Un riconoscimento dietro l'altro, tutti di altissimo livello. L'ultimo della serie è stato l’Asfor Award «Best Under 40 Professor». Come è arrivato a questi risultati? Cosa pensa del futuro ai tempi della pandemia? Come vede Rimini, città nella quale torna regolarmente e mantiene numerosi contatti? Nel turismo, dice, non accontentatevi di sopravvivere. Intervista.
Continua ad accumulare riconoscimenti ad altissimi livelli il riminese Alessandro Giudici. Ci siamo già occupati di lui (e di Elena Novelli) nel 2017 su Rimini 2.0 (qui). Ma torniamo a farlo molto volentieri perché la sua carriera brucia le tappe. Non solo. In questa intervista il giovane docente in strategia d’impresa, che da Londra, dove vive con la famiglia, mantiene relazioni e collaborazioni con la sua città natale, invita Rimini e la Romagna a guardare oltre le piccole divisioni, a puntare sull’innovazione e sul gioco di squadra. Una città turistica attrattiva come Rimini non può mancare l’appuntamento con l’opportunità di cambiare passo dopo la batosta del Covid, senza accontentarsi di «sopravvivere», come è avvenuto nell’estate del 2020.
Ma cominciamo raccontando i gradini che ha percorso. Il liceo Dante Alighieri a Rimini, una laurea magistrale in Strategia all’Università di Pisa nel 2006 e, immediatamente dopo, l’occasione, colta al volo, per approdare nel regno Unito. Gli viene offerta da una grande azienda italiana, il gruppo Sofidel (brand Regina), per occuparsi del marketing nella nuova sede britannica da poco aperta a Swansea, in Galles. Nel 2008 comincia il dottorato in Strategic Management alla Cranfield School of Management, a circa un’ora da Cambridge e da Londra. E poi una ascesa che non si arresta.
Alessandro Giudici è Senior Lecturer in Strategy e direttore del Modular Executive MBA presso la Business School (Cass) di City, University of London, dove insegna Strategia nel dottorato di ricerca, nell’MBA, nel Master of Science e nel Bachelor e dove è membro del Consiglio di studi e di due Centri di ricerca, ovvero “Business Models and Technology” e “Digital Leadership.”
Se in questi giorni è stato premiato con l’ASFOR Award «Best Under 40 Professor» istituito in memoria del prof. Gianluca Spina (il preside della Business School del Politecnico di Milano morto nel 2015 travolto da una valanga sul versante svizzero del Gran San Bernardo insieme a tre amici), sempre nel 2020 per la sua attività didattica e di ricerca ha meritato l’inclusione nella lista “Best 40 Under 40 Business School Professors” assegnato da Poets & Quants, ovvero il ranking più prestigioso a livello mondiale, incassando il record storico delle nominations, quasi 200 (qui). In aggiunta, quest’anno il gruppo di docenti di cui fa parte Giudici ottiene il secondo posto al mondo per l’insegnamento di Corporate Strategy nell’MBA (qui), dopo essere stato costantemente nella Top 10 nel corso dell’ultimo decennio e nel 2017 in pole position. E quando si parla di Cass occorre ricordare anche l’altra riminese (di Novafeltria), la professoressa Elena Novelli.
Vuole spiegarci qualcosa di più del suo lavoro di professore associato in strategia d’impresa, che insegna a vari livelli? Nella motivazione dell’ultimo prestigioso premio si parla di “ricerca di eccellenza sui temi dell’innovazione negli ecosistemi imprenditoriali, con particolare attenzione all’innovazione sociale”.
Come ricerca mi occupo del ruolo dei corpi intermedi nell’innovazione, quindi associazioni di impresa, incubatori, acceleratori ed altro, e in particolare di questo tipo di «attori» quando rivestono una missione sociale, quindi con enfasi sull’impatto sociale. Spazio dall’Italia, dove collaborono con alcuni centri di ricerca universitari e associazioni di categoria, che all’estero in quanto studio questo tipo di ecosistemi anche nell’Africa sahariana in collaborazione con la Fondazione E4Impact (qui). Al Meeting Rimini di quest’estate, per esempio, pur rimanendo in regia, ho contribuito ad organizzare un workshop su questi temi con ospiti di primo piano (qui).
Per permetterci di capire ancora meglio, esiste a Rimini un esempio che potrebbe indicarci di «attore sociale»?
