lavoro sento spesso un collegamento al mondo floreale, come suggerisce anche il titolo dell’album e il vostro nome. Quasi che l’esile vita di un fiore raccontasse della vostra. La nascita, la comparsa del bocciolo e il suo dileguarsi in vista del fiore. C’è tanto clima francese in tutto questo. La delicatezza della natura e la sua violenza. Provate a spiegare.
L’amore per la natura che noi tutti condividiamo ha il suo gran peso nelle scelte artistiche che facciamo. E’ madre e ispiratrice, da lei impariamo e a lei ci rivolgiamo con la stessa dolce nostalgia di quando ci manca casa o di quando pensiamo alla persona amata. E’ difficile dire altro a riguardo in realtà, perché questa domanda si è risposta da sola. Centrato in pieno!

Per finire, un disco di cui non potreste fare a meno, uno ciascuno.
Leonardo: Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico
Luca: Mùm – Finally We Are No One
Tommaso: Ska-p – Planeta Eskoria
Filippo: The Libertines – The Libertines

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