Un “visitor center” sul Trecento riminese nell’ex cinema Sant’Agostino

Un “visitor center” sul Trecento riminese nell’ex cinema Sant’Agostino

Rinato come sala per proiezioni nel 1979 grazie al centro culturale il Portico del Vasaio, diventando un importante cinema d'essai, ora si sta ragionando del suo futuro: sala polivalente parrocchiale o qualcosa di più? La storia di questo luogo farebbe propendere per focalizzarne la destinazione a punto di valorizzazione della scuola pittorica riminese "felice variante dello stile giottesco”.

Lo storico cinema Sant’Agostino cerca una rinascita. E’ un’occasione da non sprecare, non tanto per resuscitare una sala cinematografica (che oggi avrebbe da misurarsi anche con “concorrenti” di livello come il Settebello e il Tiberio), quanto per “spingere” finalmente sul tesoro, in gran parte sottovalorizzato, del Trecento riminese.

Con ordine. Don Vittorio Metalli ha annunciato che al posto del piccolo ma glorioso Sant’Agostino sorgerà una sala polivalente (forse con saltuarie proiezioni) a servizio della parrocchia ma più in generale anche della città. Sala polivalente significa tanto e nulla. Non bisogna dimenticare che parlare della Chiesa di Sant’Agostino equivale, non solo a Rimini, ad evocare la scuola del Trecento riminese. Una gallina dalle uova d’oro che in città viene tenuta in considerazione con alti e bassi, soprattutto bassi, che ha visto una grande valorizzazione negli anni 90 (per limitarsi al recente passato) con la mostra proposta dal Meeting, come vedremo, e grazie al Portico del Vasaio.

Cosa c’entra il centro culturale Il Portico del Vasaio col Trecento riminese e con Sant’Agostino? C’entra eccome. Il Portico nasce dall’esperienza di Cl a Rimini, per porre nella città una presenza culturale di matrice cattolica, e fra le tante iniziative pubbliche, nel 1979 rileva la gestione del cinema facendolo diventare una piccola eccellenza. Parola di Gianfranco Miro Gori, che nel 1981, quando era responsabile cinema del Comune di Rimini, così ne parlava: “Il cinema parrocchiale Sant’Agostino – duole ammetterlo ad un vecchio cinephile anticlericale – ha sfornato negli ultimi anni la programmazione più “bella”. Proprio così: mescolando prime visioni a seconde e terze ha messo in piedi, giova ripeterlo ad uso dei compilatori di graduatorie future, la programmazione ‘migliore’.”

Come arrivò a farsi apprezzare, un po’ controvoglia, anche dalla locale intellighenzia comunista? “Il Portico del Vasaio chiese di poter gestire la sala cinematografica all’allora parroco don Sisto Casadei Menghi, che assecondò l’idea”, ricorda Marco Ferrini, presidente del centro culturale in quel periodo e per una decina d’anni. Comincia subito a sfornare una programmazione qualitativa che si fa presto notare. Il “Sant’Agostino d’essai” propone proiezioni “ricercate” e intercetta col tempo un vasto pubblico, comprese le scuole riminesi, grazie ad un cartellone di mattinèe.
“La pellicola del regista polacco Krzysztof Zanussi, Da un paese lontano, fece registrare migliaia di presenze e lo stesso Zanussi verrà poi a Rimini nel febbraio 1983 invitato dal Portico del Vasaio”, spiega Ferrini.
Da un paese lontano fu un evento cinematografico: uscì nel 1981 presentando al grande pubblico la figura di Karol Wojtyla, diventato papa il 16 ottobre 1978, dall’infanzia fino alla sua elezione al soglio di Pietro e al viaggio compiuto a Cracovia nel 1979.

Ad occuparsi della programmazione in quel periodo iniziale fu Giancarlo Pirroni (in seguito toccherà ad Emma Neri, che gestirà per diversi anni il Sant’Agostino, fino al 2006, anno in cui venne chiuso): “All’inizio la sala era in condizioni precarie e si decise di cominciare con pellicole di seconda visione”, dice. “Dopo la ristrutturazione (grazie a finanziamenti ottenuti dal ministero del Turismo e dello spettacolo, ndr) della sala abbiamo ripreso la programmazione con autori sconosciuti al pubblico ma importanti: Stalker di Andrej Tarkovskij, quando ancora il regista russo era un emerito sconosciuto ai più. Ricordo che fu una prima visione per Rimini, peraltro pagata alla distribuzione a peso d’oro”. I primi passi del Sant’Agostino intercettarono un pubblico di nicchia, d’altra parte si era agli albori del cinema d’essai, e al Portico del Vasaio toccò il destino dei pionieri. “L’elenco dei registi che confluirono nella programmazione del Portico sarebbe lunghissimo, ma fra i più importanti si possono elencare Cassavetes, Bergman, Anghelopoulos, Kurosawa, Wajda, Zanussi, Bresson, Herzog, Truffaut, Michalkov, Bellocchio e molti altri minori che hanno fatto la storia del cinema. Per la prima volta a Rimini abbiamo proiettato una serie di film in lingua inglese e quattro film con Greta Garbo in versione originale con sottotitoli”, spiega Pirroni.