Sì, direi “Primo miglio” (qui), un acceleratore che ha, appunto, uno scopo sociale e una grande enfasi sull’innovazione ad alto impatto. Non ho rapporti diretti, ma li seguo con attenzione a distanza. Mi sembra siano un attore con un grande potenziale per lo sviluppo di innovazione sostenibile nella provincia riminese e oltre.
Sempre nella motivazione del premio si legge: “forte legame con l’Italia, intrattenendo collaborazioni di ricerca con diversi centri di eccellenza nazionali sull’innovazione sociale”. In cosa si concretizza questo legame con l’Italia?
Oltre alla Fondazione E4Impact – che fa riferimento ad Altis, cioè l’Alta Scuola di Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano ed è partecipata da importanti realtà aziendali italiane come la famiglia Moratti e non solo – ho iniziato recentemente una collaborazione sui temi di innovazione sociale digitale con BLISS Digital Impact Lab dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (qui). Ho inoltre progetti attivi con Legacoop nazionale – in particolare Coopfond – per quanto riguarda l’iniziativa di innovazione sociale Coopstartup (qui) e, in passato, ho svolto ricerche sul network di incubatori sociali Impact Hub – nato a Londra, poi diffusosi in oltre 100 città, incluse varie italiane (qui) – e su iniziative di Compagnia delle Opere. Nel 2014, ho anche contribuito a scrivere un paio di capitoli centrali del report dell’OCSE sulle politiche italiane in supporto alle piccole medie imprese e all’imprenditorialità (qui). Da un punto di vista più applicato, insieme ad alcuni amici sempre romagnoli, abbiamo creato a Londra una start up innovativa ad alto contenuto tecnologico nel campo alimentare e della nutrizione personalizzata che da febbraio di quest’anno ha sede anche a Rimini, come base per i primi test di mercato in Italia. Investiamo in ricerca e sviluppo in Italia però sin dalla prima metà del 2017, quando fummo selezionati come finalisti nel programma Foodtech Initiative di Banca Intesa e presentammo pubblicamente ad una platea di investitori a Milano all’evento Seeds & Chips.
Come si chiama e che attività svolge?
Si chiama “Libraway – Mangiare Intelligente Quotidiano” e fa parte del registro delle startup innovative. Nel 2018, quando eravamo ancora nella fase di prototipizzazione tecnologica, arrivammo in finale a “Nuove Idee Nuove Imprese.” E’ una start up a vocazione sociale supportata da investitori internazionali e per statuto parte dei profitti verranno donati a imprese sociali nel campo nel quale opera, che è quello alimentare. Per rimanere in tema, in questi giorni stiamo anche contribuendo, nel nostro piccolo, alla Colletta Alimentare, in linea con i nostri valori aziendali (qui).
Scendiamo un po’ più sul versante della motivazione personale che è alla base del suo lavoro: su cosa ha puntato per arrivare dove è arrivato e quale obiettivo si dà ogni giorno?
Vengo da una famiglia numerosa, con cinque figli e risorse limitate. Ho iniziato, un po’ per necessità, a lavorare come cameriere in un hotel a Bellariva facendo tutta la stagione estiva quando avevo 14 anni, continuando poi in un ristorante a Marina Centro fino al capodanno subito dopo la laurea, prima di sposarmi. Sono sempre stato convinto che studiare seriamente fosse l’unico modo ragionevole per aprire e perseguire opportunità migliori. Come accademico, studiare alla frontiera dei vari campi di mio interesse e tenermi costantemente aggiornato rimane la priorità, insieme con una forte passione per la qualità della didattica. Ho incontrato – e cercato pro-attivamente – tanti ottimi maestri lungo il viaggio, sin dalle scuole dell’obbligo, passando dal liceo e poi all’università. Direi inoltre che l’attenzione ai dettagli quando si lavora e far sì che si possa lavorare bene nei team, coi miei studenti, i colleghi o i collaboratori in azienda, è fondamentale, soprattutto laddove si ha a che fare con progetti distribuiti in diversi paesi. Da soli non si va da nessuna parte, è un gruppo che opera in armonia a fare la differenza.
Come legge, dal suo osservatorio, lo tsunami che si è abbattuto sul mondo con la pandemia da Covid-19? E’ ottimista o pessimista?
