"Lasciando perdere la fuffa ambientalista che ha subito contaminato l’autocandidata Dem Emma Petitti, c’è una posizione maggioritaria, di tipo Gnassiano, fortemente indignata dallo sfregio che la cosa porterebbe al nostro mare, cioè all’incontaminata purezza d’un orizzonte che secondo alcuni deve ritenersi pari alle Tremiti, alle Canarie, alle Maldive eccetera". Bruno Sacchini controcorrente.
Il dibattito sulle Pale Eoliche mette allo scoperto quello che è il problema della nostra città e d’una governance che a quel problema dovrebbe istituzionalmente provvedere e invece niente.
Le Pale, dunque.
Lasciando perdere la fuffa ambientalista che ha subito contaminato l’autocandidata Dem Emma Petitti, c’è una posizione maggioritaria, di tipo Gnassiano, fortemente indignata dallo sfregio che la cosa porterebbe al nostro mare, cioè all’incontaminata purezza d’un orizzonte che secondo alcuni deve ritenersi pari alle Tremiti, alle Canarie, alle Maldive eccetera.
Mistificazione pari solo all’idiozia d’una “Rimini città d’arte” che, secondo alcuni, dovrebbe rivaleggiare con Firenze, Venezia, Roma e così via farneticando.
Ciò cui alludo è un deficit culturale che impedisce a noi e ai nostri governanti addirittura di “pensarci” come si deve.
Ma qual è l’anima che caratterizza una città così difficile e schizofrenica, così autolesionista e sburrona contemporaneamente?
Consistendo quest’anima nel suo modernismo futurista, nel fatto cioè d’essere sempre stata la città più “Americana” d’Italia per discoteche, libertà dei costumi e palingenetica, tumultuosa capacità di reinventarsi che di volta in volta l’ha definita Ostenda d’Italia, Miami e Las Vegas dell’Adriatico ecc. senza che questo riuscisse mai a concludersi in una immagine adeguata.
Per cui, fra le tante prese di posizione sulle Pale, l’unico che secondo me ha centrato la questione è l’architetto Marino Bonizzato.
Che ha genialmente invitato tutti ad approfittare dell’occasione per reimpiantare tra le Pale quell’Isola delle Rose che tanto clamore suscitò allora e tanta curiosità desta ancor oggi per la sua onirica visionarietà.
Come quel Grattacielo che negli anni ’60 mise il suo sigillo di americanità alla Riviera, come la sburronata cosmica d’un Arco d’Augusto che, nella sua grandeur, non serviva a nulla se non a evocare un sogno imperiale durato secoli.
Tutte sburronate, ovvero americanate, perfettamente in linea con una città che del saltare i fossi per il lungo ha sempre fatto il proprio emblema.
Si capisce allora come una nuova Isola delle Rose all’interno del progetto eolico sarebbe degno contraccambio per la realizzazione di un’opera perfettamente in linea con l’anima della città.
Lasciando perdere fuffe monumentaliste che, nell’illusione di “Rimini città d’arte”, hanno mummificato un centro storico ricostruito ad penem da geometri e capomastri del dopoguerra, senza nessuno scrupolo conservativo o restaurativo.
Con orrendi palazzoni simil-modernisti impiantati sopra, non accanto, le Mura Malatestiane, con un altrettanto inqualificabile Palazzo Fabbri eretto sulle rovine d’un Seminario del ‘600 ricco di statue e affreschi distrutti e sbriciolati dalla frenesia ricostruttiva delle giunte Frontiste dell’epoca.
Non sto demonizzando, sto solo facendo un’istantanea dell’ingordigia americanista di città e amministratori che oggi pensano di evacuare i loro sensi di colpa mummificando pedonalmente, ad esempio, un Ponte di Tiberio totalmente snaturato rispetto alla sua funzione veicolare.
Senza parlare dello sciagurato “com’era dov’era” del teatro Galli solo perché cosa fatta capo ha.
Tutto per un deficit culturale che ci rende incapaci di “pensare” la città, col rischio di buttare al vento un’occasione storica come le Balle Eoliche.
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