“Nel 1990 il centro culturale, per volere del sottoscritto e di Roberto Gabellini, decise di recuperare un importante affresco collocato nella cabina di proiezione, la cui esistenza era stata segnalata da Pier Giorgio Pasini”, ricorda Marco Ferrini. Così nell’estate di quell’anno (periodo a cui si riferisce la foto qui sopra) partirono i lavori e venne demolita la cabina. Tolti i mattoni affiorò nella sua dimensione intera la preziosa immagine di una Madonna con Bambino e Sant’Agostino (foto in alto), opera del Trecento Riminese, sulla quale misero subito gli occhi gli storici dell’arte. “Dai lavori emerse un affresco di dimensioni ben più grandi di quanto si potesse immaginare, 2 metri e 55 centimetri per 2 metri e 88, al quale si aggiungeva l’immagine nascosta di San Giovanni Evangelista e, nello zoccolo, quella dell’offerente”. Una scoperta che ebbe un’eco nazionale.

Furono anni decisivi per la Chiesa di Sant’Agostino in generale, perché nel frattempo don Lazzaro Raschi (al quale purtroppo a Rimini nessuno ha ancora riconosciuto l’enorme valore dell’impegno e dei sacrifici profusi nel recupero della bellissima chiesa) aveva iniziato l’imponente opera di restauro dell’intero complesso monumentale di Sant’Agostino. “La città non sarà mai sufficientemente grata a quest’uomo, che io considero un eroe e che meriterebbe veramente il Sigismondo d’oro”, commenta Ferrini. Quando don Raschi mette piede nella Chiesa di Sant’Agostino la trova totalmente annerita dall’incendio sprigionato nella falegnameria attigua: le fiamme avevano anche distrutto la cantoria e l’organo. A piccoli passi, con enorme coraggio, si mette a cercare i finanziamenti, si potrebbe dire di casa in casa, e riporta la Chiesa allo splendore attuale. Il deficit adesso si trova fuori della Chiesa: “Si dovrebbe pensare a sistemare anche l’esterno di Sant’Agostino, oltre che alla facciata anche il giardino che corre tutto intorno al monumento, per valorizzarlo compiutamente”.

Torniamo all’affresco. Strappato e restaurato nel 1991 da Andrea Caponi di Faenza, viene collocato dove si trova tutt’ora, cioè nella Chiesa di Sant’Agostino, attualmente sopra la tomba del Beato Marvelli. Lo storico dell’arte Miklós Boskovits (a lungo docente alla Cattolica di Milano e a Firenze, scomparso nel 2011 all’età di 76 anni), profondo conoscitore della Scuola del Trecento Riminese, attribuì l’affresco a Giovanni da Rimini.

Ferrini conserva ancora la lettera a lui indirizzata, con la quale il prof. Boskovits esprime le sue prime considerazioni sull’affresco, dopo aver visionato solo le fotografie che i responsabili del Portico gli inviarono subito dopo averlo “liberato” dal cemento. E’ datata Firenze, 20 maggio 1991: “Posso confermarle che si tratta di un’opera dell’ambito della bottega di Giovanni da Rimini. La stessa impaginazione compositiva e la presenza della donatrice devota fanno pensare che l’affresco fosse eseguito quale ex-voto, senza far parte dunque di un ciclo più ampio, mentre la staticità e il respiro monumentale delle figure, il panneggiare di gusto classicheggiante e lo stesso tipo del trono, estremamente semplice, suggeriscono, a mio avviso, una data intorno al 1310-15 circa. Il recupero di un affresco del genere è dunque di indubbio interesse…”

Il Portico del Vasaio non riapre quindi solo una sala cinematografica (che era stata inaugurata alla metà degli anni 50), ma ha il merito di avere scritto una parte di storia nella direzione della riscoperta del Trecento riminese. Ciò che viene alla luce nella cabina di proiezione del Sant’Agostino determina anche la decisione di organizzare la grande mostra dal titolo “Il Trecento riminese: maestri e botteghe tra Romagna e Marche”, che il Meeting organizza dal 20 agosto 1995 al 7 gennaio 1996. Fu un successo enorme. Nel comitato scientifico della mostra comparivano i nomi di Federico Zeri, Andrea Emiliani, Paolo Dal Poggetto, Miklos Boscovich, Everett Fahy e Michel Laclotte.