Sono ragionevolmente ottimista – almeno nel medio periodo dalla primavera in poi – sulla graduale uscita, dal punto di vista sanitario, da questa sfida. Certamente la pandemia lascia sia in Italia che in UK una crisi economica e sociale disastrosa, che avrà strascichi nel lungo periodo e impatto generalizzato, e dunque anche sui finanziamenti alle imprese sociali, giusto per restare in tema. Penso all’esplosione di richiesta nei banchi alimentari, anche in UK. Nei prossimi due-tre anni avremo a che fare con una sfida di natura strutturale che interesserà l’economia. Uscirne sarà lento e faticoso. Ma come tutte le crisi, anche quella di cui stiamo parlando porta con sé risvolti positivi.
Quali?
L’isolamento nel quale il Covid-19 ci ha costretti ha fatto chiaramente capire quanto sia decisiva l’innovazione digitale. Perché la scuola e, in parte minore, l’università un po’ in ogni paese stanno soffrendo particolarmente? Perché non erano pronte, anche se questo vale in diversi altri campi. L’Italia inoltre sconta ritardi rispetto alla innovazione digitale che vengono da lontano e questi nodi il Covid li ha accelerati e portati al pettine. La sfida è chiara: occorre aiutare le imprese ad entrare nell’era digitale, che sarà pervasiva come lo sono stati l’elettricità o il motore a vapore nei due secoli precedenti. L’Italia ha perso in buona parte il primo treno dell’innovazione digitale nei primi anni Duemila, quello che, semplificando, si potrebbe definire delle ‘app’ o, più in generale, delle innovazioni sul lato della domanda e dell’interazione con gli utenti e clienti. Adesso siamo nella seconda fase del digitale che interessa maggiormente il lato produzione e va detto che, a livello di tecnologie produttive e macchinari avanzati un po’ racchiusi nel concetto di ‘Industria 4.0’, l’Italia ha ancora notevoli punti di forza. La pandemia però è stata un po’ come uno schiaffo che ha fermato tutto, oltre che messo a nudo le debolezze strutturali del nostro Paese, a partire da una politica estremamente litigiosa e da una burocrazia troppo spesso ingessata.
Lei è partito da Rimini, dove ha studiato al liceo Dante Alighieri, anche se in anni non proprio ravvicinatissimi. Però ci torna quando può, ha rapporti di lavoro… Insomma, conosce. Rimini è una destinazione turistica definita “matura”, che si arrovella da tempo per escogitare percorsi di rilancio e riqualificazione. La competizione con altre destinazioni turistiche è un tema all’ordine del giorno. A suo parere su cosa bisogna fare leva per continuare ad essere una città attrattiva, capace di rinnovarsi?
Premetto che non padroneggio tutte le dinamiche socio-economiche locali perché vivo all’estero ormai da 14 anni, anche se torno nella mia città praticamente ogni periodo di vacanza e, ovviamente, seguo lo sviluppo della startup. Quest’estate ho speso due mesi a Rimini e ho incontrato tantissime persone. Mi sembra di poter osservare che Rimini sia una città dove si vive ancora molto bene e dove la qualità media della vita rimane relativamente alta rispetto a tante altre città sia in Italia che all’estero. Questo spinge un po’ a sedersi, a non volere cambiare. O, meglio, a volerlo fare molto lentamente e dopo periodi molto lunghi di dibattiti che mettono al primo posto la polemica politica pro o contro, piuttosto che la risoluzione dei problemi in ottica condivisa. La crisi del 2008 e quella del Covid hanno lasciato e stanno lasciando il segno, anche pesantemente, ma non a sufficienza per fare capire ai riminesi – in primo luogo a chi si occupa di politica, alle associazioni di categoria, alle imprese – che bisogna cambiare passo. Lungi da me generalizzare troppo, negli ultimi anni ci sono stati certamente attori che hanno provato a cambiare passo – penso ad alcuni operatori balneari o alcune strutture ricettive, penso a certe iniziative scolastiche come l’hackathon digitale della mia ex scuola Karis – ma manca ancora, spero di sbagliarmi, una visione e un supporto istituzionale ‘eco-sistemico’. Ad esempio, è stato chiaro sin da subito all’inizio della pandemia che l’estate avrebbe avuto il freno tirato e, per quanto in un quadro di iniziative di supporto contingente perché era giusto provare a non lasciare indietro nessuno, sarebbe stata un’occasione ‘pit-stop’ per investire in vista dei prossimi dieci anni. Invece, per quel che ho visto, letto, sentito, mi sembra che l’approccio sia stato troppo spesso quello di puntare a sopravvivere, di ‘aspettiamo e vediamo come andrà… Questo modo di reagire ad una crisi così devastante ha chiaramente delle motivazioni pienamente comprensibili, visto l’effetto tsunami di cui parlava prima – sono simpatetico – ma si rischia di aver perso un’opportunità storicamente inusuale per rinnovare le strutture, le infrastrutture, i sistemi di interazione con i turisti, ecc.
