L’amministrazione comunale non si è fatta trovare pronta all'anniversario: 800 anni dal passaggio da Rimini del Santo. A giugno sono spuntati dei ponteggi davanti alla cappella ottagonale ma nessuna novità in vista, solo rilievi tecnici. Eppure ne avrebbe urgente bisogno. Nella programmazione dei lavori pubblici ancora non c'è traccia dell'intervento.
Quest’anno ricorre l’anniversario degli 800 anni del passaggio da Rimini di S. Antonio da Padova. Non si trattò di un semplice insignificante transito, ma lasciò dietro di sé ben due miracoli: quello della mula e quello dei pesci; fatti storici conosciuti non solo a Rimini, ma pure in altre parti d’Europa, considerato anche che il Santo era di origine Portoghese, e del mondo.
Poiché ciò avviene nel più totale silenzio da parte di un’amministrazione cittadina “distratta”, ci abbiamo pensato noi a ricordare l’evento, inviando una pec il 20 giugno scorso al Sindaco, nonché assessore alla cultura, denunciando lo stato indecoroso in cui versa il Tempietto di piazza tre Martiri dedicato a ricordo del primo dei predetti prodigi, e chiedendo di intervenire fattivamente affinché venga predisposto e realizzato un serio piano di restauro conservativo, finalizzato ad eliminare tutte quelle criticità descritte e consegnare questa unicità Riminese ai posteri.
La segnalazione era corredata di numerose foto ritraenti la condizione descritta, che in alcuni casi mostra segni di irreversibilità.
Oltre a rammentare l’obbligo di salvaguardare i monumenti a cura e carico dei loro proprietari, il Codice dei beni culturali e del paesaggio all’art. 30 comma 1, “Obblighi conservativi”, così recita:
«1. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza», e vista l’atavica inadempienza a quel dettame, aggiungevamo inoltre che oggi più che mai il patrimonio storico monumentale di una città non appartiene solo alla stessa, ma al mondo intero.
E mentre attendevamo una risposta ecco un bel giorno, 24 giugno scorso, materializzarsi un ponteggio di fronte al monumento, utilizzato da incaricati specializzati in restauro e conservazione di beni culturali, per effettuare misurazioni e rilievi tecnici.
Non avendo la pretesa che la nostra istanza avesse sortito un così rapido effetto, abbiamo pensato piuttosto ad un più probabile terzo miracolo del Santo; ma nel dubbio abbiamo subito chiesto lumi all’ufficio stampa del Comune di Rimini.
Riassumiamo quindi il tutto per capitoli, per inquadrarne il contesto complessivo.
LE RISPOSTE
La segreteria del Sindaco, nonché assessore alla cultura, in seguito all’interpello ci assicurò telefonicamente che alla risposta alla nostra missiva avrebbe provveduto direttamente il settore cultura. Nulla ricevendo in proposito, e vicini ai 30 giorni entro i quali un’amministrazione pubblica è tenuta a rispondere ai cittadini, abbiamo sollecitato telefonicamente o via e-mail a seconda del soggetto consultato, sia il predetto settore competente che l’ufficio stampa.
Mentre il contatto col primo è apparso assai incerto e confuso, in termini di conoscenza del fatto e nell’evaderlo, situazione culminata poi con un nulla di fatto entro i tempi previsti, l’ufficio stampa si è dimostrato ben più efficiente tanto da rispondere, in data 15 corrente, in tal modo:
“Buongiorno Salvatore.
Sul tempietto di Sant’Antonio i tecnici comunali hanno svolto diversi sopralluoghi ed indagini con ditte specializzate per capire gli interventi necessari per la valorizzazione del monumento e fare ipotesi di spesa per la loro realizzazione. Le opere dovranno preventivamente essere sottoposte ad autorizzazione della Soprintendenza, per poi essere inserite nella programmazione dei lavori pubblici dell’Ente”.
Poco in verità, quasi nulla e, per conseguenza, solo una certa e consistente vaghezza.
Non ci resta quindi che sperare che ai flebili propositi seguiranno fatti concreti e comunque, come nostro uso, qualora ricevessimo ulteriori comunicazioni ne daremo celermente conto.
L’OCCASIONE MANCATA
In una città attenta, la ricorrenza sarebbe stata colta al volo, direi annusata; ma siamo a Rimini ove queste opportunità si perdono nel pantano dell’indifferenza, insipienza, e di cui non se ne sanno neppure comprendere i ritorni in termine di immagine, cultura e turismo, perpetuando stanchi e sorpassati frullati avariati quali notti rosa e tendoni circensi. Banalità a profusione, magnificate e riprodotte stancamente da chi non sa guardare verso orizzonti più alti e lontani, e di cui pure si bea pubblicamente, nonostante i puntuali tristi conseguenti fatti di cronaca ormai tradizionali e annualmente ripetitivi. È ormai una tradizione che si ripete, con lo stesso rito e lacero copione privo di fantasia.
