Bonfiglio Mariotti senza rete: “La città non può rimanere ostaggio dei poteri forti e deve ripartire dal turismo”

Bonfiglio Mariotti senza rete: “La città non può rimanere ostaggio dei poteri forti e deve ripartire dal turismo”

Andrea Gnassi è il miglior sindaco possibile con gli "azionisti" dati. Il turismo sta impoverendo Rimini e va ripensato. Permettere ai bolognesi di mettere le mani sulla Fiera produrrebbe lo stesso disastro che si è verificato con l'aeroporto “Fellini”. Linda Gemmani può essere un ottimo presidente della Fondazione Carim. Carim non deve tornare ad essere il “bancomat” di certi prenditori. Unindustria ha un solo modo per incidere sulla banca: partecipare in maniera importante al prossimo aumento di capitale. Parla Bonfiglio Mariotti, che si dice anche pronto ad investire di tasca propria per riportare l'Anfiteatro romano agli antichi splendori.

Bonfiglio Mariotti

Bonfiglio Mariotti

In tempi di crisi c’è chi tira i remi in barca aspettando tempi migliori e, se può, coltiva rendite di posizione. Ma c’è pure chi crea nuove aziende e decide di investire nell’innovazione con una volontà e una determinazione che ricordano lo spirito di conquista di nuovi mondi che hanno segnato i secoli passati. Bonfiglio Mariotti (nella foto) è un imprenditore della seconda specie. Prima di Natale ha aperto i battenti la sua nuova impresa nel campo del software gestionale. Grande e ambiziosa: circa 150 dipendenti, con un’età media di 35 anni (in una Rimini che sta vivendo la sua peggiore crisi occupazionale fra i giovani), la sede principale nella moderna location dell’ex Audi, alle Celle, più una a Catania e un’altra a Montecatini.
Per la verità Mariotti non ha mai dormito sugli allori. Lo dicono i marchi che ha messo sul mercato: da Data Print Grafik a Sistemidata, da Italstudio a Itworking. Oggi con Bluenext Group si colloca al terzo posto su scala nazionale nel suo settore, dove la concorrenza è agguerrita e deve misurarsi coi grandi gruppi stranieri che hanno fatto acquisti anche in Italia.

La sede di Bluenext

La sede di Bluenext

“Quando c’è la crisi è il momento di investire, io mi stanco di fare sempre le stesse cose, voglio inventare, cimentarmi in nuove esperienze”, dice lui dal quartier generale al numero 95 di viale XXIII Settembre 1845. Grazie anche alle nuove acquisizioni, Bluenext parte con un “pacchetto” clienti di circa 4 mila commercialisti e 6 mila aziende e ovviamente punta a crescere nel giro di breve tempo. Non gioca al ribasso Bonfiglio Mariotti ed ha ben chiaro che il primo investimento è nel capitale umano e nella motivazione che spinge un gruppo al successo. Nella lettera che ha inviato a tutti i dipendenti per focalizzare quella che chiama “l’essenza ultima di ciò che facciamo e della nostra visione del mondo”, con piglio a metà fra il filosofo e il manager, spiega “che tanto grande è l’opera da compiere, che scelte di coraggioso cambiamento si rendono oggi più che mai necessarie”. E ad incontrarlo e sentirlo raccontare della nuova avventura è un’esperienza interessante e contagiosa.
Mariotti non è solo un manager aziendale, riconfermato nel 2013 alla guida di Assosoftware, l’associazione di Confindustria che riunisce 105 imprese informatiche che danno lavoro a quasi 20 mila dipendenti e producono 4 miliardi di ricavi diretti, ma conosce bene anche la realtà di Rimini, dove ha ricoperto incarichi vari (è stato fra i fondatori di Eticredito) e si è occupato di temi economici e politici, fra i quali il ruolo della Romagna e le sue potenzialità tarpate dall’Emilia accentratrice e “prenditutto”.

Mariotti, in che condizioni si trova oggi la città di Rimini?
Mi sembra una città un po’ arretrata culturalmente e ingessata dalle lobby settoriali. Poi non manca qualche fuga in avanti, ci sono intelligenze e persone che esprimono anche una bella forza morale.

