Basta bla-bla sul ‘dialogo interreligioso’. Finalmente un convegno coi fiocchi dell’editore Guaraldi

Basta bla-bla sul ‘dialogo interreligioso’. Finalmente un convegno coi fiocchi dell’editore Guaraldi

Tre giorni di studi tra Rimini e Roma. Un evento pazzesco. I massimi esperti del pianeta parlano di Filone di Alessandria, il primo, grande mediatore culturale della storia. In calce, nuova traduzione della “Vita di Mosè”.

Storia di un’ossessione, da Fellini a Feuchtwanger
Muta l’ordine dei fattori, ma le ossessioni non cambiano. Quando, nel 2013, per “riaprire il discorso sul romanzo ‘moderno’ capace di trattare contenuti forti… non solo storielline d’amore o thriller d’intreccio” il redivivo Mario Guaraldi aprì la collana ‘I Nazirei’ cominciò pubblicando – shakerata ‘alla Guaraldi’ – la “Trilogia di Giuseppe” di Lion Feuchtwanger. Il libro ebbe un successo ‘di mercato’ irrilevante, ma editorialmente coincise – ha fiuto il Guaraldi – con la riscoperta di Feuchtwanger da parte dell’editoria che conta: Skira pubblicò nel 2014 I fratelli Oppermann e Castelvecchi, nel 2015, riprodusse il secondo libro del ciclo, L’ebreo di Roma. Nel 2016, ciliegina civica, Giuntina pubblica, come Il compito degli ebrei, un dialogo tra Feuchtwanger e Arnold Zweig. Poco importa. Importa, piuttosto, che quel libro – e quello scrittore – raffigurano una ossessione di Guaraldi. L’ossessione per il dialogo ‘interculturale’, come si dice oggi, certo, ma soprattutto per gli uomini che stanno tra due culture. Uomini poliedrici, scevri da ideologia, con occhi di falco e coraggio leonino, spesso sconfitti. Pigliamo Feuchtwanger. Era ebreo, era comunista – fu amico intimo di Bertolt Brecht – riconobbe tra i primi la follia di Hitler, eppure un suo libro, il più noto, Suss l’ebreo, verrà manipolato per cucinare un film nazista che propagandava l’antisemitismo. Il contradditorio Feuchtwanger scelse, per il suo romanzo più bello, di occuparsi di Flavio Giuseppe, come dichiarazione d’intenti etici. Flavio Giuseppe, infatti, eccelso scrittore delle Antichità giudaiche, come Feuchtwanger, è un uomo che frequenta due mondi: è un ebreo cittadino di Roma, accusato dai compatrioti di aver tradito il Dio unico per lo stipendio offertogli da Cesare. Flavio Giuseppe si fa portavoce delle intime convinzioni di Feuchtwanger, che non era un sionista, ma un uomo universale: nel romanzo lo storico supporta una utopia, la costruzione di “un’università che annunciasse Iahve non come patrimonio di Israele, ma come il Dio di tutto il mondo, e unisse in trinità il pensiero dei giudei, dei minei e dei greci”. In particolare, Feuchtwanger/Flavio Giuseppe sogna un mondo dove “non si argomentasse secondo ragionamenti formali, ma si cercasse di unire l’intuizione e il pensiero, dove si indagasse bensì il significato degli antichi riti, ma non si litigasse sul lato esteriore; dove si contemplasse il trasparente Filone con l’oscuro Kohelet e col tenebroso Giobbe”. Questo, mi azzardo a dire, è il pensiero, da cattolico totale, di Mario Guaraldi. Il quale, insieme alla Piccola Famiglia di Montetauro (nel corianese), a cui è devoto, s’è inventato qualcosa di gigantesco. Unendo il cuore del ‘cattolico’ al genio dell’editore alla rapace capacità dell’organizzatore di eventi – ricordiamo fino alla noia che Guaraldi, tra l’altro, è quello che nel 1983 ha portato Federico Fellini a riconciliarsi pubblicamente con Rimini presentando ‘in prima mondiale’ E la nave va al Grand Hotel – Guaraldi ha tirato fuori dal cilindro un convegno internazionale, tra Rimini e Roma, su Filone di Alessandria, quello citato sopra, tra i ‘padri’, da Feuchtwanger/Flavio Giuseppe.

