Non si capisce pressoché nulla della situazione dell'aeroporto di Rimini e del suo deragliamento, così come delle ultime mosse di banca Carim, se non
Non si capisce pressoché nulla della situazione dell’aeroporto di Rimini e del suo deragliamento, così come delle ultime mosse di banca Carim, se non leggendole nel “sistema Rimini” e nelle sue logiche di pesi e contrappesi, di inciuci, di giochi di sponda fra opposti schieramenti politici, di piccole o meno piccole contropartite che si disputano sempre nei soliti ambienti ma che implicano più tavoli.
Ora banca Carim sembra voler sparigliare le carte. O, almeno, ci prova. Ma non si può far finta che il suo azionista di riferimento non sia la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, luogo principe di quel sistema di contrappesi.
Banca Carim non può permettersi il lusso di “fumarsi” circa 9 milioni di euro (tali sono i crediti che vanta sulla partita aeroporto) perché questo significherebbe fra le altre cose dover iscrivere la perdita a bilancio. Dietro le quinte si agita probabilmente anche lo spettro evocato dall’ex comandante provinciale della Guardia di finanza, Enrico Cecchi, il quale ha chiesto apertamente una azione di responsabilità nei confronti del management e del cda Carim in carica nella fase precedente al commissariamento: “La Fondazione è stata pavidamente immobile mentre la banca buttava le perle ai porci, vedi i 10 milioni ad Aeradria, rifugio geriatrico per politici trombati”. Nel concedere quei crediti è stata commessa qualche leggerezza? Chissà chi lo sa.
Banca Carim da una parte fa la voce grossa, e l’apice in questo senso l’ha raggiunto con il comunicato stampa del 9 aprile scorso (nell’ultimo, quello del 28 maggio, i toni sono già più sfumati), e dall’altra non vuole dare l’impressione di scaricare l’aeroporto (comunque decisivo per il futuro turistico di Rimini) al suo destino, di apparire come banca “ostile” al territorio e di andare alla rottura con le istituzioni. Anche perché le istituzioni, Provincia e Comune in primis, vivono anche nella pancia della Fondazione Carim e, se non si vuole andare allo scontro aperto, occorre tenersele buone.
Carim ha detto chiaramente che non ha nessuna intenzione di “salvare” Aeradria per riconsegnarla nelle solite mani: “I soci non sono più legittimati a disporre della società: che, in pratica, è diventata di “proprietà” dei creditori. Grottesca sarebbe poi l’idea che i soci potessero arricchirsi vendendo a terzi le azioni della società risanata grazie all’azzeramento delle decine di milioni di perdite provocate da una gestione, di cui è difficile non considerarli “responsabili”.” Così parlò il cda di banca Carim lo scorso 9 aprile e mai in precedenza da quelle ovattate stanze erano uscite parole tanto contundenti. Usando il bisturi, ma tagliando nella carne viva dei soci pubblici. Da quel comunicato stampa uscì trasparente la delegittimazione dei soci pubblici, più che del management di Aeradria (giustamente, perché colui che sta facendo il sacco delle botte, cioè il presidente Massimo Masini, è senza ombra di dubbio la persona che si è spesa di più e fino in fondo, affogando però nel pantano della politichetta che lo aveva spinto avanti), bollato come incapace di mantenere fede agli impegni assunti: gli aumenti di capitale sottoscritti non hanno avuto seguito, “perché gli stessi soci non provvedono né alla sottoscrizione né al versamento degli aumenti di capitale pur deliberati”.
E’ chiaro che banca Carim non immagina di mettersi a gestire l’aeroporto. Tenta però, nel piano che prevede il conferimento dei propri crediti nel capitale della società e guidando la cordata dei creditori, di mettere definitivamente in carreggiata il “Fellini”. Non Aeradria, ormai incamminata verso il definitivo tramonto (a meno di colpi di coda della politica), ma l’aeroporto, mettendolo in mano ad un socio privato e dotandolo di un piano industriale serio e lungimirante. Aeradria non ha nemmeno più la concessione, è già una scatola vuota destinata a finire nel riciclo, ed Enac non avrà alcuna difficoltà a “riconoscere” un altro concessionario, purché si presenti con la pecunia necessaria e dimostri di aver digerito un piano industriale in grado di rilanciare lo scalo, che dovrà per forza di cose guardare più lontano dei confini provinciali (c’è ancora qualcuno che pensa che possa reggersi col traffico “locale”?).
Fuori i secondi, dice in buona sostanza banca Carim nella versione “tecnica” e professorale del nuovo cda. Fuori anche la politica che si è barcamenata in tutti questi anni senza concludere nulla. Provincia e Comune non potranno, in questo scenario che Carim va delineando, che avere un ruolo di terza fila, e questo spiega certi lamenti. Perché i soci pubblici, in cuor loro e nonostante decenni di fallimenti, sperano ancora di poter essere determinanti e di esprimere il nuovo management. Quasi certamente il piano industriale, quello vero, di cui si sta parlando, ancora non esiste. Ma il problema si porrà subito dopo. Prima un nuovo progetto di concordato, sul quale si dovrà esprimere il Tribunale, poi la costituzione della Newco e tutto quello che ne consegue.
E a proposito di privatizzazione, Carim non intende nemmeno prendere in considerazione la strada abbozzata dalla Provincia (Eurafrica Merchant Spa). Si dovranno battere piste nuove.
Le incognite sono ancora tantissime: San Marino vorrà giocare un ruolo da protagonista, immettendo capitali ingenti e adeguati all’operazione e diventando decisivo per fare aumentare il traffico (soprattutto merci)? Ad oggi anche questo non è chiaro. E di “sponsor” di peso non ce ne sono, considerato in quali chiari di luna si trovano Comune e Provincia, e considerato che da Fiera e Camera di Commercio nessuno si aspetta miracoli. Poi: la gestione dei creditori è una vera patata bollente, non è scontato che tutti vogliano farsi coinvolgere nell’assetto azionario.
Per portare a termine il salvataggio del “Fellini” (perché questo è l’obiettivo, non resuscitare il cadavere di Aeradria) occorre quindi una triangolazione perfetta: fra Fondazione e Carim da una parte, e soci pubblici dall’altra (Comune, Provincia, Camera di Commercio e Fiera).
Carim sembra avere messo in chiaro la strategia. Ma la Fondazione che fa? Il presidente Massimo Pasquinelli ha dovuto stringere un patto con Vitali e Gnassi per andarsi a sedere in Fondazione. Deve ancora nominare il proprio rappresentante in UniRimini (in sostituzione di Luciano Chicchi), cioè nella società di gestione del Polo universitario di Rimini, ma fino ad oggi non l’ha potuto fare anche perché Comune e Provincia lo tengono sulla corda.
C’è poi il rinnovo del consiglio di amministrazione della Fondazione (bisogna sostituire il vicepresidente Vernocchi, dimissionario, e i consiglieri) e la necessità, ormai inderogabile di nominare i 28 componenti mancanti all’interno della assemblea e fino ad oggi congelati per mancanza di accordo fra le diverse anime interne (un tempo erano due, adesso sono aumentate). Pena l’intervento d’autorità del ministero del Tesoro. Riuscirà il futuro del “Fellini” a prevalere sugli interessi che si giocano nella triangolazione imperfetta? Lo diranno le prossime settimane.
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