Rimini va all'indietro e non gira la testa verso il mare. L'occasione per farlo può essere il doppio anniversario che nel 2017 e 2018 coinvolge Sigismondo Pandolfo Malatesta. Purché l'amministrazione comunale smetta di accentrare la cultura nelle proprie mani. Politicamente parlando Rimini è tornata ai tempi in cui comandava tutto il Pci. Serve un concorso internazionale per la gestione del Galli, che insieme al Fulgor ha bisogno di programmazioni di alta caratura. Mentre oggi fanno e disfano il podestà della Costa e l'assessore alle arti. E poi il Meeting, la Fondazione Fellini, l'università. Intervista al professor Paolo Fabbri.
Dici Paolo Fabbri (nella foto) e pensi a Fellini, ad una conoscenza quasi sapienziale del Maestro, ma anche alla Fondazione Fellini di cui è stato direttore. Pensi al fratello Gianni e al “Paradiso”. E pensi all’università, al professore di semiotica (alzi la mano chi sa cos’è senza correre a consultare wikipedia), attualmente alla Luiss di Roma. Pensi ad una docenza dal respiro internazionale, a centinaia di articoli disseminati su riviste scientifiche e culturali, volumoni e volumetti che non si contano. Troppo vero? Sarà per questo che le istituzioni di Rimini non se lo filano. Non lo considerano una risorsa per la città.
A Palazzo Garampi hanno perso il numero di telefono di Paolo Fabbri? Chiusa la Fondazione Fellini senza tanti complimenti, né il sindaco e né l’assessore alle arti (alle che? Un attimo solo che arriviamo anche a lui) bussano alla sua porta, anzi i rapporti sono, come dire, un tantino compromessi. Proprio per il modo in cui è terminata la vicenda Fondazione: “Non scendo nei dettagli perché sarebbe pietoso, ma al momento della chiusura della Fondazione l’assessore non si è comportato troppo bene con me”. Fine. “Ma non voglio avere a che fare col nostro assessore alla cultura, posso dirglielo senza nessuna difficoltà, e d’altra parte lui non mi pare faccia nessuno sforzo per cambiare la situazione, forse perché così lui e il sindaco hanno la possibilità di continuare a fare quello che vogliono, senza nessuno che dia loro fastidio…”
(Af)Fondazione Fellini. Perché partiamo da qui nel rendicontare una lunga e piacevole conversazione col professore? Perché quando suoniamo al campanello di Paolo Fabbri, lui ha appena ricevuto una telefonata importante. C’è qualcuno a Rimini che sta lavorando al doppio anniversario malatestiano. Un eventone, anzi un doppio eventone: nel 2017 cadono i 600 anni dalla nascita (Brescia, 19 giugno 1417) e nel 2018 i 550 anni dalla morte (Rimini, 9 ottobre 1468) di Sigismondo Pandolfo Malatesta (e anche Rimini 2.0 è un po’ in agitazione, avendolo come presenza assai autorevole nella testata). E allora la mia domanda da angioletto con le corna è stata: l’ha chiamata Pulini per chiederle di coinvolgersi? “No, no…” e il seguito è stato già scritto. Senonché il professore qualcosa lo aggiunge: “Il giorno in cui sono andato via dalla Fondazione ho detto: ‘guardate che i disegni di Fellini, che valgono un capitale, soprattutto quelli del primo periodo sono realizzati con pennarelli abbastanza poveri e quindi stanno sparendo. Io mi ero preoccupato di chiamare l’Opificio delle pietre dure di Firenze (si occupa del restauro delle opere d’arte, ndr) che era disposto a restaurarli, ma …”
Ma? “L’hanno presa subito male, e lì per lì mi hanno detto che i disegni stavano benissimo, poi si sono accorti della realtà e finalmente sono tornati all’Opificio”. C’è stato anche un altro episodio: “L’amministrazione comunale ha affidato ad un avvocato la stima di tutti i disegni di Fellini. Ma come? Io sono sicuro che alcuni di quei disegni non sono di Fellini, ci sono casi in cui è evidente che non sono suoi, però dissi agli amministratori: ‘parlatene anche con l’ex archivista della Fondazione e studioso di Fellini’ (Giuseppe Ricci, ndr) che è non bravo ma bravissimo… Il quale, col garbo che lo contraddistingue, ha confermato che su alcuni disegni il dubbio c’è. Il che significa che è stato dato un valore a quei disegni senza curarsi della attribuzione. Anche in questo caso l’hanno presa male”. Come se lo spiega questo atteggiamento indispettito dei pubblici amministratori? “Io penso che in generale i servizi comunali siano destinati naturalmente ad accettare le opinioni, i suggerimenti, le esigenze dei cittadini, mentre attualmente sembra di dare fastidio ad una gestione molto accentratrice”.