Per chi ha un’impresa a Rimini è un giudizio poco diplomatico.
Non sono mai stato diplomatico e per natura sono abbastanza libero nei giudizi. Inoltre la mia azienda su circa 10 mila clienti, a Rimini ne ha 16 …

Torniamo a Rimini e alla sua economia.
Per quanto riguarda il suo core business, ovvero il turismo, che resta quello trainante dell’intera economia, scontiamo una crisi seria ma i protagonisti mi pare che non se ne rendano ben conto. Ch gestisce il potere a tutti i livelli – quindi dalla politica alle rappresentanze delle associazioni di categoria – continua a bearsi di qualche misero segno più delle statistiche. Arrivi e presenze da più 1 virgola, più 2 virgola, e questo basta a rendere tutti tranquilli. Peccato che se si va a vedere la permanenza media dei turisti a Rimini si scopre che è la più bassa di tutta la provincia: 4,2 giorni, in ulteriore calo rispetto al 2014 quando era al 4,4. E’ un dato pazzesco che descrive un impoverimento enorme del tessuto sociale ed economico: il turismo si limita ormai ai weekend e questo significa una “frenata” per tutto l’indotto e le varie figure occupate. Le famiglie riminesi si sono impoverite.

Il recente Rapporto economico conferma infatti che gli avviamenti avvengono soprattutto nel turismo (47,1%) che però nel 2015 ha fatto registrare una flessione dei rapporti instaurati di quasi il 7% (-6,6%), a differenza delle variazioni positive nella manifattura, nelle costruzioni, nel commercio e nelle altre attività del terziario. E la caratteristica del turismo riminese è ancora quella della “stagionalità” negli avviamenti, perché una grossa fetta delle assunzioni (44,5%) avvengono fra aprile e giugno, al di là di tutte le chiacchiere sulla destagionalizzazione.
E’ un dato incontrovertibile: il turismo a Rimini è in grande sofferenza e attira i turisti meno ambìti dal mondo turistico direi internazionale, quelli con meno capacità di spesa. Ma ovviamente tutto ciò non è un frutto del destino ma di politiche ben precise: se gli eventi attrattivi sono la Notte Rosa e la Molo Street Parade è ovvio che il “pubblico” di Rimini siano i giovani “squattrinati” e inoltre si tratta di un popolo che non solo non porta ricchezza, e dunque le attività turistiche non hanno margini di guadagno tali da consentire di ristrutturare gli alberghi, ma comporta anche costi in termini di sicurezza, basti pensare al numero di forze dell’ordine e personale sanitario impegnato in manifestazioni come quelle che ho citato.

Lei come affronterebbe questa situazione?
Quando amministri un’azienda devi partire dalla visione, devi sapere dove vuoi andare. Credo che la stessa cosa valga per una città. Invece mi pare che chi amministra segua le richieste di corto respiro che vengono dalle associazioni di categoria: i locali del porto chiedono la Molo Street Parade e questa si fa, gli albergatori seguono l’onda della weekendizzazione e reclamano la Notte Rosa e questa si continua a fare. Ora, qualche evento si può anche fare, ma gli eventi dovrebbero principalmente attirare un turismo di qualità, puntare sulla cultura e altro. Da questo punto di vista l’Anfiteatro romano è un altro tassello fondamentale per cambiare la missione turistica di Rimini.

Dicono che lo spostamento del Ceis avrebbe costi proibitivi.
Non è credibile. Il Comune di Rimini sta spendendo milioni e milioni per le scuole e se volesse potrebbe rapidamente trasferire altrove il Ceis senza dovere affrontare costi proibitivi. Temo che se non lo fa la ragione vada cercata nella logica delle clientele elettorali. Le dirò di più…

Prego.
L’Anfiteatro va considerato un’infrastruttura strategica per Rimini. Le mie aziende sono pronte a mettere delle risorse per recuperare quel patrimonio storico e archeologico. Ma gli amministratori si rendono conto cosa vorrebbe dire rimettere a disposizione della città e dei turisti un luogo come quello?