Un pioniere del dialogo interculturale. Vissuto 2mila anni fa
Chi diavolo è Filone di Alessandria? Non sarà pop come Fellini ma è un bel po’ più importante. Filone è uno degli uomini ‘tra due mondi’ che tanto piacciono a Guaraldi. Lasciamo dire a chi ne sa (cioè Manuela Baretta): “Filone è l’Ebreo che pensa, parla e scrive in greco, è il dotto conoscitore e commentatore della Bibbia e insieme della tradizione greco-romana, è il cittadino di Alessandria d’Egitto, è il delegato della causa del proprio popolo alla corte imperiale di Roma”. Detto altrimenti, “Filone è un uomo perfettamente inserito nella tradizione e nella vita della comunità giudaica, ma altrettanto perfettamente partecipe ed esperto della cultura classica, della quale si appropria per quanto riguarda la lingua, l’immaginario, i valori”. Detto in forma assoluta, “Filone è un modello di comunicazione interculturale, di apertura e confronto con l’altro sempre e comunque, senza mai abbandonare una identità propria e ben definita, di partecipazione e condivisione”. Insomma, Filone, il primo grande commentatore dei testi biblici, vissuto tra I secolo a. C. e I secolo d. C., maestro per i maestri della Torah e per i Padri della Chiesa – e tenuto perciò in sospetto dagli uni come dagli altri – è un esempio incarnato di dialogo ‘interculturale’. Per quel che può interessare, il De vita contemplativa è un pamphlet di Filone che racconta la vita della comunità dei Terapeuti, sulle rive del Mareotis, ad Alessandria. Asceti ebrei, costoro hanno fornito lo schema su cui si è applicato il monachesimo cristiano, e forse sono la culla da cui è sorto Gesù Cristo, chissà.

Rimini accoglie un carico di sapienti
In sintesi, il convegno s’intitola Lectures on Philo, si svolge il 16 e il 17 ottobre a Covignano, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Marvelli” – un modo intelligente per sfruttare l’ex seminario, tra l’altro – mentre il 18 ottobre si sposta alla Pontificia Università Gregoriana di Roma (dove Franco Cardini tirerà le fila del dialogo con un intervento dal titolo esplicito, Il pensiero di Filone come paradigma del dialogo inter-religioso). Ora: la mera curiosità è che a Rimini, per un paio di giorni, convergono dei sapienti del pensiero antico, dalle Università di Gerusalemme, di Milano, di Pisa, di Pavia, di Oxford, ebrei, cattolici, atei. Il fatto sostanziale è che non si fa bla-bla sul ‘dialogo interreligioso’ con grandi proclami degni del politicamente corretto, con sperpero di sorrisi e champagne. No. In questo contesto, a-partitico, si studia. Ci si confronta con il pensiero di un degno. E lo si fa duramente. L’editore Guaraldi, in calce alla cartolina d’invito al convegno, da editore di razza, allega un libro. Una nuova traduzione della Vita di Mosè, per la traduzione di Manuela Beretta e con la prefazione di Francesca Calabi, una autorità negli studi filoniani. A fronte il testo geco, in calce quello ebraico, alla faccia dell’interculturalità. E quasi subito, nel testo di Filone, abbaglia questa frase, “Infatti gli stranieri, a mio giudizio, sono da registrare come supplici di coloro che li accolgono, ma oltre che supplici emigranti e amici, che mirano all’uguaglianza di condizione con gli abitanti della città e, ormai simili ai cittadini, in poco differiscono dagli indigeni”. Quasi un manifesto.

Fotografia: Filone di Alessandria

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