Paolo Fabbri tira in ballo anche un altro fatto, che definisce “clamoroso”: “E’ stato poco notato, è passato in silenzio, ma Pulini ha accettato di essere rieletto solo dopo che hanno cambiato il suo assessorato da “cultura” in “alle arti”. Le arti sono molto importanti ma non sono la cultura… io trovo sbalorditivo che abbiano compiuto questa trasformazione senza chiedere un’opinione a nessuno, è stato un colpo di mano”.
Non si può non chiedere al professore anche un’opinione sulla chiusura della Fondazione. “A me sembra sia stata una pessima idea”. Il sequel lo si può leggere più sotto.
Quel fegataccio di Sigismondo. Come vede Paolo Fabbri l’occasione del doppio anniversario di Sigismondo Mandolfo Malatesta? Prima una pennellata storica. Nella nostra chiacchierata Fabbri si rifà alla “crociata inesistente” della quale ha scritto Silvia Ronchey. Nel 1464 Malatesta si mette a capo della crociata per liberare Costantinopoli, caduta nelle mani del sultano Mehmet. Salpa da Rimini con un bel numero di cavalieri, cavalli e balestrieri. L’alleata Repubblica di Venezia non offre l’apporto promesso e quando Sigismondo vuole tentare, nonostante tutto, di prendere Mistrà, i veneziani temporeggiano e si defilano. Parte l’assedio ma la supremazia dei turchi, la mancanza di rifornimenti e munizioni dei crociati, più una terribile epidemia di febbre, fanno decidere Malatesta alla ritirata. Vanno storte diverse cose, Pio II, artefice della crociata, muore. A Mistrà Malatesta trova le spoglie di Gemisto Pletone, che porta a Rimini per custodirle nel Tempio Malatestiano, cammina sulla tomba di sua zia, Cleopa Malatesta, che però non farà il viaggio di ritorno e rimarrà nella terra del sultano.
Quel fegataccio di Sigismondo ha organizzato una grande impresa, al di là degli esiti. “Io dico: cogliamo l’occasione dell’anniversario per mettere in piedi un grande evento sull’Adriatico, rifacciamo il suo viaggio, riempiamolo di valenze storiche, culturali, geografiche, turistiche, coinvolgendo i diversi territori che ha toccato, dalla Croazia alla Grecia”, dice Paolo Fabbri. “Sarebbe molto meglio che fare, come temo invece succederà, il solito percorso fra i quadri e le sculture di Malatesta, rispolverare la guerra con Urbino, e poi Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, che va benissimo, però…”. Però sempre la solita minestra.
Lo dice ancora più chiaramente: “Voltiamo le spalle alla montagna e guardiamo finalmente al mare. Ci sono le barche, si può organizzare di tutto, da una crociera ad una gara sportiva, turisticamente avrebbe un peso, e forse si potrebbero trovare anche sponsor adeguati fra chi opera, anche in casa nostra, nel settore della nautica”. Diciamolo ancora una volta: “Bisogna girare la testa verso l’acqua, mentre temo che inevitabilmente la gireranno verso la montagna”.
E’ un paradosso ricorrente, però: Rimini, città di mare, fa molta fatica a girare la testa verso il mare.
“Non è la sola”, risponde Fabbri. Un po’ lo stesso destino ci accomuna a Ravenna, “anche se loro erano la nostalgia d’Oriente, come dice Montale. Però un po’ di nostalgia d’Oriente ce l’abbiamo anche noi”. Come dire: per una volta lasciamoci guidare da Malatesta, che fu anche gentiluomo veneziano, prendiamo il largo pure noi. Portiamo a corte qualche intellettuale, non solo yes man. Al tassello del mare Paolo Fabbri ne incastona un altro: “Celebriamo l’anniversario parlando del Rinascimento non del Medioevo, non si ritiri fuori ancora Francesca da Rimini, per pietà, cioè il Medioevo pieno. Sigismondo è Rinascimento… e puntare sulla dimensione rinascimentale dovrebbe piacere anche a Gnassi”.