A proposito di politiche turistiche, quindi lei sostiene che l’errore non è solo di chi amministra ma anche di un mondo economico che chiede “cure” sbagliate?
Continuando con l’esempio dell’azienda, direi che il sindaco è come l’amministratore delegato di un’impresa, è l’espressione degli azionisti. Gnassi è il miglior sindaco che Rimini abbia espresso dagli anni 90 ma anche lui è un po’ ostaggio dei “soci” di riferimento che lo esprimono e ne determinano le scelte.

Spieghi meglio per cortesia.
E’ il miglior sindaco possibile con gli azionisti dati. Nel caso del Comune di Rimini, il sindaco è non da oggi l’emanazione dei poteri forti, e cioè di albergatori, bagnini, commercianti, industriali, costruttori, artigiani e rappresentati delle relative associazioni di categoria dell’uno e dell’altro colore.
Alberto Ravaioli era “ostaggio” dei costruttori e degli immobiliaristi di Rimini, Gnassi cerca di non essere ostaggio di tutti ma anche lui è vittima di qualcuno e infatti con chi “se l’è presa”? Con costruttori e immobiliaristi, mentre segue i voleri di albergatori, bagnini e commercianti. Non si può inimicare tutti, ovvio. Ecco perché non addebito solo a Gnassi l’imbarbarimento di Rimini al quale stiamo assistendo, in senso economico e di insicurezza, fino ai fenomeni che la scorsa estate hanno riportato a galla il degrado dello spaccio di droga nei locali pubblici, quando abbiamo ascoltato i rappresentanti delle categorie che si sono spesi per difendere l’indifendibile. Non si può difendere un locale nel quale la droga scorre a fiumi e dove per droga si muore, va chiuso punto e basta. Il sindaco ha la colpa di assecondare troppo i suoi “soci” di riferimento, ovvero le categorie che ho ricordato, che hanno peccato di incapacità strategica e di visione sullo sviluppo del turismo a Rimini. In questo modo si affossa il tessuto sociale della città, non solo le imprese turistiche.

Un sindaco “festaiolo” e gettonato da destra, che così facendo comincia a creare scontento fra gli elettori della sinistra.
E’ normale che sia così. Anche se Gnassi è molto bravo dal punto di vista della comunicazione e supplisce un po’ alle difficoltà alle quali lei fa riferimento. Piuttosto, l’aumentare della crisi, che colpisce parecchio nell’elettorato della sinistra, rende “necessarie” operazioni impensabili fino a qualche anno fa, come la lista Pizzolante. Ora anche il Pd ha bisogno di alleanze e liste civiche anomale per vincere, e cerca di raccogliere nel centrodestra voti in fuga dal centrosinistra, il cui substrato sociale è alle prese con disoccupazione e povertà.

Come valuta la cosiddetta civica di Pizzolante?
Si rivolge ad un elettorato rimasto orfano di qualcuno che li ha sempre rappresentati, dopo che i partiti di riferimento fanno le spese di una lunga storia di consociativismo. Se avessero combattuto una battaglia costante e coerente all’opposizione negli ultimi dieci anni si sarebbero creata una reputazione e una classe dirigente capace e motivata. Ma siccome se viene a indebolirsi l’opposizione anche chi governa ne risente negativamente, considero la lista Pizzolante un pericolo, che fra l’altro porta verso forme autoritarie di governo. Serve interazione fra categorie economiche e amministrazione, ma lo schiacciamento delle prime sulla seconda va assolutamente evitato.

Lei dice che manca una visione di lungo respiro, questo lascia pensare che il piano strategico non la convinca più di tanto.
Lasciamo perdere il piano strategico. Le soluzioni che ha indicato le considero il minimo indispensabile per migliorare la città dal punto di vista urbanistico e per colmare ritardi decennali dal punto di vista della infrastrutturazione: l’anello verde, le piazze, le fognature. Ma resta tutto da fare per attirare ad esempio turisti che abbiano capacità di spesa, in quanto solo aumentando il fatturato del turismo si crea ricchezza per i tanti che lavorano in questo comparto. C’è poi il grande tema della riqualificazione degli alberghi, sul quale più di Rimini hanno camminato città come Riccione, e senza il quale non ci sarà futuro. Ci sono opportunità eccezionali, come quelle dei Condhotel, che non vengono sfruttate perché i decisori sono ancora succubi di impostazioni da socialismo reale, non avendo ancora capito che il mercato va assecondato. Bisogna favorire la trasformazione degli alberghi attuali in strutture di alto livello.

