San Leo, misticismo e violenza

San Leo, misticismo e violenza

Abbiamo intervista i SAN LEO aka Marco Migani e Marco Tabellini. Duo strumentale esoterico, profondamente radicato nell’enigma dell’antico entroterra romagnolo.

San Leo è una fortezza. E’ un insediamento umano incastonato nella roccia. Aspro, ostile, sacro. Per quale motivo avete scelto questo nome?
Cercando un nome per il gruppo, ci siamo accorti che SAN LEO era un punto in cui convergevano le nostre prospettive, a partire dal legame con l’esoterismo e il misticismo ermetico di certi luoghi del nostro entroterra.
La rocca è uno di quei posti veramente potenti che abbiamo la fortuna di poter letteralmente toccare con mano a pochi chilometri da casa. Attraverso le sue pietre si può entrare in contatto con altre epoche, storie che si sovrappongono fra loro filtrando nel nostro tempo…

Avete un che di mistico, di rituale. Nell’abbigliamento, nella ripetizione, nell’ordine. Siete fuori tempo e fuori moda. A quale scopo mira questa scelta, se c’è?
In realtà non abbiamo molto controllo su queste cose, o comunque non le sentiamo come scelte studiate – non c’è nessuno scopo se non esprimere la nostra visione nel modo più naturale possibile. Come hai giustamente notato ci sono tanti fattori, che vanno dalla musica alla sua presentazione, che ci aiutano in questo distacco dalla mondanità per connetterci con altri livelli di immaginazione. Tutto questo, si spera, finisce con il trasparire in quello che suoniamo.

In entrambi i vostri dischi “XXIV” e “DOM” ci sono quattro canzoni. Fanculo Hegel e la triade a quanto pare. Qual’è il pensiero sottostante?
Nessun pensiero!
(Ci dispiace per Hegel)


I vostri dischi sembrano un antico libro di fiabe, un racconto di gesta epiche e grandiose. Tutto estremamente scuro, malinconico. Come se in fondo ogni storia che raccontate andasse a “finire male”. Sbaglio?
È una tua legittima interpretazione, non c’è giusto o sbagliato! 
In ogni caso un finale “tragico” può anche essere un momento catartico, no? Così come la distruzione può rivelarsi un trionfo, nascondere una rinascita… Non siamo per la negatività a tutti i costi, ci sono tanti momenti che sentiamo pieni di luce (un ottimista nota il crepuscolo).

Cosa che salta subito all’occhio, soprattutto in un’epoca come la nostra. Titoli lunghissimi mai visti. Non ti rimangono in testa neanche se li scrivi sul muro di camera tua. E’ paradossale: il titolo di una canzone “dovrebbe” scattare una fotografia istantanea per cui dai primi secondi dici, ok questa è… Invece no. Spiegate.
Eeeh chi l’ha detto che un titolo “dovrebbe” essere così?! Chiunque può intitolare un pezzo in qualunque modo, con numeri, simboli, formule matematiche, disegni… 
(l’idea della fotografia istantanea forse non si abbina bene con il nostro modo di fare).

In questo ultimo disco la coincidenza tra i titoli delle vostre canzoni e il loro aspetto musicale e sonoro è totale. Prendiamo il primo brano. All’interno del titolo leggi “tempesta di sabbia” e la canzone si apre con sto ride martellante che ti lancia in faccia una raffica di granelli di sabbia. Prendiamo l’ultimo brano. Si parla di un “sogno ricorrente”, di un eterno ritorno e c’è questa chitarra ripetitiva, oscillante che ti porta dritto in un fiume infinito e sempre uguale. Scrivete prima i titoli o le canzoni?
Ci fa piacere che tu abbia ascoltato con questo trasporto! Per rispondere alla domanda, prima viene il suono. Solo una volta che la stesura del pezzo è completata, cerchiamo di mettere a fuoco quello che la musica evoca e ci suggerisce.

Titolo del vostro ultimo disco, “DOM”. Ora io ho fatto un po’ di ricerche. Molti dei significati di questa parola rimandano all’universo religioso. Ditemi qualcosa di più.
Può ANCHE essere vista così, è una parola che risuona in modo piuttosto solenne, quasi come il rintocco di una campana. O può rimandare a “Domination”, che è sia un disco dei Morbid Angel che una canzone dei Pantera! Oppure altre cose che preferiamo lasciare alla libera interpretazione…

Cosa condividete a livello musicale? Intendo, cosa ha fatto sì che un giorno abbiate pensato “vogliamo fare quella roba lì, incazzata, dura, scarna, mistica”? (Sempre se lo avete pensato).
Lo spettro dei nostri gusti in comune è piuttosto ampio, dal free jazz al black metal passando per il rap e qualsiasi cosa nel mezzo.
 Ma non è che abbiamo pensato “vogliamo fare quella roba lì…” – quello che abbiamo sempre voluto fare è solo musica essenziale ed evocativa.

Un disco di cui non potreste fare a meno, uno ciascuno.
Glenn Gould – J.S. Bach, Goldberg Variations (1981)

Albert Ayler – Nuits de la Fondation Maeght.

COMMENTI

DISQUS: 0