Fulgor e Teatro Galli, per farci cosa? “Conosco l’esperienza di Cattolica, dove ho diretto per qualche anno il Mystfest, ovvero il bellissimo teatro progettato da Cervellati, uno dei più bei teatri d’opera in zona. E poi? Lo gestisce un funzionario comunale in collaborazione con l’Ert regionale”. Funzionari, seppur bravi, anche per il Fulgor e il Galli? “Nel caso del Fulgor si affideranno alla Cineteca di Bologna? Come saranno gestite strutture costate una fortuna? Tutto in casa o con qualche apporto di caratura nazionale e internazionale? Il problema sarà infatti quello di una conduzione originale, all’altezza, di prestigio tale per cui possa approntare cartelloni in grado di richiamare molto pubblico”. Così, pari pari, Paolo Fabbri va subito al sodo. Se gli chiedete cosa farebbe lui, la risposta è secca: “Un concorso internazionale per trovare un direttore adeguato al Galli, altrimenti ….”, sorride e completa: “… potrebbe avere la meglio il Teatro Tiberio che offre alcune delle migliori produzioni nazionali e internazionali con collegamenti in diretta dall’Opera di Parigi, piuttosto che dalla Royal Opera House di Londra o dal Met di New York”. Non solo. “La concorrenza è forte e a poco più di mezz’ora da Rimini abbiamo il teatro polettiano di Fano, il Rossini Opera Festival di Pesaro, Riccardo Muti a Ravenna, insomma, bisognerà sgomitare e il risultato non sarà per nulla scontato, anzi”.
Paolo Fabbri azzarda: “Magari il sindaco saprà già come fare, avrà pensato a tutto, ci avrà riflettuto la notte, e allora se è tutto deciso ce lo vorrà svelare? Ma un primo cittadino è quello che ci pensa di notte, a casa sua, quello che farà coi soldi dei cittadini, oppure è colui che lo decide con la città che amministra? Vorrei che si potesse discutere di cosa si può fare. Io non penso che possano programmare l’attività culturale di una città Gnassi, Pulini e Piscaglia, come avviene attualmente. Ci sono poi anche altri segnali che vanno in questa direzione: il non aver rinnovato il direttore della biblioteca Gambalunga e dei Musei comunali è una scelta che dice … bastiamo noi amministratori. Vogliamo tirarla fuori la parola? A mio parere c’è un’assenza di democrazia culturale in questo momento a Rimini, insieme all’idea renziana ‘state buoni che gestisco io’, dovuta forse al fatto che si sentono competenti su tutto. Ma Gnassi lo è anche su cinema, teatro e opera lirica?”
Non si potrà dire che Andrea Gnassi stia con le mani in mano: “Assolutamente no. Per rotatorie, piste ciclabili, circolazione in generale, temi sui quali i cittadini sono molto sensibili, il sindaco ha fatto eccome. Va bene, siamo contenti, però la cultura o le arti domandano una competenza diversa dal sapere guidare la bicicletta. Ho detto molti anni fa che a Rimini sarebbe servito un podestà della Costa, che oggi c’è”.
C’è un difetto di democrazia culturale, che però c’è stato anche in passato. Cos’altro? Da quello che Paolo Fabbri esterna a proposito di Fulgor e Galli c’è anche la mancanza di un pensiero. “Il problema a Rimini, ma non solo per la verità, anche se da noi ultimamente si avverte forte, non è il cogitus ma il cogitamus, cioè un pensiero comune, condiviso: quanto meno su Fulgor, Galli e cultura in genere a Rimini si può, e si deve, fare un pensiero insieme… C’è poi la sensazione che le persone che potrebbero dire qualcosa vengano tenute a distanza, il fatto che manchino sollecitazioni dal basso deriva anche da una certa sfiducia: inutile proporre se poi non sei tenuto in considerazione e se eventuali critiche vengono prese malissimo o si ottengono reazioni infastidite”.
