Androcchio, la Fata Lisina dalle coop bianchine, il bagnino Pizzo(par)lante: benvenuti nel Paese dei Balocchi

Androcchio, la Fata Lisina dalle coop bianchine, il bagnino Pizzo(par)lante: benvenuti nel Paese dei Balocchi

Io vivo nel cuore del paese dei balocchi. Vicino al ponte di Tiberio, Androcchio mi ha realizzato un parco archeologico. Ecco un paese, come piace veramente a tutti! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili! Ed ecco i suoi protagonisti.

Vivere nel Paese dei Campanelli è un vero supplizio per chi ama bussare.
Alessandro Bergonzoni

Sono sicuro di vivere nel Paese dei Balocchi. È a fianco del Paese dei Barbagianni, dove si discerne il famoso campo benedetto, detto da tutti la Carim dei miracoli. Là dove un piccolo azionista fa una piccola buca e ci mette dentro per esempio uno zecchino d’oro, poi, con l’aiuto del Gatto e della Volpe, si ricuopre la buca con una oscura cupola, la si annaffia con qualche secchia di linea di credito, ci si getta sopra qualche falsa comunicazione e ci si ritrova con un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro. Poveri azionisti! così dolci di sale da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi come si seminano i fagioli e le zucche.
Io vivo nel cuore del Paese dei Balocchi, una vera cuccagna. In quel paese non si studia mai. Vivo nella via, tra le giogaie di stradelle, dove passa e si distende il trenino che mena i turisti fin dentro ai confini di quel fortunatissimo borgo che fu di Fellini. L’omino di burro che lo guida, come ho già raccontato, dice sempre ai turisti ammonticchiati gli uni sugli altri, come tante acciughe nella salamoia: «E in questo muralesch vedete nel film “La voce della luna” Roberto Benigni e il maestro Fellini».
Non è Fellini: è Paolo Villaggio! Ma, grullerello che sono! inutile dire che smettere di studiare e voltare le spalle ai libri, alle scuole e ai maestri, per darsi interamente ai balocchi, agli eventi e divertimenti, non può che portarci a una fine disgraziata. Povero grullo che sono… Dove vuoi invece trovare un paese più salubre?
Proprio perché ci si è liberati dalla noia dei libri e delle scuole, Castel Sismondo è diventato un castello “medioevale” e il Teatro Galli il “Teatro di Verdi”. Androcchio deve aver venduto l’Abbecedario che Bronzetto gli aveva comprato. L’avrà fatto per tirar su il teatro delle burattine drag-queen e delle moto burasca.
Io vivo nel cuore del paese dei balocchi. Vicino al ponte, Androcchio mi ha realizzato un parco archeologico, “un pezzo del progetto” sul cuore della citta, “un’arena delle arti”. Nel mezzo un basamento sul quale stanno alcune pietre benissimo come topi in una forma di cacio parmigiano. Non ci sono che i giovani talenti del Comune e di Anthea che sieno capaci di tali sacrifizi! Una tale maraviglia che ora all’intorno veggo sette, dicansi ben sette panchine – sette come i peccati mortali – sulle quali sette stan scritte a lettere cave come il vuoto: PONTE DI TIBERIO 14 d.c.
Per aver ragliato così bene, sonoramente e diffusamente con quella c. per Cristo, si è assunto il peso Succi di Anthea, anzi succi. D’altra parte deve aver intuito che 14 anni dopo Cristo doveva prima essere successo qualcosa di grave.
Nel cuore del Paese dei Balocchi, nel Borgo, c’è solo una scuola dell’infanzia, ma ora la esternalizzano. Nel Paese dei Balocchi nidi e materne sono già in mano per il 40% ai privati, del 60% in mano pubblica si vuole arrivare alla gestione del 40%, quindi di riffa o di raffa siamo destinati al 64% della privatizzazione. «Abbasso Larin Metica» (invece di l’aritmetica) ha esclamato l’assessore Morollignolo che ha fatto soprattutto la scuola dove insegnano a diventare leader.
Grazie a questi consigli e a queste premure vedrete, miei cari e piccoli lettori, che domani anche il vostro nipotino potrà orgogliosamente affermare: «tanto lavoro di gniasi, morroli e succhi e vedi che anche me un giorno parlare e scrivere bello. Io capisce cose che tu dice e scrive, ora. Forse domani perfect day… tanimodi».
Vivo nel quore di san guliano accanto al ponthe di tibberio. Lì non vi sono scuole; lì non vi sono maestri; lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Si passa la vita baloccandosi e divertendosi. Figuratevi che le vacanze d’estate cominciano col Capodanno più lungo del mondo e finiscono coll’ultimo di dicembre di Borgo Natale. Vivo in un paese dove chiunque è padrone di fare il chiasso dalla mattina alla sera e dalla notte all’alba. Lì non vi sono regole, ma ordinanze di divertirsi.
Ecco un paese, come piace veramente a tutti! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!
Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli abbevazzati dappertutto. Eventi costì e osterie colà. Chi gioca a tombola, chi alle piastrelle dei “suranom” da attaccare al muro, chi al parcheggio dei quattro cantoni, chi va in velocipede sulle bislacche piste o percorre come un razzo in senso vietato le stradelle, chi sta sopra alle pietre di Istria; i carabinieri municipali fanno a mosca-cieca per non vedere tavoli che occupano marciapiedi, piazzette e passi carrai, quegli altri si rincorrono con seggiole, tavolini e botti gigantesche che piazzano dove capita; chi recita, chi canta, chi fa i salti mortali, chi si diverte a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria; chi manda il cerchio, chi ciondola col calice in mano vestito da fratello del generale e va dicendo «lei non sa chi sono io»; chi ride, chi urla, chi chiama, chi batte le mani, chi fischia, chi rifà il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo, chi predica e chi conciona; chi progetta parcheggi allagabili e chi beve birra quanto pesa; chi sui palchetti di legno fa il dj-set; chi canta e chi balla; chi fa la piadina e chi la mangia; chi vende e chi beve; una sera è p.assaggi di vino e l’altra è la festa de’ borg; insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato, una gran baraonda da doversi mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi.