Da questo punto di vista, prima ancora che per le presenze che, per fortuna, sembra siano state migliori di quanto si temesse in primavera, l’estate è stata un po’ deludente: ha prevalso ancora una volta una visione di breve periodo, problema che Rimini si porta dietro, insieme ad una buona parte dell’Italia, da qualche decennio. E, sia chiaro, chi pagherà le conseguenze più rilevanti di questo approccio sono e continueranno ad essere i più giovani perché la mancanza di lavoro qualificato e pagato dignitosamente nonché le pressioni ad andarsere rischiano di intensificarsi ulteriormente. Questo mentre i ‘senior’ continuano a litigare di politica spicciola, con la p minuscola, come se il dibattito fosse rimasto fermo ad un punto ideologicamente non ben precisato tra fine anni ’70 e metà anni ’90.
E cosa si dovrebbe fare?
Prima di tutto smettere di litigare a tutti i livelli e collaborare, localmente e con le città intorno a Rimini. Smettere di vedere tutto tramite il prisma del ciclo elettorale e dell’appartenenza al colore di partito. Come se ai giovani, peraltro, questa politica da stadio interessasse e come se, nel 2020, di fronte alle conseguenze dello tsunami pandemico, certe polemiche avessero alcun valore. La Romagna, a partire dalla Riviera, è un’unica destinazione turistica e come tale va concepita fino in fondo. Se continua a concepirsi in piccole roccaforti, non ci si può poi meravigliare che l’offerta tenda ad atrofizzarsi e la domanda a rattrappirsi. Auspicherei – magari è una pia illusione – un impegno immediato per lavorare in ottica ecosistemica: riqualificazione delle strutture ricettive, infrastrutture di collegamento, investimenti in nuovi modelli digitali… Banalmente, da turista…Ci sono aspetti di Rimini che sembrano essere rimasti agli anni ‘80-90. Benissimo le rotonde per la viabilità, ma poi l’asfalto delle strade tende ad essere pessimo oppure in lunghi tratti del lungomare fa oggettivamente timore andare la sera con la famiglia anche in piena stagione, a causa della mancanza di illuminazione adeguata.
Molto è stato fatto nel centro storico, qualche tratto di lungomare…
Sì, sono stato più volte nel centro storico e a me è piaciuto molto: mi sembra moderno, un intervento valido. Un applauso: è un piacere visitarlo ogni volta! Eppure anche su questo polemiche infinite, per lungo tempo, così come sulle varie proposte relative ai ‘beni culturali’. Per quanto mi riguarda, tendo ad essere d’accordo con chi dice che Rimini e la Romagna abbiano un potenziale turistico incredibile legato all’arte, alla storia, all’enogastronomia sfruttato se non in minima parte. Sono stato poi sul nuovo pezzo di lungomare quest’estate. Mi sembra potenzialmente interessante: non mi è chiaro, però, né quale sarà il vero valore aggiunto di lungo periodo – che dovrà riflettersi non solo nell’aumento del numero di turisti, ma anche sulla capacità media di spesa, altrimenti rischia di essere solo maquillage – né quali siano le tempistiche reali di completamento. Mi sembra di aver colto che già arrivare a questo punto abbia richiesto anni di discussioni e, nuovamente, polemiche. Se si riuscisse a completarlo in tempi relativamente rapidi, potrebbe rivelarsi un ottimo investimento. Se ci vorranno altri dieci anni – per non dire dei rischi che rimanga a metà – sarà un’altra occasione persa perché la domanda di turismo, nel frattempo, avrà già manifestato nuove esigenze. In strategia, la formulazione è importante, ma l’implementazione e soprattutto il timing sono tutto. In ogni caso, sono dell’idea che sia meglio ‘fare’, cioé provare a fare qualcosa di ‘bello’, almeno nelle intenzioni, piuttosto che stare fermi, perché ormai stare fermi vuol dire rimanere ulteriormente indietro.
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