L’evento, se programmato con lungimiranza, avrebbe potuto iniziare con la celebrazione del Tempietto finalmente restaurato, dandone la giusta risonanza magari con una serie di iniziative di carattere storico e didattico. Per poi proseguire con una mostra di opere d’arte aventi per tema i miracoli descritti in apertura e la vita del Santo stesso, accogliendo in prestito le tele dei vari pittori che si sono cimentati su quei temi, dai musei di varie località nei quali sono conservate. Oltre agli svariati altri possibili eventi collaterali che l’argomento avrebbe permesso, se vi fosse stato un assessore competente, capace e illuminato. Quali la riscoperta con gli atti storici dell’edificio religioso, ora scomparso, eretto in memoria del miracolo dei pesci, e quel Borgo, Borgo Marina per l’appunto, anch’esso quasi del tutto cancellato. Storie riminesi, ma di respiro ben più ampio.
E per finire l’internazionalità, quella che la nostra provincialissima città tenta ossessivamente di raggiungere con quei dozzinali eventi prima ricordati.
Il Santo, come è noto era nativo di Lisbona e morì a Padova, e durante la sua vita di predicazione toccò anche altri luoghi a noi vicini. L’opportunità di creare un filo logico, un anello immaginario con quelle località, specie di nascita e morte, tramite fattivi contatti con le amministrazioni di quelle città, un gemellaggio, avrebbe sicuramente amplificato quel progetto facendolo uscire dall’iniziativa locale e richiamando certamente una grande affluenza di visitatori anche di alto livello, con tutte le ricadute consequenziali positive in termini di immagine cittadina e di beneficio per il settore turistico in genere. Il San Domenico di Forlì ce lo insegna, ma qui regna pure l’incapacità di saper copiare le cose che funzionano. Triste caratteristica dell’autocrazia che soverchia sovrana in questa città, ossia la presunzione di essere d’esempio al mondo, quando esso va da tutt’altra parte. E già le sparute e sottotono manifestazioni dell’anniversario della nascita di Sigismondo Malatesta nel 2017, avevano evidenziato una tale carenza.
A OGNUNO IL PROPRIO MESTIERE
Quale cultura si può organizzare in una città dove lo stesso assessore deputato a ciò è pure Sindaco, e con tutti gli impegni che la prima carica richiede specie in una città come Rimini? Quindi part-time o a “mezzo servizio”, meglio dire ad essere ottimisti. Se poi aggiungiamo il fatto che nel suo curriculum (qui) manca questa peculiare competenza, si chiude il cerchio, peraltro di raggio assai corto.
Questi sono alcuni importanti indicatori che ci raccontano quanto a Rimini interessi la cultura (quella vera e non posticcia d’accatto di quest’ultimo decennio) dal punto di vista istituzionale e della capacità di pensare in grande, oltre al non volersi ostinatamente avvalere di quei personaggi che conoscono veramente quel mondo, capaci e lungimiranti, che nella nostra città peraltro non mancano.
Un assessore alla cultura deve essere esperto in ciò in cui si produce, avere e tenere contatti con importanti colleghi e istituzioni di pari oggetto, ed essere da costoro riconosciuto come tale, ma anche non dovrebbe sottostare alle stramberie del potente di turno o di chi poi le continua a perpetrare grato al precedente cessato “faro culturale” eppur sindaco oltreché tuttologo.
Al contrario la politica nostrana ci ha abituato a tutt’altro, all’esatto opposto, in cui personaggi con semplici lauree di tutt’altra attinenza hanno la presunzione di gestire la cultura permettendo la cementificazione d’importanti resti archeologici; ma che credono anche che sia cosa geniale trasformare un Castello Malatestiano in un museo di scarsa rilevanza, interesse, e inadatto al sito, e che si premurano solo di destinare al consumo qualsiasi evidenza storica. Per non parlare poi dello squallore che ha colpito l’intorno del noto bimillenario Ponte Tiberio con inutili e deturpanti passerelle.
Quindi solo improvvisazione, arroganza e presunzione; in pratica autoreferenzialità. Ecco ciò che dovrebbe o non dovrebbe caratterizzare l’operato di un assessore alla Cultura.
È quindi questa la Rimini che ambisce a divenire Capitale della Cultura 2024, magari candidando la notte rosa o altre similari sagre a divenire patrimonio mondiale Unesco. Forse ci stanno lavorando, perché diversamente non si comprende come sia stato possibile dimenticarsi o non saper cogliere, e sprecare, le occasioni che ci piovono da sole senza nemmeno cercarle.
Salvatore de Vita
COMMENTI