Lei è anche un uomo del mondo industriale: cosa pensa del dibattito in corso per la successione di Pasquinelli alla guida della Fondazione?
Penso che Linda Gemmani possa essere la persona giusta al posto giusto. Ha capacità e spero che, se diventerà presidente, non si appiattisca sui poteri che la esprimono. Anche la Fondazione ha bisogno di coraggio e non di appiattimento.

Unindustria chiede da mesi di contare di più in Fondazione e all’interno di Carim, lei come la vede?
Carim deve voltare pagina fino in fondo. In passato è stata il “bancomat” di certi prenditori e non deve assolutamente tornare ad esserlo. Anche il tema della “banca del territorio” a volte viene sbandierato presupponendo vecchie logiche, che hanno fatto tanti danni. Non di rado per banca del territorio si intende l’istituto che deve avere un occhio di riguardo verso l’imprenditore “amico”. Quell’epoca è finita, anche per le ferree regole europee che oggi sovrintendono all’attività delle banche.

Gli industriali chiedono però di contare di più.
Posto che sarebbe anacronistico immaginare il ritorno ad un controllo della banca, magari attraverso i gangli della Fondazione, come avveniva in passato, credo che gli industriali abbiano una sola strada per contare di più, che è poi la più congeniale alla loro missione: partecipare in maniera importante al prossimo aumento di capitale, ovvero seguire la strada maestra del mercato, cioè la bussola per ogni vero imprenditore.

Come giudica il proliferare delle civiche e la difficoltà a darsi una rappresentanza nella imminente competizione elettorale da parte di alcuni partiti tradizionali del centrodestra?
I partiti sono fondamentali, proprio in quanto rappresentanza di una parte della società. Il Pd ha sempre rappresentato la parte preponderante dei riminesi, aiutato in questo dai poteri forti e da imprenditori col cuore a destra e il portafoglio a sinistra. Noto che a destra c’è al momento un unico partito che può rappresentare una parte consistente dell’elettorato di centrodestra, ed è la Lega Nord. Sulle liste civiche sospendo il giudizio ma in termini elettorali è ovvio che partano da zero. Penso che Pd e Lega siano, in quanto partiti, i contendenti veri del risultato elettorale e probabilmente il centrodestra dovrebbe convergere verso la Lega. Non ne faccio una questione di simbolo né di candidato ma di “contenitore” partito.

Si è riacceso il dibattito sulla fusione della Fiera di Rimini con quelle dell’Emilia.
Sarebbe un suicidio per Rimini, non solo per la Fiera, l’unificazione o l’integrazione con Bologna e Parma. Quella di Rimini è gestita bene da Cagnoni, è un fiore all’occhiello, ha i conti in ordine ed è in utile. Lasciamo perdere il Palas, che è nato nel momento peggiore ma per come si sta riprendendo l’economia ha anch’esso delle potenzialità. Con gli utili la Fiera di Rimini può ripagare il debito del Palas. E la vogliamo mettere nel pentolone insieme a Fiere in perdita e coi debiti? Non solo. Se permetteremo agli emiliani, e ai bolognesi in particolare, di mettere le mani sulle nostre infrastrutture strategiche, produrremo lo stesso disastro che si è verificato con l’aeroporto “Fellini”. I cui guai sono figli in buona parte delle scelte politiche compiute da Bologna.

Ha fiducia nel futuro dello scalo di Miramare?
Adesso che ha ottenuto la concessione trentennale spero che venga gestito bene e, se non farà alleanze con Bologna e non renderà conto politicamente a nessuno, avrà buone chance di crescita.
Non ha bisogno di 1 milione di arrivi, guadagnerà e quindi potrà continuare a fare investimenti per il suo sviluppo, anche con 500-600 mila passeggeri. Piuttosto, visto che il Trc ormai c’è, andrebbe realizzata una bretella di collegamento con l’aeroporto. La metropolitana di costa avrà costi spaventosi di esercizio ma ormai è fatta, almeno usiamola con intelligenza.

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