Avviso ai ciceroni: non più Castellum Sismondum Ariminense ma “Museo Gnassi Fellini”

Avviso ai ciceroni: non più Castellum Sismondum Ariminense ma “Museo Gnassi Fellini”

Ci sono architetti riminesi che per entrare nelle grazie del sindaco affermano che il castello non è opera di Filippo Brunelleschi. E forse d'ora in poi per volontà gnassiana le guide turistiche che commentano l'opera di Piero della Francesca nel Tempio diranno: “nell'oculo sopra i due levrieri, belli come un seggio egizio, potete ammirare il Museo Gnassi Fellini”.

di Giovanni Rimondini

Ci sono architetti riminesi che per entrare nelle grazie di questo sindaco affermano che no, il castello di Rimini non è opera di Filippo Brunelleschi. Non fanno parola della attribuzione di Antonio Manetti, un contemporaneo amico del Brunelleschi, nella prima biografia del grande fiorentino: “Fece uno castello, fortezza mirabile per il signor Gismondo di Rimino”, e della presenza a Rimini dello stesso Brunelleschi, il più grande architetto di tutti i tempi, nel settembre ottobre 1438; chiedono le prove stilistiche dell’attribuzione brunelleschiana. Sono le terze prove, dopo quella storica e quella documentale, che non mancano e non possono nascondere.
Ebbene le prove stilistiche ci sono e grandiose: guardino alla rappresentazione luminosissima, di prospettiva cristallina, di grande equilibrio compositivo ed eleganza nei dettagli, una visione dentro un cerchio, che è anche un omaggio e un’interpretazione commossa di Piero della Francesca dell’opera del padre della prospettiva, l’immagine di Castel Sismondo nell’oculo sopra i due veltri nell’affresco del Tempio Malatestiano.

Nel Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo, l’immagine del Castello nell’oculo sopra i due veltri (levrieri)

E finiamola di usare il termine “contenitore” per definire Castel Sismondo. Contenitore è il foglio di carta o la scatola che avvolge un regalo, quindi è qualcosa di senza valore perché il valore è in quello che racchiude. Non è assolutamente il caso dei nostri monumenti, né dello spazio, del vuoto che definisce un edificio meglio della struttura costruita. Il Colosseo è vuoto dentro, così la grande Cupola di Santa Maria del Fiore, e il Colonnato di San Pietro a Roma, e infinite altre architetture, cosa vogliamo metterci dentro per farne dei contenitori? Chi usa il termine “contenitore” significa al mondo che non ha capito, che non può capire il valore di quello che sta definendo.

A proposito, l’affresco di Piero è stato strappato dal sito dove l’aveva dipinto il grande pittore, dalla esposizione alla luce è stato trasferito nel buio di una cappella. Sta per finire il secondo anno dei centenari di Sigismondo Pandolfo (1417-1468), corriamo il rischio di diventare una favola nazionale come quella della “riminizzazione”. Tutti ci aspettiamo che venga rimesso là dove Sigismondo Pandolfo l’aveva commissionato e dove Piero della Francesca l’aveva dipinto.
Nell’oculo dell’affresco di Piero sopra il seggio egiziano dei due cani, il castello di Rimini brilla con la stessa maestà della facciata dei torricini del palazzo del fortunato antagonista del Malatesta, la volpe di Urbino. Anzi no, è di gran lunga più bello ed ha una firma più prestigiosa di quelle di Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini.

Vi immaginate che d’ora in poi le guide che commentano l’opera di Piero nel Tempio diranno: “nell’oculo sopra i due levrieri, che Roberto Longhi definiva belli come un seggio egizio, potete ammirare il Museo Gnassi-Fellini”.

Fotografia: la veduta del Castello nell’affresco di Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano che riporta questi caratteri: CASTELLVM SISMONDVM ARIMINENSE MCCCCXLVI.

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