Il Portico è anche una costola del progetto Meeting. La prima kermesse di Cl, nella vecchia Fiera di Rimini, è datata 1980. Non era ancora stata costituita l’associazione Meeting (cosa che avverrà l’8 dicembre 1980) e i soggetti promotori e organizzatori furono il Portico del Vasaio, il settimanale Il Sabato, Movimento popolare e l’editore Jaca Book. “Fu il Portico del Vasaio il soggetto giuridico sul quale poggiò la prima edizione del Meeting, e fu la mia firma (personale) quale presidente a garantire gli impegni economici di quella manifestazione… qualche pensiero e preoccupazione li ho avuti”, ammette Marco Ferrini, che nel 1980 aveva 28 anni e si era trovato alle prese con una “sfida”, e anche con rischi, assai impegnativi.

Dall’estate del 1979 il Portico organizzava nella città spettacoli musicali (pianoforte, chitarra classica, jazz, ecc.) in diverse piazzette di Rimini, riscontrando un gradimento notevole di turisti e riminesi. Fu al termine di uno di questi eventi, in piazzetta Padella nel Borgo San Giuliano, nell’agosto di quell’anno, che un gruppo di amici andò a mangiare una pizza e da li prese forma l’idea del Meeting.

Il Sant’Agostino potrebbe diventare una location dedicata alla promozione e alla conoscenza del Trecento riminese. E’ la culla del Trecento. Purtroppo attualmente non valorizzato.
Il 30 novembre scorso nel Teatro degli Atti Antonio Paolucci ha tenuto una lezione magistrale su Sigismondo e Agostino di Duccio nel Tempio malatestiano. In quella occasione ha preso la parola anche l’assessore alle Arti del Comune di Rimini, Massimo Pulini (nella foto), ed ha aperto uno squarcio non banale che ha a che fare col futuro del cinema Sant’Agostino. In buona sostanza ha detto che è allo studio il progetto di farne una “leva” per valorizzare il Trecento riminese. E’ ancora poco per capire la sostanza di quel che si sta muovendo. Ma fare del Sant’Agostino non una scontata sala polivalente parrocchiale, ma un punto di attrazione sul Trecento riminese (un po’ l’equivalente del Visitor Center sulla storia di Airiminum), è un obiettivo intelligente. Culturalmente significativo. Che guarda lontano.

In uno dei suoi rari ritorni a Rimini, il prof. Paolucci (era il gennaio del 2015) disse: “Non avrò pace finché non vedrò adeguatamente valorizzata la chiesa di Sant’Agostino, che è la Basilica di Santa Croce per Rimini”. E’ sufficiente per spronare la città ad investire, come meriterebbe, su quel luogo?
Nel 1935 si tenne a Rimini la mostra sulla “Pittura riminese del Trecento”, che vide nel comitato organizzatore niente meno che Roberto Longhi, mentre curatore fu Cesari Brandi: “Come ben sanno gli storici dell’arte, l’introduzione brandiana al catalogo di quella mostra rappresenta lo studio sistematico sull’antica pittura riminese, dal quale ancora oggi è necessario partire. Si tratta della prima ricognizione moderna in un settore della storia artistica italiana fino a quel momento incognito oppure conosciuto solo per episodi parziali e disarticolati”. Così scriveva lo stesso Paolucci nel catalogo della mostra organizzata dal Meeting sul Trecento riminese.
Aggiungeva Paolucci che “la scuola pittorica riminese merita di essere riconosciuta come realtà espressiva autonoma di alto livello perché, fra il 1300 e il 1350, dentro un ambito geografico che ha per asse la costa adriatica e per confini Ferrara e le Marche, storicamente si configurò quale felice variante dello stile giottesco”.
Non continuiamo a considerare la Chiesa di Sant’Agostino e il Trecento riminese meno importanti della Molo Street Parade.

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