Chi più felice, chi più contento di noi? In mezzo ai continui spassi e agli svariati eventi, «emozioni ed esperienze culturali e sociali per city users e cittadini», le ore, i giorni, le settimane, passano come tanti baleni.
Pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum: con gran colpi e tonfi di grancassa nei giorni scorsi è arrivato anche il carotiere di Mandolino Jones & C., sondaggio archeologico preliminare agli immani lavori che non alzeranno le banchine mai collaudate, né i camminatoi perennemente sommersi contigui alle due mura per lato che conducono fino al detto Ponte di Tiberio, ma che innalzeranno ponti, terrazzi e scale a zigo zago. Una baracconata non troppo dissimile dallo scenario della miniera dei seguaci di Kalì del tempio maledetto: se l’innovazione nel Paese dei Balocchi ha un nome deve essere “Luna park”. Insomma, una cretinata illuminata da lampi d’imbecillità.
Che fare? Diramare un altro dei sensati comunicati del Coordinamento degli/delle abitanti del Borgo S. Giuliano?
No, miei cari e piccoli lettori, non mi voglio più lasciare trappolare dalla protesta. Da oggi in poi voglio mutar vita. Voglio essere la consolazione di Androcchio e financo della Fata Lisina dalle cooperative bianchine e nientepopodimenoché del Bagnino Pizzo(par)lante.
Sarebbe ora che diventassi anche io uno svogliato, un bighellone e un vagabondo, molto monello e mal avvezzato.
Son stufo di fare la personcina per bene, come ce n’è tanti. Basta fare il radical-chic con qualche grillo per il capo. Pensare mi par fatica. Questa vita mi è venuta a noia.
Voglio rendermi mansueto e ragionevole: voglio fare il burattino di legno e se e quando mi garba anche il ciuchino abbellito da un magnifico paio di orecchi asinini.
Voglio prendere in parola e non mancare all’invito della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio che dice testuale testuale: «Il progetto ha l’ambizione, peraltro condivisa, di riqualificare quella parte della città di Rimini, attualmente non molto utilizzata dai residenti e dai visitatori. Un insieme organico di passerelle, sia aeree che galleggianti, caratterizzerà la comunicazione pedonale tra la destra e la sinistra del porto canale. L’intervento ha la delicatezza di introdurre un semplice linguaggio architettonico costituito da elementi naturali come il ferro e il legno, che andranno a coniugarsi armonicamente con il fantastico scenario di questo scorcio della città nella quale si inseriranno coerentemente con gli elementi emblematici che la caratterizzano: il ponte di Tiberio, le mura Malatestiane ed il porto canale».
Hai ragione, Soprintendente, hai ragione da vendere e io terrò a mente la lezione che mi hai data.
Mi sono messo in capo anche io di utilizzare meglio il mio terrazzino: lo aggetterò con un balcone sospeso in aria con calpestio in legno e parapetto in acciaio zincato per adoperarlo come palco per eventi e piccoli concerti. Sfonderò la mura per realizzare un paio di finestrelle per «proiettare» me e i miei graditi ospiti «in affaccio sul Canale in modo da condurre ad una graduale scoperta visiva e sensoriale del Ponte di Tiberio». Realizzerò una rampa in discesa con travi in acciaio inox e doghe in legno che mi consentano di raggiungere con la massima velocità e “depositarmi” sulle sottostanti zattere per dehor.
Voglio essere generoso! Mi dà un po’ uzzo in casa il tubo della caldaia e voglio partecipare anch’io alla generale riqualificazione. Lo appoggerò esternamente che è come dire lo esternalizzerò. Lo so, il mio è solo un piccolo budello di rame di un metro, un metro e mezzo, un minuzzolo rispetto al tubone che corre tra le volte a crociera e i marmi di Palazzo Gambalunga. Lo so, la Gambalunghiana è del Seicento e le mura su cui poggerò il mio tubino sono solo della seconda metà dell’Ottocento, ma bisogna avvezzarsi a quel che si ha e non esser schizzinosi.
Grazie, Androcchio, che mi hai fatto mettere giudizio per l’avvenire. Vedrai che anche i miei vicini di Via Marecchia – Ennio, Sara, Giorgia e Manila – seguiranno il mio esempio e faranno prendere un aspetto nuovo e sorridente a questa parte della città così poco utilizzata.
A tempo avanzato, «per inserirci più coerentemente con gli elementi emblematici» che caratterizzano lo scenario del borgo, quando il tempo è bello, trasferiremo per strada anche le nostre sale da pranzo con la stessa buona volontà d’ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, che abbiamo appreso dai bravi osti del Paese dei Balocchi. Là dove le tasse d’occupazione di suolo pubblico si pagano col sorriso, mica cogli euri.

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