Fellini family. Quel che è successo lo scorso aprile con il divieto imposto dagli eredi di Fellini ad esporre i cosiddetti inediti di soggetto erotico, suggerisce a Paolo Fabbri due considerazioni. La prima. “Il mio suggerimento è semplicissimo: occorre affrontare il problema una volta per tutte, mettendo insieme i legali della famiglia Fellini e quelli del Comune. Se ogni volta che si utilizza del materiale che appartiene agli eredi o il nome di Fellini bisogna riconoscere dei diritti lo si faccia, ma per arrivare a questo occorre una definizione giuridica della questione”. La seconda. Come si è conclusa la querelle sugli inediti di cui sopra? Con una mostra saltata e un catalogo dal quale sono state strappate le pagine relative alla mostra. Il discorso torna per default alla Fondazione Fellini: “Senza Fondazione non si può fare ricerca e se non fai ricerca non ottieni risultati, e allora finisci per accomodarti sui luoghi comuni”. Del tipo? “Fellini è un bugiardo, un porcaccione e un vitellone. Il Comune avrebbe potuto giocare una carta importante in occasione della polemica sugli inediti erotici. Uno dei grandi scrittori di oggi, Milan Kundera, occupandosi di Kafka, che piaceva molto a Fellini, ha scritto che Fellini è il solo uomo che ha capito lo humor della sessualità. Se c’è una Fondazione che studia e fa ricerca, queste cose le sa e si possono spendere. Mentre oggi si fanno delle attività, ma fra ricerca e attività ci corre una bella differenza. C’è la convinzione a Rimini che Fellini lo conoscano tutti e che vada solo ‘sfruttato’ al meglio. Non è così. Fellini è un uomo complesso, ricco, di cui bisogna studiare le sfaccettature, con una reputazione internazionale che va continuamente coltivata.”
A passo di gambero. Come vede la Rimini odierna Paolo Fabbri? “Un famoso libro di Umberto Eco s’intitola A passo di gambero (Bompiani, 2006, ndr) ed è bellissimo. Diceva molto bene che l’Italia sta tornando indietro al passo del gambero. L’analisi è straordinaria e in un certo senso Rimini si comporta un po’ come tutta l’Italia, però ciascuno va indietro a modo proprio. Io risposi a Eco che ero d’accordo ma che si può andare a passo di gambero in due modi: indietro di schiena o voltandosi per vedere dove si sta andando. Ecco, Rimini ha il problema che va indietro di schiena”. Rimini – riprende Fabbri – sta cercando di rallentare questo andare indietro, l’arretramento. “Freniamo ma andando indietro. Dopo un lungo periodo in cui siamo stati una località di tendenza, da anni non è più così. Siamo stati sulla cresta dell’onda, poi è iniziata la discesa, che continua. Bisogna sapere che si può tornare su, ma per farlo è necessario girarsi e attuare le scelte giuste, tenendo presente che la prima difficoltà da fronteggiare è di tipo culturale, non economico. Fondamentale è che l’amministrazione comunale non invada il campo della società civile, non gestisca la cultura in proprio. Se un sindaco è convinto che sa solo lui e ci pensa lui, la città si impoverisce e infatti mi pare che la cultura della società civile, da non confondere col civismo in politica (che invece va per i fossi, ndr), sia oggi come ibernata a Rimini. Inoltre si nota la mancanza di persone all’altezza di raccogliere sfide, di guardare lontano”. Ghe pensi mi. “In Gnassi, come in Matteo Renzi, c’è il mito del fare, che è un mito berlusconiano. Silvio Berlusconi ha compiuto 80 anni e sta uscendo di scena ma vent’anni di berlusconismo in Italia hanno lasciato una traccia più profonda del ventennio fascista. E’ un paradosso, ma che si potrebbe argomentare senza fatica”.
Meeting, Pio Manzù e università. Che la città di Rimini si dibatta in una contraddizione di tipo culturale, secondo Paolo Fabbri lo attestano anche due realtà come il Pio Manzù (esperienza arrivata al capolinea) e il Meeting di Cl: “Il Meeting soffre della stessa dinamica dell’università, non hanno attecchito. Del calo di pregnanza culturale fa parte anche il Meeting, che invece per la sua valenza nazionale e internazionale avrebbe potuto essere uno sbocco di maggiore apertura per la città. Il Campus di Rimini invece è molto dipendente da Bologna, la gran parte dei professori vengono a tenere le lezioni e tornano a casa. Per sviluppare una progettualità comune e non viverla come un corpo estraneo ci vogliono dei referenti solidi e stabilmente incardinati a Rimini. Sono state fatte cose importanti, penso ad esempio al campo della moda, ma non basta”.
Siamo tornati come ai tempi del Pci: Totus Tuus. “Politicamente mi pare che a Rimini siamo tornati a quando il Pci aveva la maggioranza assoluta e comandava tutto lui. Le opposizioni, quella di Grilo e quella del centrodestra, si sono liquefatte”. Amen. Un bel casino. Però, tiriamoci su. Direbbe Fellini che pure “nell’aldilà non c’è quell’ordine che dice Dante ma c’è lo stesso casino che abbiamo sulla terra”.
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